Capitolo 14

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La lezione di chimica non finiva più. L'orologio sembrava andare indietro, invece che in avanti. La voce della professoressa che spiegava la nomenclatura era solo un sottofondo ai miei pensieri, concentrati su tutt'altro, come ciò che era appena successo, o ciò che stava per accadere. Alice aveva parlato con quell'essere, lui le aveva addirittura toccato una spalla. Non volevo immaginare che cosa le aveva detto, o peggio, cosa le aveva fatto, non volevo neppure pensarci. Mi sarei fatto dare spiegazioni da lei più tardi, dato che finalmente avremmo pranzato insieme. Non vedevo l'ora, ma il tempo non accennava a passare. Fingevo di ascoltare la lezione, avevo già ricevuto due rimproveri a causa della mia distrazione e non volevo attirare troppo l'attenzione dell'insegnante su di me. E così guardavo il lento e monotono movimento delle sue labbra, per poi spostare gli occhi sull'orologio ogni trenta secondi circa, pensando che fossero passati minuti dall'ultima volta. Ma forse ne valeva la pena, soffrire così tanto nell'attesa di una cosa bella come lei. Se il traguardo sarebbe stato pranzare con Alice, avrei sopportato qualsiasi tortura. Ma il pensiero di quel Derek non mi abbandonava, pensare che era stato solo con Alice, anche soltanto per qualche secondo, mi mandava in bestia. Lei non doveva avvicinarsi a tipi loschi come lui, e su di lui sapevo un bel po' di cose che non mi piacevano per niente. Non volevo che una cosa bella e pura come lei diventasse terribile e oscura come lui. In ogni caso, la sua espressione mentre Derek le parlava non era stata affatto disponibile, anzi sembrava alquanto infastidita. Meglio così, non ci sarebbe stato il pericolo di un avvicinamento. Anche perché mancava poco, e sarebbe stata mia. Non sapevo dove, non sapevo quando, ma sapevo che il momento non avrebbe tardato ad arrivare.

Mi accorsi che smettendo di controllare continuamente l'ora, il tempo passava più velocemente, e così decisi di iniziare a seguire davvero la lezione, per non dover pensare e per far trascorrere meglio il tempo; e poi perché sarebbe stato meglio impararla, la chimica, dato che era una delle materie che mi causavano più problemi. E si era visto l'anno precedente, quando per colpa proprio di questa materia ero stato bocciato, per dover poi ripetere il primo anno.

I miei pensieri furono brutalmente interrotti dal suono della campanella, che pose fine a quell'attesa torturante. Uscii dalla classe e mi diressi verso quella di psicologia, dato che non volevo andare fino all'ingresso per incontrare Alice, ma volevo farle una sorpresa e farmi trovare subito fuori dalla classe. Mi appoggiai a un pilastro davanti alla porta della sua classe e guardai uscire gli altri ragazzi che seguivano psicologia con lei. Quando furono passati tutti lei non era ancora uscita, e questo mi inquietò un poco, dato che sapevo della sua mania per la puntualità. Il fatto che non fosse ancora uscita dalla classe era piuttosto strano, e il mio pensiero andò subito a Derek, che frequentava la sua stessa classe di psicologia e poteva averla trattenuta dentro per qualsiasi motivo. Andai alla porta e sbirciai dallo spiraglio che i ragazzi avevano lasciato aperto, ma con mio grande sollievo vidi Alice stringere la mano al professore. Mi allontanai velocemente, non volevo essere scoperto, e mi appoggiai al muro accanto alla porta. Alice uscì e sembrò sorpresa dal trovarmi lì davanti, e io non feci a meno di notare che si era vestita in maniera diversa dal normale. Lo avrà fatto per me? Scacciai il pensiero, era probabile, ma dovevo riuscire a mantenere un certo contegno di fronte a lei. Sorrisi, e la salutai. Lei sembrò incantarsi, ma subito con uno slancio mi abbracciò; io rimasi impietrito, non volevo fare mosse sbagliate. Si sciolse dall'abbraccio e mi disse "Allora andiamo?" Annuii e uscimmo dalla scuola, e io la portai verso una panchina che sembrava fatta apposta per noi, in disparte quanto bastava per non essere in mezzo alla folla ed avere un po' di tranquillità. Ci sedemmo, e lei era bellissima. La guardavo, e guardarla non mi bastava mai, avrei voluto contemplare quel volto per l'eternità. Probabilmente si accorse della mia ammirazione, perché ridacchiò ed arrossì imbarazzata. Per fortuna l'imbarazzo fu spezzato da lei stessa, che prese da dentro la borsa un panino farcito solo con pomodoro e insalata, una cosa fin troppo leggera per uno come me. Divise in due il panino e me ne porse una metà, chiedendomi se la volessi. Io le dimostrai che avevo pensato al pranzo tirando fuori dal mio zaino un hamburger che avevo comprato quella mattina, e lei rimase schifata, chiedendomi come facessi a mangiare "quella roba" alle undici del mattino. Ero partito male, non erano passati neanche cinque minuti che già l'avevo schifata, dovevo escogitare un piano per farmi perdonare. Scherza, fai battute, alle ragazze piace. "Beh, tu sei invece troppo salutare" le dissi togliendole il panino di mano e aprendolo per vedere cosa ci fosse dentro, come se lo stessi analizzando. Lei si alzò e allungò una mano verso di me per riprendere il panino, ma io lo sollevai verso l'alto e così lei si trovò a dovermi supplicare, sbattendo i piedi a terra e facendo una voce lamentosa. Sta al gioco, scherza anche lei, non la sto annoiando. D'improvviso Alice si gettò su di me, forse sperando di poter riconquistare il panino, ma io mi buttai all'indietro e caddi a terra, trascinandoci pure lei. I nostri sguardi si incrociarono per un attimo che mi parve infinito, poi la presi per i fianchi e la risollevai, come un vero cavaliere. Volevo che si sentisse al sicuro con me, e quello mi era sembrato il gesto più spontaneo da fare. Lei arrossì un'altra volta, e mi chiese scusa per avermi fatto cadere; ma in realtà non mi aveva fatto cadere, avrei potuto benissimo restare in equilibrio se lo avessi voluto. Non risposi, ma perdendomi nei suoi occhi le presi il mento e la baciai. Credo che quello sia stato uno dei baci più belli che abbia mai dato e ricevuto, ma purtroppo finì troppo presto, e mi ritrovai a gettar fuori tutta l'aria che avevo trattenuto fino a quel momento. Ancora una volta ero stato in apnea, dimenticandomi persino di respirare a causa dell'emozione. "Non ti scusare Alice... È dalla prima volta che ti ho vista che volevo farlo" mi ritrovai a dire. Arrossì in maniera estrema, era adorabile. Non potei fare a meno di abbracciarla, e volli dirle una frase ad effetto che forse l'avrebbe fatta arrossire ancora di più. Le baciai la guancia e mi avvicinai al suo orecchio. "Sei bellissima quando arrossisci". Funzionò. Diventò ancora più rossa e ancora più adorabile, non riusciva a guardarmi negli occhi per più di pochi secondi. "Vuoi stare con me, Alice?" "Sì, voglio stare con te, Tom." Sorrisi felice, guardando la mia ragazza che, forse più felice e incredula di me, si sollevò sulle punte e mi diede un altro bacio. Era il paradiso, avevo aspettato una vita quel momento e adesso era finalmente arrivato.


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