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Osservavo i raggi del sole che, attraverso i vetri, illuminavano parte della mia camera da letto. Parte di essa era ancora avvolta nell'oscurità. Mi ero incantata a guardare la mia mano che compieva movimenti casuali sopra la mia testa. Il silenzio che fino a quel momento aveva padroneggiato nella stanza venne spezzato dal suonare incessante della mia sveglia.

Emisi un sospiro di frustrazione e abbandonai le coperte sotto cui mi ero sepolta la sera precedente. Erano i primi giorni di giugno ma io, amante dell'inverno, delle cioccolate, dei maglioni e della neve non ero ancora pronta a lasciare solo le lenzuola a coprire il letto.

Mi alzai e osservai il sole che faceva capolino tra due palazzi e si alzava alto nel cielo. Camminai fino in cucina per farmi il primo caffè della giornata rigorosamente senza zucchero o latte. Preparai la moca e la misi sul fornello aspettando che l'aroma si diffondesse in tutta la stanza. Anche se ormai vivevo a Chicago da più di un anno, l'idea del caffè americano mi faceva venire i brividi, preferivo di gran lunga quello che mia madre mi aveva insegnato a preparare, in caso ne avessi avuto bisogno durante i lunghi pomeriggi di studio.

Appena il caffè fu pronto, lo versai nella mia tazza azzurra per poi sorseggiarlo seduta sulla poltrona vicino alla vetrata, mentre osservavo sotto di me la città prendere vita. La mia mente corse ai giorni d'inverno quando al caldo dei caloriferi e di una coperta di pile mi immergevo nella lettura mentre fuori la neve cadeva sulle strade calme e deserte.

Finii il caffè in tutta calma prima di dirigermi in bagno per cercare di porre rimedio alla maledizione che qualcuno aveva lanciato sui miei capelli durante la notte. Il mio parrucchiere si raserebbe a zero se mi vedesse. Tolsi il mio pigiama che consisteva semplicemente in una maglietta di Iron Man e un paio di pantaloncini sportivi, insieme all'intimo bianco ed entrai in doccia. Accesi l'acqua e la regolai su una temperatura né troppo calda né troppo fredda e velocemente mi insaponai i capelli e poi li pettinai per rimuovere i nodi. Quando finii di pulire anche il corpo mi sciacquai e allungai il braccio alla ricerca dell'accappatoio.

Lascia vagare lo sguardo per qualche secondo su tutte le superfici prima di realizzare la mia dimenticanza.

<<Cavolo il cambio.>>

Cercando di bagnare il meno possibile il parquet andai in camera e cominciai a radunare il necessario: reggiseno, mutandine, calzini, un paio di jeans tutti strappati e una canotta bordeaux. Avvolsi i capelli in un turbante e poi mi vestii. Riportai ordine al caos che avevo in testa passando ripetutamente la spazzola tra le ciocche castane. Accesi il phon, la parte che odio di più quando mi lavo i capelli, spostandolo avanti, indietro, a destra e poi a sinistra. Quando la maggior parte dei miei capelli fu asciutta, feci la riga a sinistra come l'avevo sempre tenuta e presi in mano correttore e mascara. Coprii i rossori in alcuni punti del mio viso e quando fui soddisfatta, passai velocemente il mascara sulle ciglia.

Quando uscii dal bagno mi diressi verso la borsa che avevo abbandonato il giorno precedente all'entrata, controllai che il necessario fosse dentro: chiavi, portafoglio, burro di cacao alla ciliegia, cellulare, cuffiette e occhiali da sole. Indossai le mie converse bordeaux e uscii dalla porta cercando di ricordare se fosse tutto apposto. Feci girare tre volte la chiave e scesi dalle scale che portavano alla portineria dove c'erano anche le cassette delle lettere in attesa di essere riempite al passaggio del postino. Presi dalla borsa cellulare e cuffiette infilandomele nelle orecchie e facendo partire le canzoni in riproduzione casuale.

Dopo una decina di minuti di slalom tra uomini d'affari impegnati al telefono, ragazzi in terribile ritardo per la scuola e donne che sorreggevano borse colme di vestiti appena comprati, arrivai al bar.

Venivo qui da quando mi ero trasferita dall'Italia e il caffè era uno dei migliori che avessi mai bevuto.

<<Buongiorno Ben!>> Dissi con un sorriso a trentadue denti. Era tutto parte della nostra recita. Ben, il proprietario, senza far cenno di voler ricambiare il saluto mi porto subito un caffè macchiato accompagnato dalla sua espressione "questa roba ti ucciderà" e un'occhiata che diceva "so che è già il tuo secondo caffè" e non sarà l'ultimo.

In realtà anche se i suoi modi lasciavano intendere altro, gli piacevo. Era alto, con i capelli neri che poco a poco venivano sostituiti da un grigio brillante e occhi nocciola incorniciati da delle rughe. Era un tipo tranquillo e molti pensavano fosse anche un musone. Questo perché non lo avevano visto circondato dai suoi tre figli e due nipoti. Io avevo potuto godere di questo privilegio la scorsa Pasqua dove mi aveva rivelato il suo animo giocoso e aperto verso i suoi figli che sposati o meno erano tornati in città per le feste.

Finii il caffè molto velocemente e lasciai il giusto quantitativo di banconote vicino alla tazza vuota.

<<Buona giornata Ben.>> Mi rivolse un mezzo sorriso mentre dal calmo clima del bar venni catapultata a quello della strada trafficata.

Attraversai ancora un paio di vie e finalmente raggiunsi il mio negozio. Alzai la saracinesca lasciando vagare lo sguardo sull'insegna dove in oro su sfondo nero c'era scritto "La pagina strappata".

Gestivo quella libreria da quasi 10 mesi, ed ero ancora sorpresa che gli affari andassero così bene, anche se essendo in una zona centrale non mi sarei dovuta aspettare altro.

Aprii la porta, lasciandola spalancata nella speranza che arrivasse un po' di aria fresca. L'ambiente era abbastanza grande, ma il caldo di Chicago era insopportabile. Pulii il pavimento di legno dalla polvere e osservai gli scaffali neri con ricami oro, dello stesso stile dell'insegna, che andavano dal pavimento al soffitto stracolmi di libri. Avevano un non so che di antico ed era per questo che mi piacevano e a quanto pare anche i clienti restavano affascinati da quelle vecchie librerie.

Posai la scopa sul retro, e presi il primo di una lunga serie di scatoloni contenenti i nuovi arrivi, avvicinandomi alla scrivania e iniziando a registrarli al computer.

Ero arrivata al quinto scatolone quando sentii dei passi battere sul parquet. Non ci feci caso al momento, troppo impegnata a cercare di non sbagliare il codice che stavo inserendo.

Quando alzai lo sguardo per poco non caddi dalla sedia. Un ragazzo.

Non che non ne avessi mai visto uno ma era davvero bello. Aveva i capelli abbastanza lunghi castani e ricci, gli occhi erano nascosti da un paio di occhiali neri. Non sorrideva, aveva la mascella definita e le labbra premute in una linea mentre leggeva i titoli. Era abbastanza alto: le lunghe gambe erano fasciate da dei jeans neri mentre il busto era coperto da una maglietta bianca a mezze maniche, arrotolate alle spalle che lasciavano intravedere diversi tatuaggi coprire tutto il suo braccio sinistro. Ai piedi aveva un paio di stivali neri che richiamavano i dettagli dello zaino che reggeva sulla spalla destra.

Buon Dio e questo da dove saltava fuori?

Venni distolta dai miei pensieri quando con un libro stretto tra le sue grandi mani, si avviò verso la cassa ovvero dove la sottoscritta se ne stava seduta in adorazione.

Martina, per favore, non combinarne una delle tue.

Posò il libro sul piano, si tolse gli occhiali che infilò nello scollo della maglia e dalla tasca posteriore dei suoi jeans estrasse il portafoglio. Passai il codice a barre del libro sotto il lettore che mi rivelò titolo e prezzo: "Le cronache di Narnia" $ 14,90. Infilai delicatamente il libro in una borsa e una mano entrò nella mia visuale mentre stringeva una banconota da 20 dollari. Alzai lo sguardo e il mio cuore si fermò, come se anche lui volesse osservarlo meglio. Le labbra erano incurvate verso l'alto: rosee, carnose e forse soffici. Mi sarei voluta togliere ogni dubbio. Ma altro attirò la mi attenzione: gli occhi. Erano verdi, ma così su due piedi non riuscii a trovare la giusta tonalità di verde da associargli.

Uscii dal mio stato ti trance, gli sorrisi timidamente, e gli presi il denaro dalle mani per poi restituirgli il resto.

Rispose con un semplice "Grazie" che rivelò una voce profonda e roca, decorata da un adorabile accento inglese.

<<Di nulla, buona giornata.>> Risposi. Sorrise di nuovo e come una goccia di pioggia che cade in un fiume, venne portato via dalla marea di gente che affollava il centro.

Ciao a tutte!

Piacere sono Martina (o Norah se volete!) questa è la prima storia che pubblico, spero vi piaccia anche solo un pochino e se è così non esitate a farmelo sapere con commenti e voti :)

Buona Serata a tutte e Buone feste!!



We're Stardust || h.s.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora