Capitolo XII, Parte I - Verità

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1

Aprii gli occhi. Ero confuso. Vedevo tutto sfocato. Riuscivo a malapena a capire di essere disteso su un carro e di essere stato legato. Un individuo davanti a me mi stava trainando, mentre le luci delle fiaccole appese sui muri accecavano la mia debole vista. Osservai il braccio che mi era stato tranciato pochi attimi prima. Era stato bendato con delle fasciature d'emergenza, tutte consunte e inzuppate di sangue. Chiusi di nuovo gli occhi.

Il carro si era fermato, e sentì un eco di passi provenire dietro di me, e uno sbattere di chiavi, mentre venivano inserite all'interno dell'ingranaggio di una serratura. La porta, probabilmente di qualche sorta di metallo, si aprì sferragliando. L'uomo che era davanti a me si mise a smuovere qualcosa sotto la base in cui ero stato posto, facendola così sollevare dalla parte in cui vi era la mia nuca, posizionandomi in verticale. Poi proseguì slacciandomi, facendomi accomodare a terra. La porta si chiuse producendo di nuovo lo stesso rumore, e furono girate le mandate della toppa. L'individuo si allontanò, finché i suoi passi smisero di far rumore. Silenzio. Ero in una cella di una prigione probabilmente, aspettando, impotente, la mia condanna a morte.

2

Il generale ci aveva lasciati in città, dicendo che sarebbe andato a farsi curare. Parlò con me in privato, minacciandomi di non fare nulla di avventato, e che mi avrebbe fatto tenere sott'occhio per tutti i movimenti che avrei compiuto da quel momento in poi. La bambina, che non smetteva di piangere, venne portata via da due soldati, che la affidarono alle donne che puliscono la caserma. Si cominciò a diffondere in città la notizia che ci sarebbero state delle esecuzioni pubbliche l'indomani, al rintocco della terza campana. Mi accinsi a raggiungere i bagni della caserma, per farmi un bagno caldo, ma non potevo fare a meno di pensare ancora a tutto quello che era successo fino a poche ore prima. Non sopportavo l'idea che una bambina innocua venisse giustiziata con false accuse, per giunta. Non era questo quello che mi aspettavo dall'Ordine. Sarei dovuto diventare un cavaliere riconosciuto in tutta l'Inghilterra, per esser riuscito ad aiutare tutte le persone che avrei potuto aiutare, allontanando i vecchi e i bambini dalle strade, dando un pasto caldo alle persone che non potevano permetterselo, sedando gli animi dei rivoltosi più con le parole che con la violenza. Tutto questo non era giusto. Il signor Parson, per quante colpe potesse avere, aveva espresso il desiderio di far sì che la bambina fosse risparmiata, ma quel generale, che sembrava tanto magnanimo, si è rivelato essere un uomo egoista, che pensava più a salvaguardare la propria carriera, al costo di sporcarsi anche le mani, piuttosto che salvare una vita umana. Questo era inaccettabile per me. Dovevo andare a parlare con Parson.

Era stato rinchiuso nella Torre di Londra, in attesa di essere condannato a morte per i crimini commessi. Ma avevo bisogno di capire perché aveva fatto tutto ciò, anche per me stesso, perché la mia mente aveva bisogno di far chiarezza. Era palese che il generale Hammond nascondesse qualche verità, che io avevo provato a scoprire, senza successo.

Mi aveva messo addosso due uomini che se ne stavano lì, ad osservarmi a distanza, rendendosi apposta visibili come per dire "fai qualunque cosa e noi ti arrestiamo, senza processo".

Già, senza processo, come quello che avevano fatto con Parson e la ragazzina.

Le ore erano passate senza che me ne accorgessi nemmeno, i pensieri erano arrivati tutti assieme, confusi, come dei cavalli imbizzarriti che devono essere ancora domati. Era notte ormai, e la torre si apprestava ad essere chiusa. Non avevo molte possibilità di intrufolarmi senza essere visto, perciò avevo in mente un piano. Avrei finto di dover parlare urgentemente sotto il comando del generale Hammond con il signor Parson, per avvisarlo che l'indomani ci sarebbe stata la sua esecuzione. Così mi diressi verso la prigione, scavalcando dalla finestra che dava sul cortile d'allenamento, per sfuggire agli occhi dei miei segugi, che se ne stavano appoggiati alle porte della caserma, come a farne la guardia.

L'anima del DannatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora