La temperatura era bassa e il pavimento crepato le graffiava la pelle screpolata. L'avevano portata nella dimora del mostro e lasciata lì, come un animale. Ma era ancora viva. Rilasciare il suo potere, in quel bosco, le aveva prosciugato tutte le energie e adesso era solo un essere umano. Non aveva mai affrontato quella parte di sé. Era debole e sapeva che non avrebbe ricevuto le cure adeguate per rimettersi in sesto. Forse avrebbe potuto trovare il modo di avvisare la sua famiglia... Ma lo voleva davvero? Voleva metterli in pericolo? Certamente no. Una delle guardie le portò un pezzo di pane raffermo e una ciotola d'acqua. Il bastardo le lanciò entrambi addosso, facendo cadere quell'acqua tutt'altro che potabile per terra e facendo rotolare il tozzo di pane fra la polvere. Poi rise e se ne andò, richiudendo la porta della cella dietro di sé. Avrebbe tanto voluto piangere, ma era troppo stanca anche per quello. Come mai l'Uomo Aldilà l'aveva lasciata in vita? Lui, che senza pensarci due volte aveva ucciso e strappato i poteri al resto dei Nāyaka trovati nel suo cammino? Se chiudeva gli occhi, le sembrava di vedere ancora il suo sguardo di ghiaccio. Se solo non fosse stata tanto irragionevole da credere alle voci che parlavano di... no, basta. Cercò di liberare la mente e riposare un po'. Chissà come, aveva l'impressione che sarebbe stata una lunga notte.
Quando mi risvegliai, sentii immediatamente una fitta acutissima alla testa. Era come se qualcuno si fosse divertito a usarla come puntaspilli durante il mio riposo. Strinsi gli occhi, cercando di allentare la pressione, ma servì a poco. Quando finalmente il dolore si alleviò, aprii gli occhi per guardarmi intorno. Era buio, troppo per riuscire a vedere davvero qualcosa, ma capii di trovarmi in un posto in cui non ero mai stata prima. La stanza odorava di ospedale, ma non sapevo se fosse quello il reale luogo in cui ero sistemata.
Sentii un rumore metallico e una luce accecante illuminò la stanza, al punto che dovetti coprirmi gli occhi con le mani. Lentamente mi abituai alla vista di quel bianco neon. Mi guardai nuovamente attorno e mi spaventai quando capii che una parete era fatta interamente di vetro. Dietro questo, un uomo alto in giacca e cravatta mi fissava in modo burbero. Sembrava la peggior versione di un professore di matematica: magro ma possente, con capelli corti e brizzolati e una leggera barba sulla mascella. L'espressione accigliata e la smorfia di disprezzo erano solo frutto della mia immaginazione o mi guardava davvero come se avesse voluto vedermi andare in autocombustione?
Deglutii e mi avvicinai al vetro. L'uomo premette un pulsante su una tastiera di fianco a lui - che notai solo allora - e quando parlò la sua voce mi arrivò attraverso delle casse nere appese al muro.
«Signorina Paradise, mi presento: il mio nome è Dottor Spell e sono il capo della Base Nove. Grazie a certi... complici, siamo venuti a conoscenza di un'enorme trasgressione avvenuta da parte sua. Un furto, per essere precisi. Lei ha qualcosa che non le appartiene e deve assolutamente restituirlo».
Cosa? Non capivo cosa stesse succedendo, ma ero certa di non essere una ladra. Per quanti problemi potessimo avere in casa, non avevo mai pensato, nemmeno una volta, a sottrarre qualcosa a qualcuno. Mai.
«S-signore, forse state sbagliando. Io giuro di non aver rubato nie...»
«Silenzio! Non avete nessun diritto di parlare in questa stanza o di mentire in mia presenza. Il giorno della sua sentenza è già stato deciso: La Corte la aspetta domani mattina. Solo davanti a lei può permettersi di parlare e, mi creda, scopriremo la verità. Fino a quel momento, resterà in questa stanza».
«Ma...» iniziai. Il Dottor Spell tolse la mano dal bottone e se ne andò, senza lasciarmi possibilità di replica. Mi guardai intorno spaesata. La camera era piccola, arredata solo con un letto, un comodino e... una sacca? Mi avvicinai, notando solo allora di indossare un camice da ospedale. Chi mi aveva cambiato i vestiti?
La sacca era di tessuto biancastro, con un legaccio sulla cima. Slegai il nodo semplice con cui era stata chiusa e guardai all'interno: vestiti e addirittura delle scarpe. Come un flash mi tornò in mente lo strano sogno che avevo fatto, in cui una giovane donna, pallida e malata, veniva lasciata sola in una cella fredda e oscura. Le luci si spensero nuovamente nella piccola e impersonale stanza in cui mi avevano rinchiusa, ma io non potevo rimanere lì. Probabilmente papà era già rientrato da lavoro, Jonas forse aveva avuto bisogno di aiuto nei compiti e io non ero lì per lui. Non avevo preparato la cena e l'indomani dovevo assolutamente andare a scuola perché il professor Miller aveva assegnato una ricerca e... dovevo mettere a posto la cucina e aiutare Jonas con i compiti e... preparare la cena...
Sbattei forte i pugni contro il vetro, in un disperato tentativo di attirare l'attenzione di qualcuno, con il risultato di ferirmi le mani. Mi cedettero le ginocchia e scivolai a terra fra i singhiozzi e le lacrime. «Per favore» sussurrai.
Avevo paura. Tanta paura di non poter tornare a casa, tanta paura di non rivedere mai più la mia famiglia e i miei amici. Come se d'improvviso un fulmine mi avesse schiarito la confusione nella testa, mi ricordai qualcosa di ancora peggiore.
"Deceduta". Quella parola si fece largo tra i miei pensieri, dandomi l'impressione di annegare. La nonna era morta. Lei, che raccontava storie meravigliose e mi aveva fatto appassionare alla scrittura, lei che mi aveva chiamata in tantissimi modi diversi. Lei che aveva... fatto crescere una pianta dentro una stanza al quinto piano di un condominio? Non volevo pensare a quello. In realtà, non volevo pensare affatto, ma era inevitabile. Mi sentivo male. Male fisicamente, e le lacrime non smettevano di scendere. Era troppo da sopportare; la maggior parte di quello che mi stava accadendo non riuscivo nemmeno a capirlo. Strinsi forte le braccia intorno al petto, in un disperato tentativo di tenere insieme i pezzi di me. Sentivo di stare per cedere e urlare, strapparmi i capelli e disperarmi più di quanto già non fossi. Non ero coraggiosa e tanto meno forte. Ero debole e confusa.
"Okay Alex, calmati adesso. Non serve a niente piangere", mi ripetevo.
In realtà pensavo solo a Jonas e a come dovesse sentirsi dopo quello che aveva visto. E papà? Cosa avrebbe pensato tornando a casa e trovandola distrutta?
No... No, no, no, no... Non potevo restare in quel posto - ovunque fosse - senza fare niente. Erano loro ad essersi sbagliati. Io non ero una ladra e loro invece avevano distrutto la mia casa e mi avevano rapita. Inoltre... la nonna era morta. Tutta la rabbia e la decisione improvvisa di fargliela pagare si trasformarono in terrore. E se avessero fatto del male a Jonas o a papà? Non potevo permetterlo. No. Quindi, la decisione più sensata era aspettare l'indomani e vedere cosa avesse da dire La Corte. Mi avrebbero creduta per forza. Io non ero la persona che cercavano. Qualunque cosa pensassero avessi rubato, si sbagliavano di grosso. Respirai a fondo per calmarmi e asciugai le guance con il dorso delle mani. Poi mi alzai, costringendomi a mantenermi salda sulle gambe, ma un capogiro mi fece tornare al suolo.
Oh, no... le pillole. Non sapevo che ore fossero e quanto tempo fossi rimasta in quella stanza priva di sensi, ma sicuramente era abbastanza da aver passato il termine per prendere il farmaco. Papà aveva sempre detto che se avessi scordato di prenderlo mi sarei sentita male, ma non aveva mai specificato cosa sarebbe potuto accadere. Mi toccai la fronte: non era calda, tuttavia mi sentivo come se avessi la febbre. Dovevo essere forte o sarei impazzita presto. Avanzai verso il letto e mi stesi sotto le coperte. Malgrado mi fossi appena svegliata, mi sentivo stanca e stremata. Tremavo e sentivo brividi di freddo salire lungo la schiena. Mi addormentai poco dopo, ma in qualche modo sapevo che sarebbe stato un sonno più che agitato.
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Il Dono - In viaggio verso l'aldilà
Fantasy[ANTEPRIMA: fino al capitolo 13] Storia vincitrice dei Wattys2016 nella categoria "Tesori Nascosti". Da aprile 2017 in libreria! Il modo migliore per sfuggire alla quotidianità, per Alex, è scrivere storie fantastiche sul suo vecchio quader...