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Le vacanze erano ormai finite e bisognava tornare alle nostre noiose vite. Alzarsi di nuovo presto, fare la cartella e preparare i vestiti la sera prima di andare a letto, ma - soprattutto - niente più feste con gli amici. Beh, in realtà, le feste continuavano anche a Milano, ma inspiegabilmente  io  non ero mai invitata. Ero sempre stata una ragazza presa di mira dagli altri, quindi ormai mi ero abituata a stare per conto mio senza che mi pesasse più di tanto. Per mia fortuna, almeno, avevo Edoardo. Stavamo insieme da due anni e, nonostante la nostra giovane età, ci amavamo tantissimo. Ci conoscemmo ad una festa due anni prima e, fin da subito, scoppiò la folle passione della prima cotta. Ammetto che nel tempo ci furono un paio di tira e molla, ma niente più di quanto ci si potesse aspettare da una coppietta di quindicenni. Comunque, quasi senza percepire il passare del tempo, le settimane diventarono mesi, i quali divennero anni. Mi sembrava una relazione semplice, senza complicazioni di nessun tipo. Non discutevamo mai e sembrava che il suo unico obbiettivo fosse quello di compiacermi ...Ma quanto mi sbagliavo. Io ed Edo, eravamo soliti vederci il venerdì pomeriggio dopo il rientro scolastico, e così anche quel giorno. Sapendo che mi sarebbe  venuto a prendere a scuola, la mattina mi vestii con l'abito più bello che trovai nell'armadio di mia sorella per poi fiondarmi fuori di casa, senza farmi vedere da lei,  in meno di cinque minuti. La prima metà della mattinata filò liscia, finché all'intervallo la mia migliore amica , Cristina, mi convinse che il mio abbigliamento non faceva proprio al caso per un'uscita pomeridiana. In effetti fare un giro in centro con vestito e zeppe non era proprio il massimo.. Ma più che le loro parole, ciò che mi fece cambiare davvero idea, furono i loro sguardi, che mi convinsero a fare una capatina in pausa pranzo nel piccolo negozietto di Flo' davanti alla scuola. Flo era un'istituzione per noi ragazze. Nel mio caso, significava che ogni volta che andavo avevo la certezza di trovare due capi di ottima qualità che mi cadessero a pennello; il tutto spendendo meno di venticinque euro. Erano le due quando arrivai in classe insieme ai miei compagni che stavano tornando dalla pausa pranzo ancora con i panini in mano. Cristina vedendomi con i sacchetti in mano capì che avevo saltato il pranzo e mi offrì l'ultimo morso della sua piadina. Le due ore successive volarono, tanto che quando fissai l'orologio erano già le quattro. Con il suono della campanella presi cartella e sacchetti e mi diressi in bagno, dove feci un veloce cambio d'abito con l'aiuto di Federica. Aspettai sul marciapiede per venti minuti con Filippo, ma di Edo nessuna traccia. Filo gentilmente mi accompagnò fino a casa rassicurandomi riguardo l'accaduto. Era fantastico con me, il migliore amico che mi potessi aspettare di trovare al liceo. Abbracciarlo mi scaldava il cuore, come se stessi abbracciando l'orso Yoghi. Quella sensazione di sicurezza, però, svanì non appena vidi una scena da rivoltare lo stomaco aspettarmi sulla panchina in piazzetta sotto casa. Edoardo stava limonando con la sua ex. Ero così accecata dalla rabbia che corsi verso di loro, mentre Filippo cercò di afferrarmi per lo zaino. Lei gli stava appiccicata, le braccia intorno al suo collo e le labbra posate sulle sue. Inizialmente quasi non si accorsero di noi, ma non appena Edo alzò gli occhi, si fermò fisso a guardarmi.
«Che...che cazzo ci fai già qua?» disse con voce tremante.
«No, che cazzo ci fai TU con...quella!»  risposi indicandola.
Non riuscivo proprio a comprendere quello che mi accadeva intorno e non importava quanto mi sforzassi di caricare le mie parole di rabbia e disgusto, da ognuna di esse traspariva solo  tristezza e delusione. Lui si staccò da quella che possiamo definire ragazza e mi venne  incontro cercando di calmarmi accampando scuse di ogni ti tipo, come dirmi quanto mi amasse. Io mi limitai a guardarlo, finché scoppiai in una amara risata. La mia mente  non era in grado di capire il perché del suo comportamento, soprattutto perché non mi sembrava di avergliene dato motivo. L'unica cosa che mi venne in mente di fare fu afferrare per il bordo della felpa Filo, che per tutto il tempo era rimasto lì accanto a me come a sostenermi, e dirigermi a passo veloce verso il portone di casa lasciando li Edo e la sua nuova "amica". In quei pochi passi speravo solo di riuscire a non piangere, così da evitare che Edo mi vedesse in quello stato, ad essere onesta non tanto per l'affetto che una volta provavo per lui, ma per puro orgoglio. Quando entrambi fummo davanti al portone di casa mia lo salutai giurandogli che la sera stessa lo avrei chiamato. Lui mi strinse in uno dei sui rassicuranti abbracci e poi se ne dovette andare. Il suo abbraccio almeno mi tranquillizzò un po'..Quando, alla fine, con gli occhi colmi di lacrime, rimasi da sola  davanti al portone, senza sostegno, qualcuno mi prese il braccio e lo tirò indietro. Nello stesso istante in cui capii chi fosse persi di tutto il senno della ragione.
«Edoardo non toccarmi. Mi fai schifo !» gli urlai contro con tutto il dolore che potevo provare in quell'istante, ma lui non si staccò. Senza neanche pensare un secondo, scansandomi dalla sua presa,  mi girai e gli tirai uno schiaffo lasciandogli le 5 dita, rosse, sulla guancia. Ormai, esasperata e con le lacrime che sgorgavano dagli occhi, a passo svelto mi rintanai in casa, rinchiudendomi  in camera per tutta la sera. Edoardo mi chiamò tutta la notte e mi scrisse un'infinità di messaggi che, ancora singhiozzante, rifiutai. La mattina seguente con molta fatica mi alzai e, trascinandomi con le ultime forze rimaste, mi preparai per andare a scuola. Ero letteralmente un disastro. I capelli che di solito sono delle morbidissime onde rosse erano dei selvaggi e nodosi ricci, gli occhi che di solito sono luminosi e pieni di vita, erano spenti, rossi e gonfi per le lacrime. Con i capelli disordinati, il trucco messo a casaccio e dei vestiti  XXL, andai a scuola. Le lezioni sembravano eterne e le ore non passavano più. Quando finalmente trillò la campanella dell'intervallo, presi merenda e telefono, mi fiondai fuori. Con gli auricolari al massimo posti nelle orecchie cercai di isolarmi il più possibile da questo mondo. Cercavo ancora una volta una spiegazione per l'accaduto del giorno precedente ma non trovavo risposta plausibile. Sia Filippo, che era un po' triste dal fatto che la sera scorsa non lo avevo chiamato, sia Cristina cercarono di consolarmi ma preferii stare da sola nel mio angolino. La campanella per mia sfortuna suonò e dovetti ritornare in classe. Le ore dopo per mia gioia volarono  e al trillo della campanella mi catapultai a casa. Da quel triste  giorno passarono ore, settimane, mesi, ma io continuavo a richiudermi in me stessa.
I primi 2 mesi di scuola passarono lentamente -troppo lentamente- ed io, man mano che passano i giorni, mi chiudevo sempre di più nel mio guscio, sola con le mie emozioni. Una fredda  mattina di Settembre, durante la noiosissima lezione di inglese del prof Lombardi, Cristina mi chiese di andare con lei e Fede, il suo ragazzo, a mangiare un panino nella paninoteca accanto a scuola. Per i primi venti  secondi rimasi zitta, sia per pensare se accettare o no sia perché il prof stava proprio guardando nella mia direzione e se avessi parlato mi avrebbe richiamata. Quando ebbi finito di immaginarmi tutti i modo in cui sarebbe potuta andare male la giornata, decisi di affiancare tutti i miei pensieri accettando l'invito. Finalmente scoccò la campanella dell'ultima ora e fuori da scuola c'era  Fede che ci aspettava. Andammo al solito baretto all'angolo della strada e, appena fummo dentro, ci sedemmo ad un tavolo vicino alla finestra. Mentre stavamo seduti aspettando affamati le nostre piadine, ascoltavo attentamente i loro discorsi e le loro buffe critiche sulle ragazze di prima che si vestivano come delle troiette, fino a quando non venni distratta da qualcuno. Una brezza gelata entrò nel caldo bar  facendomi rabbrividire. La porta si aprì ed entrarono cinque ragazzi. Il quinto ragazzo, l'ultimo ad entrare, mi  colpì. Era un ragazzo alto dai capelli color castano chiaro e gli occhi di un verde intenso. Mentre, come una rimbambita, stavo li immobile a fissarlo il primo dei cinque ragazzi, Pietro,  salutò Federico. 
«Hey  fede come stai ?» disse battendogli il cinque.
Quando finalmente riuscì a distogliere lo sguardo dal ragazzo dai magnetici occhi verdi mi misi a fissarli uno per uno. Erano vestiti tutti da "motociclisti" ed erano ricoperti di tatuaggi. Adesso, dopo averli guardati tutti, mi mettevano leggermente in soggezione. Antonio, l'altro ragazzo di cui sapevo il nome, si accorse che li stavo fissando, allora per alleviare il disagio si presentò e poi gli altri lo seguirono in coro a parte il bellissimo ragazzo dagli occhi verdi. Stava appoggiato al tavolino accanto guardando continuamente il suo telefono con uno stupido ghigno sulla faccia. Inutile dire che avrei voluto vedere troppo cosa gli aveva spuntare quel sorriso stupendo. Cercai in tutti i modi di non fissarlo negli occhi perché se no questa volta avrei fatto una figuraccia, allora guardai il suo abbigliamento. Era molto più bello, ovviamente, rispetto a quello degli altri quattro. Aveva una camicia bianca ,dei jeans neri e una giacca di pelle nera aperta. Decisi anche io alla fine di fare come il ragazzo di fronte a me accendendo il telefono e mettendomi a guardare le foto di Facebook. Per mia fortuna o sfortuna, bisognava decidere da che lato guardare la situazione, arrivò la fine del pranzo e quel gruppo di ragazzi uscì  dal bar. Guardai per l'ultima volta il ragazzo dai magnetici occhi verdi; Poi scostai il mio sguardo su Cristina e Federico che  scherzavano e ridevano fra di loro. Prima che la tristezza prendesse nuovamente il sopravvento una voce risuonò «Hey tu , ciao eh ..!» il ragazzo dai fantastici occhi verdi mi fissava con un sorrisetto, lo stesso che aveva anche prima quando guardia il suo cellulare. 
«Ehm... Ci..ciao» Speravo non vedesse il mio volto; occhi che luccicano e guance rosee. Dire che ero letteralmente paralizzata e non poco. Diventai sempre più rossa e dovetti girare il volto verso la finestra per coprire il rossore che si creava sul mio volto. Ai me non riuscì nella mia impresa di non fargli vedere il mio imbarazzo e con la coda dell'occhio riuscii a vedere un sorriso sulle sue  labbra e scuotendo il capo uscì da quella dannata porta. Non lo vidi per due lunghissime settimane quando finalmente ci rincontrammo. Frequentavamo un corso extra di letteratura a scuola però visto che lui era un anno più grande di me e le classi non erano le stesse, ci incrociavamo al cambio d'ora. Ogni volta che i miei occhi incrociano quei due smeraldi mi bloccavo persa in quel verde che mi riusciva mettere ansia come riusciva a tranquillizzarmi. Dopo quasi due interminabili settimane mio padre tornò a casa dopo un lungo viaggio d'affari. Ero contentissima di vederlo, perché con mio padre avevo un rapporto più stretto che con mia madre; non che andavo a parlargli delle mie cose private, ma lui riusciva in qualche strano modo a comprendere il mio comportamento: starmene un po' per gli affari miei, ascoltare la mia a tutto volume e il mio modo di perdermi nei libri . Era un'uomo molto elegante. Si vestiva sempre con pantaloni cachi, camicia bianca, cardigan e mocassini. Insomma era un papà perfetto. Con lui avevo un rapporto che con mia madre non sono mai riuscita ad instaurare . Non riesce molto a sopportare il mio carattere così diverso del suo. Lei, appunto, va molto d'accordo con mia sorella che, a sua volta, è identica a mia madre. Siamo una famiglia un po' particolare ma a me va benissimo così. Quando mio padre si è svestito è messo in pigiama mi butto sul divano accanto a lui posando la mia testa sulla sua spalla addormentandomi beatamente accanto a lui . Una sera Cristina mi obbligò a uscire con lei per fare una serata da "sole ragazze" a casa sua. Come si fa di solito a questi incontri tra migliori amiche, mangiammo cibo spazzatura. Quando tornai, aprendo la porta di casa, stanca per tutte le risate fatte tra di noi notai che mio padre e mia madre erano rinchiusi in camera loro. Da quella stanza fuori uscivano urla su urla tra quelle di mio padre e di mia madre. Fu lì, in quel preciso istante, che il modo mi cadde addosso. La grande ombra sfocata di mio padre che prendeva una valigia, la riempiva, e con tutta la sua rabbia usciva dalla porta di casa. Sperai con tutto il cuore che la mattina seguente sarebbe tornato indietro e invece mi sbagliavo. Piansi tutte le notti. Continuavo a disperarmi , urlando rinchiusa in camera mia come se stessi per scoppiare da un momento all'altro. Mio padre era uscito da quella porta uscendo anche dalla mia vita sbattendo la porta di casa in faccia a me e al mio affetto immenso verso di lui. Non potevo più sentire la sua dolcissima voce, non potevo più sentire le sue braccia stringermi ne le sue maledette pretese. Non potevo più sentire i suoi rimproveri le mattine quando entrava in camera mi e mi trovava a dormire invece che a studiare, non potevo più sentire nulla di lui, NULLA!
Mia madre, dopo l'accaduto, era gelida più del ghiaccio. Non riuscivo a capire se soffrisse davvero come soffrivo io ma vedevo che era distrutta per l'accaduto.  Piano piano che passavo i giorni lei si tranquillizzava e man mano tornò quella di prima. Tornò quella forte, indipendente, iperattiva, dolcissima ma alcune volte schizzata donna a cui volevo tantissimo bene. Lunedì mattina la sveglia suonò prima del previsto, quindi per rinfrescarmi un po' le idee mi alzai e mi feci una doccia fredda. Mi sedetti sotto il getto, tirai le ginocchia al petto e lasciai scorre l'acqua su di me come mi lascio scorrere addosso e scivolare via da me gli insulti. Non bastava che la scuola fosse una merda, ora anche una delle persone a cui volevo più bene dove andarsene, abbandonarmi. Speravo che almeno l'acqua che mi scorre fredda lungo il corpo mi calmasse, affievolisse il dolore, che mi facesse smettere di pensare a mio padre per qualche istante ma non avevo tregua. Le lacrime scivolavano giù dagli occhi come le gocce dell'acqua scivolavano giù dal getto e cadevano sulle mie spalle. Mi rimproveravo, continuamente, come se ogni goccia fosse una sua parola.  Dovetti uscire dalla doccia, per avere tempo di asciugarmi i capelli, e per tranquillizzarmi. quando fui completamente asciutta tornai a letto, accesi la mia lampadina, presi il mio diario e inizia a scrivere e scrivere sul quanto stavo male, sul quanto facesse male soffrire per una persona speciale . Lui non era solo mio padre, lui era la mia felicità. Mi faceva sentire felice . Non mi rimproverava se mi comportavo un po' da assolutista stando nel mio mondo per un tempo indeterminate invece mia mamma...ehm lo faceva, spesso. Sono sempre stata una che preferiva stare da sola, visto che veniva solo presa in giro. Stavo chiusa nella mia cameretta verde, con i miei disegni, libri e musica. Trovavo tutto quello che centrava con l'amore troppo smielato tipo quelle storie che sono nettamente come i film romantici...troppo finte per essere vere, secondo me. Ero strana ma questa ero io. Molti dicevano che ero asociale ma non era vero, è che stavo bene solo con pochi. Quei pochi che riuscivano a comprendermi nel mondo erano solo due: Marco e Filippo i mie migliori amici. Andai avanti a scrivere fino a quando i mio corpo non cadde di nuovo in un sonno profondo.

Parlami di te (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora