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Il palazzo di Onew era davvero enorme e diviso in cinque piani. Nella parte più alta vivevano Onew, Minho e i nobili; al piano sottostante c'erano alcune famiglie a cui avevano dato rifugio; al piano sotterraneo del palazzo risiedevano i soldati più importanti, come il comandante, il generale e gli scienziati, quelli che provvedevano a far avere al clan nuove armi e dispositivi; sotto a questo piano c'era il magazzino e ancora più giù... nelle profondità del palazzo, c'era un posto dimenticato, che nessuno visitava, e che nessuno aveva il permesso per entrare. Le prigioni dei sotterranei.
Le mura erano fatte di pietra e per questo ricordavano un po' il periodo medioevale. Non c'era elettricità, l'unica luce che esisteva era quella delle torce posizionate lungo gli infiniti, freddi e bui corridoi. Era un posto spaventoso e l'ultima volta che era stato usato fu quando vi rinchiusero Taemin, in modo che le persone non sentissero le sue urla.

Le prigioni sotterranee erano il luogo più sicuro del palazzo. C'era più di una porta per accedervi ma ognuna era bloccata e protetta da un'altra d'acciaio.
Non tutti avevano il permesso per accedere a quel terribile posto e la ragione era semplice, non tutti sarebbero riusciti a tornare indietro. Molte persone si erano perse e molte altre non erano mai state ritrovate, quei racconti spaventavano anche i più curiosi.

A Kim Kibum non erano mai piaciute le prigioni sotterranee, ma per un motivo diverso rispetto alle altre persone; ed era perché l'umidità che c'era là sotto rendeva i suoi capelli sporchi ed oleosi, rovinava completamente la sua pettinatura. Era semplicemente disgustoso.
Perché Kim Kibum non era come gli altri, lui conosceva quelle prigioni; non aveva paura di perdersi. Perché avrebbe dovuto? Era il veggente dopo tutto; la sua mente lo guidava, obbligandolo a guardare i corridoi che doveva percorrere. I suoi piedi lo portavano semplicemente là.

Era quasi fastidioso.
A volte si sentiva un burattino del suo stesso potere, come se venisse controllato da questo. Si domandava se il suo potere avesse una propria volontà, comportandosi da stronzo e pigro per fare il suo dovere quando lui lo voleva.
O forse stava solo esagerando.
Avrebbe dovuto esserci abituato ormai.

I suoi occhi dorati brillavano nell'oscurità, le pupille erano dilatate, le orecchie si muovevano leggermente ad ogni rumore, ad ogni goccia di umidità che lasciava il soffitto per cadere sul pavimento in pietra.
I piedi lo conducevano attraverso il labirinto di corridoi, il cuore batteva veloce man mano si avvicinava alla parte centrale delle prigioni, la mano teneva una borsa nera.

Poteva sentirlo.
Gli era così chiaro ora.
Anche attraverso le pareti di pietra, rinchiuso dietro una porta di acciaio, che non avrebbe permesso di udire nemmeno l'esplosione di una bomba; il suono gli arrivava chiaramente, era quasi spaventoso.
Suonava nelle sue orecchie, la vibrazione colpiva le mura attorno a lui mentre si avvicinava all'ultimo corridoio che conduceva alla cella che lui cercava.
Era quasi una dolorosa canzone.

Key tremò, una sensazione a lui estranea, percorse il suo corpo.
Il suo Protetto lo stava chiamando.
Lo sentiva sulla sua pelle. Era qualcosa di nuovo per lui, qualcosa che esisteva solo tra Master e Protetto, qualcosa di quasi spirituale, il legame lo tirava, conducendolo alla cella.

Era strano e sapeva che l'altro stava agendo in base al solo istinto ma... nel suo profondo, lo rendeva felice. Felice perché questo era un segno che l'altro lo cercava, forse perché era spaventato, o affamato. O entrambe.

Lì.
Key guardò la porta di metallo davanti a lui.
Era la 'cella perfetta', una cella a prova di bestia, una cella a prova di qualsiasi cosa. L'enorme, massiccia porta era intimidatoria; dozzine di serrature erano matematicamente distribuite su di essa, rendendo la loro apertura simultanea una missione impossibile per chiunque.
Si, impossibile, ma non per lui, non per Kim Kibum.

La sentiva uscire dai suoi pori, la linea blu d'energia lasciava il suo corpo, fluttuava e scintillava nel buio dei sotterranei, dirigendosi verso la porta con movimenti delicati.
Key quasi sorrise per quanto facile fu aprire quel complesso ammasso di serrature, le linee entravano in ogni minuscola serratura, facendosi largo dentro la porta.
Si sentiva collegato alla porta, poteva vedere il labirinto denso di canali, aste e cilindri che attraversano la sua mente a sprazzi. Era affascinante. Così... così facile...
Le sue labbra si contrassero in un sorriso.

Click.

La bestia ringhiò, urlando al rumore della porta che veniva aperta. Ci volle un attimo, i meccanismi svolsero il loro lavoro all'interno, sbloccando i dispositivi più piccoli fino a raggiungere la serratura principale.

Key sospirò, la porta si aprì con un suono metallico. "Non puoi davvero aprire nulla, vero?" Ridacchiò a sé stesso con orgoglio, facendosi lentamente strada all'interno della cella.

Era buio pesto e all'improvviso... tutto cadde in un silenzio inquietante.


Procedette con attenzione, i suoi occhi si stavano abituando all'oscurità. Notò qualcosa muoversi nell'angolo della stanza.
Delle pupille argento lo stavano guardando, lo fissavano.

Key deglutì, facendo dei passi indietro. All'improvviso... non si sentiva più tanto coraggioso.
I vampiri potevano vedere molto meglio degli umani al buio, ma in confronto alle bestie, era quasi nulla. Loro erano creature notturne, i loro occhi erano totalmente neri per quel motivo.

Poteva sentire il suo cuore battere veloce a causa del panico, il suo respiro accelerare mentre il proprietario di quegli occhi brillanti si avvicinava lentamente.
Sentiva freddo, era congelato dalla paura. Cosa stava facendo? Doveva muoversi, fare qualcosa! Luce! Aveva bisogno di luce!

Dopo un forte e arrabbiato ringhio, le pupille argentee si fecero all'improvviso troppo vicine, la bestia corse verso lui con una velocità animalesca, facendo urlare Key, che cadde a terra colpendo con la testa la porta dietro di lui.
Merda, merda, merda! Se quegli artigli lo avessero preso...

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