2.

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La mia vita era monotona, e non c'era bisogno di una scienziato per appurare una cosa che era, senza dubbio, un dato di fatto. Inoltre sembrava che la mia amica Cassie fosse entusiasta nel ricordarmi questa mia monotonia; la mattina seguente mi svegliai grazie ad un suo messaggio in cui inveiva contro di me sia per non averla richiamata la sera prima, sia per questo mio continuo chiudermi in me stessa.
Che palle!
Possibile mai che non potessi essere padrona nemmeno della mia vita? Era la mia migliore amica e le volevo molto bene, però quando faceva così, quando voleva a tutti i costi controllarmi, mi dava ai nervi e se aggiungiamo a questo il messaggio intimidatorio, dopo la notte insonne che avevo passato per colpa della poca professionalità di un cliente invadente, ero pronta a scoppiare per qualsiasi cosa che non rientrasse in quella monotonia che consapevolmente mi ero creata.
Per questo quella mattina entrai furiosa nel mio ufficio.
«Sign...»
«'Giorno Nadia. Oggi non sono dell'umore adatto» le dissi liquidandola ed entrando nello studio.
Mi diressi verso la scrivania e mi lasciai andare sulla sedia.
Volevo stare sola, non volevo nessuno che potesse disturbarmi. Ne andava della mia salute psicofisica.
Come di consuetudine accesi il computer e controllai velocemente le e-mail, facendo di tutto per non guardare quelle e-mail. Un tutto che sembrò inutile perché non sapevo quello che di lì a poco sarebbe successo.
«La signorina O'Connor?»
Alzai lo sguardo e fulminai quel fattorino che si era azzardato ad entrare nel mio studio senza nemmeno la decenza di bussare alla porta.
«Non legge?» gli chiesi furiosa mostrandogli la targhetta sulla scrivania.
«Già, mi scusi ma sono rincoglionito questa mattina» disse e avrei tanto voluto rispondere "E chi se ne frega?"
«Questi sono per lei» disse muovendo qualche passo e porgendomi un enorme mazzo di rose rosse.
Lo presi e lo posai sulla scrivania.
«E questo anche» disse dandomi anche un bigliettino, bigliettino che afferrai subito, pronta ad incendiarlo, ma curiosa di sapere chi fosse il folle che aveva compiuto un gesto così avventato anche se una qualche idea ce l'avevo.
«Sa per caso dirmi chi le ha fatto l'ordinazione?»
«No, mi spiace» disse e con un sorriso stampato in volto se ne andò. Ovviamente tutto questo senza salutare.
Era il secondo uomo che usciva da questo studio senza salutare, sembrava quasi che avessero dimenticato tutti cosa fossero le buone maniere. Lasciai da parte i miei pensieri e mi concentrai sul bigliettino, lo lessi attentamente e sbuffai.
Quell'uomo era pieno di presunzione e per quanto mi riguardava aveva troppo sicurezza. Non era grazie ad un paio di rose rosse che sarei andata a cena con lui.
Si sbagliava di grosso se pensava di comprarmi a questo modo! Figuriamoci, odiavo le persone materialiste, quelle che dovevano comprarsi l'affetto delle persone, quelle che promettevano di regalarti il mondo per un po' d'attenzione. Quello che mi chiedevo era come gli fosse passato per la testa di comprarmi un mazzo di fiori...

Anche se è profondamente maleducata, queste rose sono per lei.
Spero di aver indovinato il suo colore preferito,
perché se così fosse il rosso sarebbe il
nostro colore.

L'unica cosa da cui non riuscivo a staccare gli occhi era quel "nostro colore" messo in evidenza da una sottolineatura pesante, come se lui stesso avesse cercato di marchiare quel biglietto con quelle due parole.
Era pazzo. E su questo ne ero certa, ma perché, mi chiedevo, doveva per forza uscire con me? Per quale motivo?
Non lo avrei mai scoperto, perché non avevo intenzione di accettare un suo invito né ora, né mai.
Accartocciai il bigliettino e lo buttai nel cestino di fianco alla scrivania, pensando di fare la stessa cosa con i fiori, ma in fondo loro che c'entravano? Li presi e li spostai su un altro tavolo. Avrei chiesto a Nadia di procurarsi un vaso con dell'acqua e occuparsi dei fiori.
Ero davvero scettica e perplessa, quell'uomo continuava ad adularmi e non mi conosceva nemmeno.
Decisi che forse era il caso che non pensassi più a lui e a tutto quello che me lo faceva ricordare perché altrimenti mi sarei innervosita e avrei finito per passare un giornata poco piacevole. E non ne avevo voglia.
Mi dedicai al mio lavoro per buona parte della mattinata dimenticandomi delle rose, delle chiamate e delle e-mail... dimenticandomi persino della promessa che avevo fatto a Cassie riguardo la sfilata.
E per buona parte di quella mattinata, che mi sembrava essere iniziata nel modo sbagliato, mi sentii bene. Mi sentii finalmente me stessa. Quella Emy lontana da tutto e da tutti, quella che vuole solo lavorare per non sentirsi circondata da persone ipocrite e viscide.
Quella che vuole stare nel suo mondo.
«Signorina c'è una chiamata per lei sulla 3»
Spinsi il bottoncino verde e ringraziai Nadia alzando poi la cornetta del telefono mentre cercavo di schiarirmi la voce.
«Qui lo studio del dottor O'Connor» dissi mentre mi portavo una mano tra i capelli.
«Quanta formalità O'Connor»
I miei tentativi di far passare quella giornata in tranquillità erano andati in fumo.
Ancora lui. Cos'altro voleva?
«Cosa vuole questa volta?»
«Essere ringraziato, non crede?»
Oh già, le rose. Per me quelle rose poteva infilarsele...
«So cosa sta pensando in questo momento»
«E cosa, vostra grazia?»
«Che quelle rose potrei mettermele in un altro posto» disse con tono deciso.
Wow, sapeva persino leggere nel pensiero?
Così scoppiai a ridere per celare il mio stupore e irritazione e lo sentii ridere a sua volta.
Una bella risata...
Cancellai subito quel pensiero che mi aveva per un momento folgorato e mi concentrai sulla chiamata e sulla voglia che avevo di terminare quella inutile telefonata.
«Vede che è maleducata? Ridere di un regalo non è da signore»
«La mia educazione la riservo a chi so per certo che la meriti, e lei non mi sembra una di queste» dissi passandomi una mano sul viso. Che quest'uomo mi avrebbe mandato al manicomio era cosa appurata oramai.
«Quant'è arrogante signorina O'Connor»
Strinsi i pugni e mandai giù la bile, non volevo dargli altro su cui sparlare.
«Sarò gentile questa volta, cosa vuole da me signor Gandy?»
«Gliel'ho già detto mi sembra. Voglio essere ringraziato»
«Ma il ringraziamento per un gesto che ha volutamente fatto non può essere preteso» gli dissi, pronta a non farmi mettere i piedi in testa.
«Ma lei non è mai gentile con me»
«Perché dovrei esserlo?» gli dissi, ma non lo sentii rispondere e pensai quasi che avesse riattaccato.
«Le sembra così strano che io voglia uscire con lei?» mi chiese e... ed io non sapevo cosa rispondere. Mi stava mettendo con le spalle al muro ed io non volevo. Perché doveva ammutolirmi con poche parole mh? Chi era lui? Se non un altro dei tanti uomini sicuri di sé e così spocchiosi da credere di poter far cedere ogni donna ai loro piedi?
«Mi sembra strana e impossibile la sicurezza che ostenta, crede davvero che accetterò?»
«Sì»
Una sola parola, dritta, sincera ed oltremodo sicura.
Chi diavolo sei David Gandy?
«Allora si sbaglia» gli dissi sicura di me stessa.
«Vedremo O'Connor»
«Grazie, ma non ci tengo» dissi acida, ormai aveva passato il segno e non lo sopportavo quasi più. «Gradirei che lei ora mi lasciasse lavorare» aggiunsi.
«Volevo solo dirle che quella camicetta bianca le dona molto. Buona giornata» e attaccò, lasciandomi a bocca aperta. Lasciandomi sorpresa e senza parole.
Riagganciai il telefono guardandomi intorno. Telecamere non ce n'erano, ovvio che no, così mi avvicinai alle vetrate dello studio. Che mi spiasse da alcuni dei palazzi vicino?Impossibile, se così fosse ero pronta a denunciarlo per stalking. E di credenziali per farlo cadere in una simile accusa ne avevo molte. Chiamate continue, regali indesiderati e... ed una presa per il culo dalla questura.
Nessuno mi avrebbe ascoltata o tantomeno creduta, ne ero consapevole e mi avrebbero persino derisa. Perché agli occhi degli altri quello che questo odioso uomo stava facendo a me era una semplice ed insistente corte.
Oddio che mal di testa!Forse era il caso che me ne andassi a casa, almeno da sola avrei avuto modo di pensare e lasciare da parte ogni pensiero che si riconduceva a lui.
Spensi il portatile e raccogliendo le mie cose mi apprestai ad uscire da lì, nemmeno il mio studio era più un porto sicuro.
Corsi per il corridoio sotto lo sguardo incuriosito di Nadia e raggiunsi le scale, che imprudentemente feci correndo con il pericolo di slogarmi una caviglia a causa dei tacchi. Maledette scarpe e maledetto il mio lavoro!
Quando l'aria gelida di Dicembre mi sfiorò il viso mi sentii molto meglio. Essere messa così sotto pressione da un uomo di cui non sapevo nulla, aldilà del nome, mi soffocava. Inspirai a pieni polmoni e mi avviai verso casa. Non era molto lontana dal mio ufficio così me la presi con calma, cercando di respirare con calma e lasciando che l'aria Dicembrina mi rilassasse e, anche se il vento sferzava contro il mio viso, come lame taglienti ed affilate, mi sentivo bene.
Arrivai a casa infreddolita, ma con il respiro regolare e la mia mente svuotata. Aprii il portone e salii le scale velocemente, con la voglia di un bel bagno caldo e un bel libro da leggere.Ma quando stavo per aprire la porta una voce mi paralizzò.
«Sono felice di rivederti»
Mi voltai incredula verso quella voce e tutto quello che avevo tra le mani mi cadde a terra. Non poteva essere vero, come mi aveva trovata?
«Cosa ci fai tu qui?» chiesi, quando mi accorsi della roba a terra.
«Sono qui per te» disse avvicinandosi, ma io mi allontanai.
«Non provare a toccarmi» gli dissi e lo guardai dritto negli occhi.
«Come vuoi» mi disse e si rimise con la spalla contro il muro, portandosi le mani dentro le tasche dei pantaloni. Gesto che mi aveva sempre affascinata, che mi aveva sempre fatto battere il cuore perché immaginavo le sue mani su di me, quando mi cullavano, quando mi accarezzavano... quando mi facevano sua.
Scacciai quei pensieri dalla mia mente e cercai di ricordarmi il motivo per cui la nostra storia era finita. Lui mi aveva mancato di rispetto, come donna e come persona. Lui mi aveva tradita. E il cuore di una donna tradita è impossibile da riconquistare.
«Andrew perché sei qui?» chiesi provando un brivido nel momento esatto in cui pronunciai il suo nome.
«Perché ti voglio»
Mi poggiai anch'io contro il muro e chiusi gli occhi. Non era vero, niente di tutto ciò che stava accadendo era reale. Non poteva.
«Andrew se mi volevi davvero non avresti dovuto scoparti quella puttana nel mio letto» dissi con fatica, guardandolo di traverso.
«Ho sbagliato lo so, ma non credi che un anno lontano da te mi abbia fatto realmente capire cosa voglio?» mi chiese ed ero indecisa se ascoltarlo o meno.
Forse era meglio ignorarlo, d'altronde sapevo quello che avrebbe detto e non ero così sicura di volerlo sentire.
«Vattene» gli dissi e chiudendo gli occhi non mi accorsi della sua vicinanza fino a quando non sentii le sue mani sui miei fianchi e il respiro sul mio collo.
«Lily ti prego» mi disse, mentre la presa sui miei fianchi si intensificava, facendomi ricordare tutte quelle notti di fuoco quando visi aggrappava e mi amava completamente.
«Andrew te lo ripeto un'ultima volta: vattene» dissi serrando la bocca quando sentii la sua baciarmi la punta del naso.
«No» e una sua mano accarezzò una mia guancia.
Cercai di togliermelo da davanti, ma era così pesante che non riuscivo a smuoverlo neanche di mezzo millimetro. Ne avevo fin sopra i capelli di uomini che volevano decidere al posto mio o che pensavano cosa fosse giusto per me.
«Ti ho detto di andartene!» urlai spintonandolo quando mi accorsi che una sua mano stava scendendo tra le mie cosce.
Lui si allontanò e mi guardò. Tutta.
«Ti amo ancora»
«Io no, fattene una ragione! Ah, e un'ultima cosa: Come. Cazzo. Mi. Hai. Trovata? Sentiamo?»
Lui sorrise e cercò di accarezzarmi nuovamente ma scansai la sua mano.
«Non toccarmi e rispondimi»
«Sempre arrogante eh? »
Lo spinsi ancora e lo guardai con le lacrime agli occhi, anche se sapevo che non avrei dovuto piangere, che non avrei dovuto dargli questa soddisfazione.
«Dimmelo!»
Dovevo sapere a tutti i costi come mi aveva trovata. Dopo che ci eravamo lasciati avevo cambiato vita. Casa, ufficio, numero di telefono, indirizzo e-mail eppure lui mi aveva trovata e la cosa non mi metteva tranquillità.
«Ho le mie fonti» disse sorridendo e lì non risposi più di me stessa.
«Bene, puoi mettertele nel culo tu e le tue fonti» dissi raccogliendo le cose a terra, estrassi poi le chiavi di casa dalla borsa e, una volta entrata, gli chiusi la porta in faccia.


«Non posso crederci che si sia presentato a casa tua!»
«Credici perché è successo»
«E' fuori di testa!»
«Non ne avevo dubbi» risposi mentre mi infilavo nella vasca.
«Come ha fatto a trovarti?»
«E' quello che gli ho chiesto e sai cosa mi ha risposto? "ho le mie fonti"»
«Mi preoccupa Emy, non è sano di mente, che ti abbia fatta pedinare?»
«Spero di no...» dissi ormai esausta.
«Senti Emy che ne dici di chiamare un investigatore?»
«Per dirgli cosa Cassie? »
«Che c'è un uomo che ti pedina cazzo! Ti sembra stupida come cosa?»
«E' presto Cassie. Troppo presto per tirare delle conclusioni» e sentii la mia amica sbuffare.
«Presto? Non è normale che lui sappia il tuo nuovo indirizzo di casa... comunque ok, come vuoi, ma tu Emy... tu come stai?» mi chiese la mia amica.
«Sto... bene» dissi.
«Emy... non devi fingere, non con me, e lo sai»
«Cosa dovrei dirti? Mh? Che era così dannatamente bello che avrei voluto farlo mio sulla porta di casa? Che desideravo un suo bacio? Una sua carezza? Cosa diavolo dovrei dirti?» dissi alzando la voce.
«Tutto quello che ti fa sentire meglio»
«Provo ancora qualcosa per lui, ok? Non ne sono innamorata come una volta questo è certo, ma questa sua ricomparsa mi ha fatto capire che c'è qualcosa che ancora provo e mi dà fastidio. Io non voglio dipendere da lui, non voglio dipendere da quello che provo. Vorrei odiarlo, ma non ci riesco. Tu... non sai quanto mi sia costato dirgli di andarsene quando invece ora vorrei che fossi qui con me, nella vasca»
«Prova ad uscire con qualcun altro»
«Mai, Cassie. Non lo farei mai» dissi mentre sentivo gli occhi pungermi, ma non avrei pianto. Non mentre Cassie era al telefono con me.
«Emy sei una donna fantastica, non puoi precluderti la felicità di vivere solo perché una storia è andata male» e aveva ragione, ma come potevo tornare quella di una volta dopo che ero stata tradita dall'uomo che avrei voluto con me ogni giorno? L'uomo che avrei voluto come marito?
«Cassie non riuscirei mai lo capisci? Con quale coraggio esco con un uomo mentre penso ad un altro?» urlai frustrata.
«Per favore provaci» continuò la mia amica, ma io non volevo. Non potevo, dannazione!
«Non ti sto dicendo che dovrai uscire subito con qualcuno, pensa all'eventualità di essere nuovamente felice e nuovamente innamorata. E poi dopodomani abbiamo la sfilata, chissà magari qualcuno ruberà la tua attenzione» disse ridendo ed io scossi la testa. Non sarebbe mai cambiata.
«Non ci sperare» le dissi ridendo.
«Vedremo O'Connor» disse ed io mi paralizzai all'istante.
«Ehi cos'hai? Emy?»
«Ec...eccomi. Niente, scusami mi ero incantata»
«Ok, be' allora buonanotte!»
«'Notte Cassie» e chiusi la chiamata rimanendo immobile nella vasca. Aver sentito di nuovo quelle parole, anche se da parte della mia amica, mi aveva resa nervosa e tesa.
Così tesa che nemmeno l'acqua calda riusciva a rilassare i miei muscoli.
Al diavolo tutto! Pensai ed uscii gocciolante dalla vasca andando verso la camera. Mi infilai un pigiama a caso e, seguita da Golia, mi infilai sotto il piumone.
Almeno il mio batuffolo di pelo non mi avrebbe mai abbandonata.
«Vero amore? » dissi accarezzandogli la testolina. «Vero che non tradirai mai la tua mami?»
Lui in tutta risposta mi leccò una mano e si fece più vicino a me, come se sapesse che avevo bisogno di coccole.
«'Notte tesoro» dissi e sbadigliai.
Volevo e dovevo dormire per cancellare questa odiosa giornata, ma il mio telefono non ne voleva sapere di lasciarmi in pace.
Lo afferrai malamente e notai un messaggio.

Anche se non la meriteresti, buonanotte piccola architetto.
D.G.

Un incubo. Ecco cos'era quell'uomo.



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