Capitolo 11

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"Hai rotto il cazzo"

La ragazza, a quelle parole scoppiò a piangere ulteriormente.
In quella grande stanza dove dapprima regnava una terribile confusione, si presentò un silenzio tombale con i singhiozzi della ragazza che ne riecheggiavano dentro. Alcuni ridolini provenienti dallo stupido gruppetto di Jackson seguiti dagli scrusci delle loro sedie, potevano benissimo essere uditi. Cosa che non gli sembrò importargli minimamente. Schiacciò l'occhio, ammiccando verso il suo gruppo, dietro di lui.

Mi chiedevo cosa avesse fatto di male quella ragazza da meritarsi un comportamento del genere da parte di Louis Tomlinson e, quegli stupidi ragazzi che si divertivano ad osservarla e deriderla, dalla risposta ottenuta dal mio infermiere.
Louis era stato così gentile, molto educato e comprensivo nei miei confronti. Ma lui poteva anche essere l'infermiere di altri ragazzi o ragazze, trattarli adeguatamente come trattava me o.. Solo al pensiero mi salì la nausea.

È solo un infermiere qualunque!
Non dovevo badare a queste stupide sciocchezze che non possedevano un senso logico. Possibile che qualsiasi cosa, dovevo fare riferimento al mio infermiere?

Sospirai, infastidito dai miei stessi pensieri e osservai la ragazza con delle strisce di nero colanti che le tracciavano il volto. Il suo trucco eccessivo mi incuriosiva parecchio. Mi morsi l'interno guancia nervosamente, incapace su come agire. Di solito, non avevo nessun tipo di problema ad aiutare qualcuno, mi procurava un'immensa gioia farlo. Ci riflessi qualche minuto e in quel momento, preso di coraggio, mi alzai velocemente e poggiai il libro che tenevo tra le braccia, sulla sedia dove dapprima ero seduto.

"Arriva il Pronto Soccorso!"

Disse uno degli stupidi amici di Jackson, cantilenando. Amici?

Ad Adrian non gli importava niente, niente di niente. Riuscii a rendermene conto soltanto qualche mese fa.

Sospirai afflitto e morsi con insistenza, il mio labbro inferiore. Gli sguardi delle persone presenti erano puntati su di me. Mi fissavano curiosamente. Spostai timidamente lo sguardo sul mio infermiere, appoggiato con la schiena al muro e con le braccia incrociate al petto. Notai che anche lui mi stesse guardando, con una seria espressione dipinta sul volto. Non osava parlare.
Non riuscivo a decifrare il suo sguardo. Ma era così intimidatorio.

Mossi la testa verso destra e sinistra, tossicchiando leggermente. Adesso le suole delle converse nere erano incollate al pavimento, senza darmi il permesso di camminare.

"Avanti, Styles! Aiutala"

Ad un tratto, la ragazza cominciò a ridacchiare ed io aggrottai le sopracciglia. Scossi la testa velocemente portando le dita a stringermi i ricci con forza, tirandoli leggermente. Mi sentivo così confuso. Perché dovevano prendersi gioco di me? Io non gli avevo fatto niente di male! Mi affrettai ad uscire da quella stanza, sentendo gli occhi inumidirsi. Guizzavano dappertutto, in cerca di un riferimento. Dov'era Roxanne quando ne avevo bisogno?

Adesso le persone camminavano frettolosamente nei vari reparti; si strattonavano le spalle a vicenda, per la troppa fretta, ma non si chiedevano scusa. Tutti sembravano essere rinchiusi in una bolla, ognuno viveva nel suo mondo e nessuno era in compagnia di qualcun'altro. Ed io me ne stavo fermo, immobile e con il fiatone come se avessi appena terminato una corsa contro il tempo.

Portai lo sguardo verso il basso, affondando le mani nella tasca della mia grande felpa. Camminai velocemente lungo il Reparto 3, scontrandomi varie volte con dottori e infermieri.

Una volta raggiunta la mia stanza, mi precipitai dentro e chiusi la porta alle mie spalle. Mi lasciai cadere di peso, appoggiando la schiena contro il muro gelido. Strinsi le braccia intorno alle ginocchia. Scossi ripetutamente la testa e poggiai le mani sul mio volto, sulle mie guance accaldate.

Sobbalzai non appena sentii un tuono impetuoso riecheggiare nella piccola stanza in cui convivevo. Alzai lentamente la testa verso la grande finestra e deglutii rumorosamente.

Non mi piacevano i temporali.
Essi rappresentavano il mio stato d'animo, il mio carattere, il mio essere. Ma non ne sono mai stato attratto. Avevo anche tanta paura.
La mia mamma mi sussurrava dolci parole all'orecchio, accarezzandomi dolcemente i boccoli per calmarmi, rilassarmi. E adesso mi mancava così tanto. Quanto vorrei che la mia mamma fosse qui, ad aiutarmi. A dirmi che andrà tutto bene. E che presto mi porterà nella nostra casa e mi preparerà una calda cioccolata con un piumino a coprirci, a ripararci dal freddo pungente dell'inverno.

Alcune lacrime silenziose percorsero i miei zigomi, rendendo le guance umide.

Lo scricchiolio della porta, interruppe i miei pensieri. Trattenni il fiato per un paio di secondi. Riuscii ad avvertire alcuni passi. Come delle calde mani afferrarono il mio volto e delle soffici labbra che si posarono sulle mie.

Hospital Ray || Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora