Camminavo con la borsa stretta a me. Tom mi seguiva lentamente, in silenzio. Amavo il silenzio. La gente che mi assillava con domande inutili era insopportabile. Perciò apprezzavo molto il silenzio che Tom mi stava regalando. Superammo un piccolo bar, "Sunny Days", dove andavo a fare colazione quando arrivavo a scuola troppo in anticipo. Tom si fermò all'improvviso. Mi girai confusa e piegai la testa da un lato "Che c'è?" chiesi incredula. Lui guardò il bar e poi di nuovo me. "Senti, vuoi che ti offra qualcosa? Perché io di sicuro mi prendo qualcosa da bere, sto morendo di sete" disse in tono gentile. Annuii e lo ringraziai. Bere qualcosa mi sarebbe servito in quel momento, per poter passare energicamente il pomeriggio di studio intenso. Seguii Tom nel piccolo locale. Era molto grazioso, le pareti erano ricoperte da una tappezzeria a macchie viola e bianche. Era divertente, e in un certo senso moderno. Il bancone era molto lungo, e due baristi erano occupati a servire molta, fin troppa gente. Quel bar era sempre pieno, forse per la simpatia dei camerieri, oppure per la qualità del cibo e delle bevande. Ci mettemmo in fila. Tom aveva suggerito di saltarla, ma vedendo il mio disagio nel farlo accettò di seguire le regole e si mise in fila con me. Quando fu il nostro turno, mi schiarii la voce e dissi "Vorremmo ordinare un caffè macchiato e..." guardai Tom, aspettando una sua risposta. Lui distrattamente disse "Oh, e una Coca Cola" Ero sollevata dal fatto che avesse preso soltanto una Coca Cola e non qualcosa di alcolico, anche perché altrimenti non avrebbe potuto concentrarsi per il resto della giornata.
Dopo una breve discussione su chi avrebbe dovuto pagare, Tom lasciò i soldi sul bancone e uscimmo dal bar. La cosa che più mi piaceva di quel posto era il fatto che anche le bevande calde si potevano portare via. Il barista mi aveva versato il caffè bollente in un bicchiere di carta fatto apposta. Mentre ci avvicinavamo sempre di più al mio dormitorio, bevevo a piccoli sorsi il caffè fumante, e piano piano sentivo l'energia scorrere nelle mie vene. Tom non aveva ancora aperto la sua Coca Cola, stranamente. La rigirava tra le mani, mentre mi raccontava del suo sport preferito, il football americano. Non avevo mai sentito parlare di questo sport. Almeno, non nei dettagli, e Tom sembrava sapere tutto a riguardo. Appena varcammo la soglia della mia stanza mi venne il panico. E se Cathleen fosse ancora nella stanza? E se stesse ancora vomitando? Un brivido di ansia mi percosse la schiena. "Alice? Tutto a posto?" Mi chiese Tom appoggiando una mano sulla mia spalla. Sospirai ed aprii la porta della piccola stanza. Mi guardai intorno. Nessuna traccia di Cathleen, apparte i molti vestiti sparpagliati sul suo letto. La stanza sembrava divisa in due stanze ancora più piccole. Una, disordinata e sporca, di Cath, e l'altra, perfettamente in ordine e pulita, mia. Arrossii per la vergogna. Non volevo che Tom vedesse tutto il disordine di Cath, d'altra parte se lo avessi messo a posto Cathleen non mi avrebbe parlato per mesi, come minimo. Tom si avvicinò a me, e io di scatto feci un passo indietro. "Tutto okay, Alice?" mi chiese in tono preoccupato. "Sì, tranquillo" gli dissi abbozzando un sorriso. Gli illustrai la scrivania dove avremmo dovuto passare tutto il pomeriggio. Presi i libri necessari dallo scaffale di legno vicino al mio letto e li appoggiai vicino a quelli di Tom. Mi sedetti davanti a lui, mentre si accomodava dall'altra parte della scrivania. Sorrisi timidamente e dissi "Bene, allora iniziamo. Da cosa vuoi cominciare?" chiesi in modo eccitato, mi era sempre piaciuto spiegare agli altri. "Uhm... non so Alice, fai come vuoi tu" rispose lui . Era palesemente già stanco. Riflettei, e dopo un po' tirai fuori il libro di letteratura inglese e lo aprii sul capitolo di Shakespeare, il mio poeta preferito. Lui fissò le pagine e disse brevemente "Tu mi vuoi uccidere, vero?", tormentandosi i capelli con un dito. Ridacchiai e scossi la testa. Iniziai ad introdurgli la vita del mio amato poeta inglese, mentre Tom sembrava non ascoltare. Mi fissava ma il suo sguardo era perso, e questo mi infastidiva e mi divertiva al contempo. Dopo avergli spiegato la trama di "Hamlet", mi fermai. Schioccai le dita davanti al suo viso perso. "Tom? Mi stai seguendo?" Chiesi ridendo.
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Era lì, che mi guardava con quei suoi occhioni blu. Così belli, così profondi. "Tom? Mi stai seguendo?" mi chiese con voce limpida e chiara, come sempre. Scossi la testa e ritornai nel mondo reale. "Eh... si... scusa, mi ero perso." Dissi scuotendo la testa imbarazzato. Ma in fondo, come si poteva stare concentrati di fronte a una tale bellezza? Lei, gentile com'era, mi rispiegò nei minimi dettagli tutto quello che aveva detto fino a quel momento, ma io mi concentravo solo sul movimento delle sue labbra mentre parlava e sui suoi capelli neri che ricadevano sulle spalle bianche. Era davvero molto bella. E lei non se ne rendeva neanche conto. D'un tratto le presi la mano e lei, confusa e allarmata, si fermò con la spiegazione. Potevo sentire dal polso il suo cuore troppo buono che batteva. Ritrassi la mano e scossi la testa "Scusami Alice. È che... sei davvero molto bella oggi" dissi. Non sapevo cosa dire, ma non potevo restarmene zitto. Lei si morse l'interno della guancia e annuì. Ma non rispose. Avevo fatto male a lusingarla?
Dopo minuti di silenzio una sua domanda mi spiazzò.
"Sai chi è quel ragazzo che era alla festa l'altra sera? Quello riccio alto e con gli occhi verdi." chiese lei evidentemente in imbarazzo, dato che evitava il mio sguardo. "Beh... si. Si chiama Derek. È un ragazzo da evitare, Alice, soprattutto una come te, non devi avvicinarti a lui. Non promette niente di buono." Dissi cercando di farle capire che Derek era una brutta persona. Lei annuì e aggiunse "So che è una brutta persona. Ho avuto a che fare con lui, ed è stato davvero arrogante e maleducato." Disse lei sentendosi quasi offesa. "Si, lo è Alice" proseguii rassicurandola con un sorriso. Per fortuna non le interessava Derek. Si vedeva che lei era più matura. Non come le altre galline che cadevano ai piedi di quel ragazzo troppo chiuso e violento.
Mi alzai ed andai a sedermi dalla parte di Alice. Con sua grande sorpresa la presi in braccio e la portai sul letto. Lei ridacchiò nervosamente. "Ma che fai Tom?!" Chiese, picchettando i pugni sulla mia schiena. La feci sedere sul bordo del letto e la abbracciai. La guardai negli occhi. "Di me ti puoi fidare Alice. Davvero." In risposta lei annuì e mi abbracciò. L'abbraccio era caloroso e sapeva... beh, sapeva di lei. Di fiori.
Un giorno o l'altro lei sarebbe stata mia. Ne ero sicuro. E dietro alle sue spalle, in quel caldo abbraccio, sorrisi a me stesso.