8. Cigarette

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Era fermo davanti le porte spalancate di un treno. Non stava scappando. Non esattamente. Era più come una pausa molto lunga e inattesa dalla sua vita. O almeno era questo ciò si ripeteva mentalmente provando a convincersi che andava tutto bene. Ma sapeva che non era così, non andava per nulla così.

Aveva con sé solo un borsone con un cambio, dentifricio e spazzolino, dei libri dalla sua biblioteca e una coperta. Non sapeva nemmeno perché l'aveva presa, magari aveva pensato che di notte avrebbe fatto freddo su una panchina in un parco disperso nel nulla. Proprio come era in quel momento lui. Disperso nel nulla. Era stato irrimediabile. Forse nel profondo sapeva da tanto che prima o poi sarebbe successo.

Guardò ancora le porte aperte: era davvero indeciso. Se fosse tornato indietro cosa sarebbe accaduto? Probabilmente lo avrebbero cacciato, quindi valeva la pena andarsene di sua volontà, conservando quel poco di dignità che ancora aveva.

Le persone gli passavano accanto, spingendolo, toccandolo, calciando il borsone che aveva in mano e si perse a pensare alle loro vite. Chissà chi erano, se lui le avesse mai viste o dove andassero. Era così triste sapere che ognuno di loro stava combattendo la propria battaglia senza che nessun altro lo notasse: stavano facendo uno sforzo enorme per restare in vita e non annegare e nessuno dava loro il giusto merito.

Una ragazza con i capelli viola gli diede una spinta più forte delle altre e gli regalò un'imprecazione senza nemmeno guardarlo.

Lui si risvegliò dai suoi pensieri e saltò sul treno proprio quando le porte si stavano per chiudere. Era stata una cosa istintiva, entrare nel treno. Infatti si girò verso la stazione affollata che vedeva attraverso il vetro della porta scorrevole: stava lasciando indietro tutto, ma ancora non sapeva se era una cosa positiva. Forse con il tempo lo avrebbe capito, nel frattempo avrebbe dovuto decidere dove passare la notte e il resto dei suoi giorni.

Prese un bel respiro e si girò verso l'interno per vedere se era rimasto un posticino sul quale sedersi e pianificare il resto della giornata: c'era un posto vicino ad un ragazzo con le cuffiette nelle orecchie, lo sguardo perso fuori dal finestrino e il cuore perso per strada. Si sedette e posò il borsone ai suoi piedi. E ora dove sarebbe andato? Non sapeva nemmeno dove portasse quel treno. Guardò fuori dal finestrino imitando il ragazzo seduto accanto a lui e vide solamente una distesa infinita di case e non sapeva cosa fare. Allora decise di fermarsi alla terza fermata, il tre era sempre stato il suo numero fortunato e magari anche quella volta lo avrebbe aiutato. Magari si sarebbe trovato in un bel posto, magari avrebbe incontrato qualcuno che lo avrebbe aiutato. Magari si sarebbe adattato e quella sarebbe diventata la sua nuova casa. Ma sapeva troppo bene che ciò non sarebbe mai accaduto, voleva illudersi, voleva per un momento immaginare una vita felice, semplice, normale, come tutte le altre presenti in quel fottutissimo treno rosso. Voleva solamente sentire la flebile speranza di una famiglia, forse un ricordo fugace, scomparso troppo presto.

La prima fermata. Qualcuno scese, qualcun altro salì. Qualcuno probabilmente stava scappando come lui, un fuggitivo, qualcun altro forse stava ritrovando la strada di casa, come lui non avrebbe mai potuto fare. Guardò ancora fuori e si accorse che il cielo non era come un cielo di pomeriggio: era un po' come lui, sarebbe dovuto essere felice per il fatto che aveva abbastanza soldi da scappare e provare a vivere da solo, ma non era realmente ciò che voleva, era l'unica scelta che aveva.

Seconda fermata. Come la prima. Nulla di diverso tranne tutte quelle vite che si separavano e si ricongiungevano. Il ragazzo vicino a lui abbassò lo sguardo e una lacrima gli rigò il viso, prontamente asciugata. Rialzò lo sguardo e lo posò nuovamente fuori dal finestrino. Ma quella scena, quella lacrima solitaria lui la vide bene.

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