5. Dipendenza.

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-"Devi ascoltare quella canzone, ti dico che è stupenda!"

-"Per tte tuto quelo che dicceno i Club Dogo è stupenda!"

-"Cavoli sì, ma tu capisci di chi stiamo parlando Michael? Oh Dio, e pensare che tu li conosci!"

-"Io parla con loro di tte, tu sa? Loro sempre... smiling, always, like me."

-"Sì, ma immagino che I tuoi sorrisi siano molto meglio dei loro, senza offesa per quei tre ma... tu hai il fascino dello straniero, sai?"

-"Quindi tu bacia me per fascino di straniero?"

-"Poi chi sarebbe lo stronzo?"

-"Tu, ovvio!"

-"Eh beh, ovvio!... Sei ancora al Berlin?"

-"No, sta tornando a casa, tu?"

-"Ah niente, io sono nel cesso della scuola."

-"Come mai tu ancora lì Fede? Fatto alcune disastra?"

-"No, Mik, niente disastra, è che alla fine stamattina sono arrivato tardi e ora mi tengono qui, punizioni formative le chiamano, formative per chi poi? A me non cambia un cazzo, certo è una rogna, ma più di tanto..."

-"Oh mi senta in colpa ora... Sei in punizzione per colpa mia..."

-"Non devi sentirti in colpa, a me ha fatto piacere."

-"Avere punizzione?"

-"No, non quello... passare del tempo con te."

-"Fede... io non riuscire a capirte, prima tu scappa, poi tu felice di stare con me... cosa deve fare per stare con te sensa che tu mi fa male?"

-"Ti faccio del male?"

-"Quando tu scappa sì."

-"Mi dispice..."

-"Non è questo il punto..."

-"Woah, hai detto una frase in italiano perfetto!"

Federico sente un sospiro pesante del ragazzo con cui è a telefono che gli fa trattenere il fiato, voleva solo provare ad allentare la tensione, la consapevolezza del fatto che anche Michael potesse star male per le sue azioni lo aveva un po' freddato; egoisticamente aveva pensato sempre solo a sé fino a quel momento, senza preoccuparsi del fatto che anche Michael aveva un passato, delle ferite, un cuore, e sapere di aver calpestato tutto ciò gli dava uno strano dolore proprio al centro del petto, un dolore che gli suggeriva che tutto quello non fosse solo una cotta, un dolore destinato ad aumentare quando Michael lo saluta inventandosi di essere stanco.

Passa l'ultima mezz'ora di detenzione chino su un foglio, con le cuffiette piantate nelle orecchie mentre un fiume di parole si riversa sulla carta bianca. Quando la punizione finisce, Federico non perde tempo e, afferrato saldamente lo zaino, inizia a correre a perdifiato verso l'appartamento di Michael; stavolta vuole dargli più che un piccolo pezzo di sé, vuole dargli il codice di ingresso nella sua vita, vuole fornirgli i mezzi per conoscerlo e per scegliere se volerlo ancora o meno.

Mentre corre è spaventosamente consapevole di quello che sta facendo. Ha sempre visto la sua vita come una partita a carte, e si era sempre impegnato ad avere più di due sole mani per poter tenere tutte quelle carte per non rischiare di perdere. Quando aveva permesso a qualcun altro di reggere anche solo un paio delle sue carte è sempre finito ad un passo dalla perdita, dalla sconfitta. Ma ora era stanco, a diciassette anni era stanco di dover reggere da solo tutte quelle carte, di dover avere mille mani e mille occhi perché i pericoli e i trucchi degli avversari erano ovunque, dietro ogni angolo ed ogni falso sorriso. Così aveva affidato parte di quelle carte ai suoi antidepressivi, lasciandosi persuadere dalla visione filtrata che questi gli davano del mondo, lasciando che le gioie artificiali avessero la meglio su quelli che erano i ricordi delle gioie autentiche. In quel momento, con quel foglio stretto tra le dita, stava mettendo in conto la possibilità di un cambio di partner di partita, stava scegliendo una nuova dipendenza, o meglio, una nuova dipendenza avrebbe potuto sceglierlo e sperava con tutto se stesso, con tutto il suo cuore e con tutta la sua luce che lo scegliesse, perché in caso contrario sarebbe stato un po' come una morte prematura, ancora una volta, un matrimonio indissolubile con demoni e pillole.

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