Girai l'angolo, dovevo allontanarmi il più velocemente possibile da lei. Quel leggero contatto all'uscita della classe mi aveva agitato, dovevo andare in camera mia. Magari ripulirla dal disastro di due giorni prima mi avrebbe aiutato a staccare il cervello e a rilassarmi. Già, ancora non avevo ripulito, non ne avevo avuto il tempo, o forse la voglia. Mentre camminavo veloce verso l'uscita della scuola, il pensiero di Lucy saltò alla mia mente. Presi il cellulare e aprii la rubrica per chiamarla. Tre squilli, rispose. "Lucy." "Oh, Derek, dimmi tutto!" "Ho ancora bisogno di te, oggi pomeriggio sei libera per fare un salto al mio appartamento?" Scoppiò a ridere, non aveva una bella risata, era troppo sguaiata. "Derek, mi dispiace, ma questo pomeriggio proprio non posso venire: devo andare in centro con mia mamma, domani è il compleanno di mio padre e ancora non gli abbiamo comprato un regalo." "Ah, va bene." Tagliai corto io. Era meglio non parlare di genitori, e poi la situazione stava iniziando a farmi innervosire. Come avrei trascorso quel pomeriggio, con cosa mi sarei sfogato? Non potevo distruggere altri oggetti della mia stanza. Bastava così, attaccai senza salutarla e presi una decisione: avrei ripulito accuratamente tutto l'appartamento e poi sarei andato in palestra, era tanto che non mi allenavo. Oppure avrei potuto continuare il mio puzzle, quello che ritraeva un precipizio e una persona sul bordo che guardava giù, verso il lago sottostante e le montagne che lo circondavano. Era un bellissimo puzzle, quando lo avrei finito l'avrei incorniciato e appeso a una parete del mio appartamento, come avevo già fatto con tutti i puzzle che mi erano passati fra le mani. Lo avevo comprato quasi un anno prima, nel periodo natalizio, un regalo che mi ero fatto da solo dato che nessuno ci aveva pensato. Girellavo fra le bancarelle del mercatino di Natale, osservando le persone e cercando di indovinare se la loro apparente gioia fosse genuina o inventata, solo perché quello è il periodo "più gioioso" dell'anno. Mentre camminavo, la mia attenzione fu catturata da un banchino davanti a cui tutti passavano frettolosamente, senza fermarsi ad ammirarlo; vendeva puzzle, ed evidentemente quel tipo di intrattenimento non piaceva nessuno. Mi avvicinai lentamente, quasi come in un film, il tempo pareva essersi fermato. Il venditore, un vecchietto canuto, mi guardava mentre mi avvicinavo, quasi incredulo che un ragazzo giovane come me fosse interessato ai suoi articoli. E invece a me interessavano davvero, erano una delle mie tante passioni sepolte, da bambino avevo completato un numero infinito di puzzle, anche molto difficili. Poi, come spesso succede, avevo abbandonato quella passione, dedicandomi a tante altre cose non certo migliori. Ma in quel posto, quel pomeriggio, avevo sentito la mia infanzia sfondare le porte che le avevo chiuso in faccia, impossessarsi di me senza chiedere il permesso. E da quel momento il mio amore per i puzzle tornò, più forte di prima, quasi fosse un'ossessione. Ne comprai dieci, il venditore mi ringraziò come nessuno aveva mai fatto prima d'allora. Fra quei dieci c'era anche quello del precipizio, che mi aveva colpito più di tutti per il forte significato metaforico che aveva per me. In qualche modo rappresentava la mia vita, sempre sul filo del rasoio, sempre a metà strada fra la vita e la morte. Sempre con l'incertezza; mi butto o non mi butto?
Ripensando ai fatti dell'anno prima, ero giunto all'appartamento. Aprii la porta, e con uno sguardo veloce mi resi conto che quella mattina avevo lasciato la luce accesa nel bagno.
Merda. L'elettricità costava, e il mio impiego come commesso del supermercato non mi fruttava molti soldi. Dovevo pagare gli studi, dovevo comprarmi da mangiare, dovevo pagare l'affitto, e il padrone di casa non sarebbe stato contento di sapere di dover spendere di più in elettricità. Stronzo com'era, probabilmente mi avrebbe aumentato l'affitto per quel mese. Spensi la luce e decisi che per il momento mi sarei limitato a ripulire la camera dai vetri rotti. Presi la scopa e cominciai ad ammucchiare i frammenti, a come smaltire la cornice dello specchio ci avrei pensato più tardi. Stranamente, pulire mi rilassava, mi concentravo totalmente su ciò che dovevo fare e non riempivo il mio cervello di pensieri. Quando mi fui assicurato che in terra non ci fossero più schegge, passai l'aspirapolvere e dichiarai la pulizia conclusa. Presi la cornice, l'appoggiai sul muro in un angolo della stanza, e a questo punto non mi rimaneva che andare a controllare il mio amato puzzle, che avevo lasciato per ultimo. Nel corridoio che portava alla "stanza dei giochi", passai in rassegna alcuni dei puzzle appesi ai muri, le mie opere favorite. Erano bellissimi. La tigre bianca con gli occhi azzurri, la foresta amazzonica, il branco di cavalli al galoppo, c'era anche Babbo Natale. Amavo costruire puzzle, era un'attività estremamente rilassante, e tentavo di farlo il più spesso possibile anche per aiutarmi a smettere di fumare, la mia attività rilassante per eccellenza, che mi stava mandando in rovina.
Aprii la porta della mia stanza segreta e accesi la lanterna che stava sulla scrivania, illuminando il puzzle compiuto a metà. Avevo cominciato dai punti meno centrali, le montagne circostanti, il lago in basso e il cielo, e adesso avrei iniziato col promontorio, dal basso se mi fosse stato possibile. Era più forte di me, avevo bisogno di posticipare il più possibile la creazione dell'immagine di quella persona che se ne stava in bilico.