Capitolo II - Già. La guerra.

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Il mio villaggio era situato a nord di Londra, verso Ipswich. Era un piccolo villaggio di pescatori, lontano dalla vita mondana della grande città. Non vi era molta ricchezza, le case erano fatte in legno e ricoperte di resina lavorata per renderle impermeabili dalla pioggia. Non erano molto grandi ma per lo meno erano accoglienti. Raramente qualcuno usciva fuori dalla comunità locale, in quanto all'interno del villaggio vi era tutto ciò di cui bisognava per sopravvivere: un falegname, un fabbro, un mugnaio, stalle e campi a sufficienza e, appunto, i mari per la pesca. Il più delle volte non si comprava in piazza ciò di cui si aveva bisogno, ci si conosceva tutti; solitamente ci si barattava quel che si aveva in più, o si regalava a buon rendere. Era una piccola comunità felice, che non badava certo all'arroganza e all'avidità di cui è piena la grande città, dove il ricco mercante è più attento ad arricchirsi e a morire affogato nel suo denaro, che aiutare il bisognoso che non ha un tetto addosso. Ma si sa, in tempi di guerra, questa tranquillità viene spezzata. L'ordine naturale delle cose viene interrotto. Il villaggio prima della guerra contava circa settecento abitanti, ora, si era ridotto quasi della metà. Molti, come me, sono stati chiamati a difendere la Corona, ma non avendo alle spalle l'addestramento militare, non hanno più fatto ritorno. Ora le barche in legno erano ormeggiate in balia delle onde, i campi erano quasi del tutto spogli, tranne per quelle povere mogli che avevano limitato i danni di chi manda in guerra anche persone comuni brindando alla prossima conquista. Il villaggio era destinato a scomparire, come chi, dopo delle gravi ferite, soffre e si aggrappa alla vita per poi morire da un giorno all'altro. Quella naturale tranquillità ormai non esisteva più. Le mogli di quei poveri pescatori, coltivatori, allevatori o falegnami, il più delle volte passavano intere nottate nella città , sicuramente a casa di qualche nobiluomo che richiedeva il corpo di una donna per i suoi piaceri , in cambio di qualche moneta per poter permettersi di sopravvivere .Tutti ormai non vedevano più il proprio futuro in quella stalla o in quel campo , ma vedevano la povertà e la miseria consumarli fino a morire , perciò molti figli di questi brav'uomini ormai scomparsi , lasciavano casa per trovar posto in qualche bottega giù in città , per fare l'esperienza necessaria a cominciare una nuova vita. Perciò ormai era arrivato il momento anche per me di salutare la mia casa e di andare, conscio del fatto che avrei potuto non farne ritorno. Presi il ciondolo di Amy e lo portai con me; mi avrebbe protetto dall'alto il mio Angelo, anche se non avrebbe mai voluto che io partissi, soprattutto per quello che avevo patito in guerra.

Già, la guerra.

Ma prima vorrei parlarvi delle mie origini.

Figlio di Peter Parson e di Annette Evans, avevo vissuto in quel piccolo paradiso dalla tenera età di 3 anni, in quanto, quello che considero il mio vero papà, non era veramente il mio genitore naturale. Mia madre era stata promessa in sposa da mio nonno a suo cugino William, che morì qualche mese più tardi averla messa incinta. Così mio padre Peter decise di prendere con sé mia madre e di trattarla come una vera moglie. D'altronde cosa è che rende vero un matrimonio? il titolo o l'amore reciproco? Perciò accettò me come suo figlio adottivo, un grande atto d'amore che sanno fare pochi uomini. Mio padre era un mercante abbastanza navigato, partiva e ogni tanto mi portava dei regali presi in chissà quale terra in una delle sue avventure. Anche questo ciondolo, simbolo dell'amore che ho provato per Amy, mi venne regalato da lui il giorno prima delle nozze, come aveva fatto in precedenza con mia madre. –Così-, disse, -avrebbe voluto tua madre-, che era scomparsa un anno prima lasciandolo solo. Qualche mese più tardi morì anche lui, nel letto in cui aveva dormito chissà quante volte con mia madre, in quella casa che li aveva fatti innamorare, in quel villaggio che oggi sta per scomparire per colpa della guerra.

Già, la guerra.

Sono partito quattro anni fa, a soli ventisette anni, con il mondo davanti e con la voglia di far valere la mia forza anche fuori dal campo di addestramento. Sapete, la guerra non è come ce la sogniamo, la guerra non è fatta da quei mitici eroi che combattono e vincono e verranno ricordati per sempre, o periscono difendendo il loro compagno e verranno ugualmente ricordati, no... In guerra non sei Aaron Parson, o Jack Smith o Christopher Robinson; in guerra sei solo un numero, sei solo la chissà-quanto-milionesima persona schierata in prima o seconda linea per difendere il generale posizionato nelle retrovie assieme alla sua preziosa fanteria. In guerra sei quello che se muore non può importare al tuo compagno, come raccontano nelle leggende, altrimenti rischia di essere ucciso anche lui dal nemico, o peggio ancora, dal generale per aver disertato. Sapete qual è la verità? la verità è che in addestramento ti insegnano a come morire in guerra: senza far troppo rumore, per non distrarre i compagni dalla loro avanzata inesorabile contro il nemico; a sacrificarti per un generale che inventa delle tattiche suicida solo perché siamo la fanteria, a morire per il tuo sovrano, mentre lui sta comodamente seduto sul suo trono, attorniato da belle vergini pronte a essere svestite, e a boccali di birra e vino che inebriano i commensali. Sono tornato poiché durante l'assalto ad Orleans sono stato ferito al costato, e fortunatamente recuperato da un mio compagno. Così mi hanno rimandato a casa per farmi rimettere completamente; d'altronde un soldato ferito è un peso per la compagnia d'assalto. Il generale McLean mi aveva precedentemente avvertito che già alla fine del mese sarei stato richiamato in guerra. Ormai poco importa se sarò ricercato per aver disertato o per alto tradimento, chiunque oserà fermarmi dalla mia vendetta verrà ucciso con le mie stesse mani.

Thomas mi aveva detto che aveva sentito parlare sottovoce i cavalieri dell'Ordine, affermando che essi si sarebbero diretti verso Cambridge per continuare la loro ronda. Mi dirigerò lì e cercherò di intercettarli lungo il percorso. Inoltre è stato così gentile da concedermi di fare il suo nome non appena arrivato alla locanda in piazza, per fermarmi una notte.
-Sicuramente un amico di un amico è una persona di cui fidarsi- mi disse. Dunque Cambridge sarà la mia
Prossima meta.


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