19.

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  Quando tornai a casa fui contenta di non trovarvi Nathan. Non avrei avuto il coraggio di guardarlo, ne di parlarci. Quello che mi stava succedendo stava incasinando la mia mente ed il mio cuore.
E avevo bisogno di pensare, di capire cosa provassi realmente. Se ci fosse stato Nate con me tutto sarebbe stato tutto troppo difficile, perché lui offuscava la mia mente.
Mi lasciai andare sul divano di casa e, fissando l'orologio che era appeso al muro, mi accorsi di quanto tardi fosse.
Feci per alzarmi dal divano, ma Golia mi salì in braccio, rifugiandosi nel mio grembo.
«Ehi piccolo» dissi accarezzandolo.
«Ti ho trascurato questi giorni vero?»
Lo presi in braccio e lo portai con il musino sulla mia spalla, dandogli poi un bacio sulla testolina.
«Golia cosa devo fare? Aiutami... mi sento così... confusa»
Lo guardai in quegli occhi così profondi e vidi lo stesso smarrimento che avevo io quel giorno. Lasciai che una lacrima scendesse e strinsi il mio cane a me.
Presi un bel respiro e mi alzai.
Andai in camera e posando Golia sul letto presi della biancheria pulita e dei vestiti nuovi.
«La mami si va a lavare e poi usciamo, andiamo a lavoro. Ok, piccolo?» dissi e quasi mi sentivo cretina a parlare da sola, ma ne avevo bisogno, perché sapevo che in qualche modo lui mi capiva.
Così mi chiusi in bagno e mi lavai, sperando che la giornata migliorasse.


Ero nel mio ufficio e da più di mezz'ora non smettevo di fissare lo schermo del mio portatile, completamente assente. Così assente che non sentii Nadia che entrava e si chiudeva la porta alle spalle.
«Signorina?»
Staccai gli occhi dal computer solo quando la sentii chiamarmi.
«Di-dimmi» dissi.
«Si ricorda che oggi pomeriggio deve ricevere due clienti?» disse.
«Grazie Nadia, grazie per avermelo ricordato»
Lei chinò il capo ed uscì dallo studio.
Due clienti... bene almeno avrei avuto altro a cui pensare.
Controllai la mia agenda per cercare di ricordare i nomi almeno di queste due persone, ma nonostante li lessi non riuscii ad associarli a nessun volto. Alzai le spalle e sbuffando richiusi l'agenda. Forse era il caso che continuassi quel progetto su AutoCad.
Riportai la mia attenzione sul mio portatile e alla fine qualcosa riuscii a combinare, ma non ero soddisfatta. Lasciai da parte la presentazione e andai a prepararmi un caffè.
Ne avevo proprio bisogno.
Quando iniziai a sorseggiarlo il mio cellulare prese a squillare. Mai possibile bere un caffè in santa pace!
Con il rumore dei tacchi che picchiettava il pavimento mi avviai verso la scrivania e acciuffato in tempo il telefono risposi.
«Cassie»
«Finalmente riesco a sentirti»
«Cosa c'è?»
«Cosa c'è? Cosa non c'è vorrai dire! Cosa diavolo hai combinato con Nate, e David?»
Ok, una cosa per volta eh!
«Non ho combinato un bel niente e con David credo che ci siamo presi un pausa»
La sentii sbuffare.
«Sei un'idiota, O'Connor. Tu e i tuoi ormoni del cazzo! Nate mi ha raccontato tutto»
«Ecco, allora se il nostro Nathan t'ha raccontato tutto non rompermi» e le chiusi il telefono in faccia.
'Fanculo anche lei. Ma che cavolo volevano?
Ok, avevo sbagliato, ma non ci ero andata a letto! C'era stato un piccolo contatto fisico, ma lo avevo fermato perché nessuno lo capisce?
Lanciai il telefono sulla scrivania e mi andai a sedere.
Bevvi il caffè tutto d'un sorso e, salvando la presentazione, spensi il computer. Non volevo rompicoglioni tra le scatole.
Ero davvero furiosa e mi lasciai andare ad un sospiro solo quando incontrai gli occhi del mio cane. Occhi che mi guardavano tristi, lui di sicuro capiva quello che realmente avevo.
Il mio telefono riprese a squillare e dopo aver letto il nome di Cassie, capii che se non avessi risposto avrebbe continuato a chiamarmi per tutto il giorno.
«Cosa vuoi ora?» risposi, totalmente infuriata.
«Dimmi perché l'hai fatto dormire con te »
«Cassie non ne ho voglia di parlarne»
«Tu non hai voglia di parlare mai di niente! E poi stai male, ti costa tanto dirmelo?»
«Sono tanti fattori insieme ok? David che non si era fatto sentire, Nathan che torna così all' improvviso e... poi forse il debole che ho sempre avuto per lui» dissi.
«Ti rendi conto della cavolata che hai fatto? Si è spinto oltre?»
«Certo che me ne rendo conto. E sì, si è spinto oltre... ma l'ho fermato!  Per questo sono corsa da lui. Ma tutti ve ne dimenticate»
«David come l'ha presa?»
«L'ha presa male, come doveva prenderla? Solo non mi aspettavo che mi cacciasse da casa»
«Emy vuoi ragionare? Avrà sbagliato a cacciarti, ma è innamorato di te. Come dargli torto? Non per prendere le sue parti, ma lui è sempre stato accondiscendente con te, non trovi?»
E in quel momento ricordai tutte le volte che aveva sempre pensato prima a me e poi a lui, a tutte quelle volte che si era preso cura di me, non chiedendo mai indietro niente.
A tutte quelle volte che aveva dimostrato di esserci.
«Credo che tu abbia ragione» dissi.
«Certo che ho ragione, ma ora che pensi di fare?»
«Di lasciarlo in pace. Non credo voglia vedermi»
«Senti, questa sera vengo da te. Anche se c'è Nate tanti cazzi! Ne parliamo ok?»
«Sì» e salutandola terminai la chiamata.
Strinsi i denti e ringhiai per la frustrazione del momento.
Accidentaccio!
«Signorina ha appena chiamato un cliente per disdire l'appuntamento di questo pomeriggio. Vuole che chiami l'altro per chiedergli di anticipare l'incontro così può tornare a casa prima?»
«Nadia, ti ringrazio di cuore»
«Si figuri» e attaccò.


Come accordato, il cliente si presentò nel primo pomeriggio e non si trattenne molto. Espose il suo problema e la sua idea in tempi da record, facendolo entrare così nelle mie grazie e, dopo aver preso un secondo appuntamento, dopo aver preso appunti riguardo le sue idee ci congedammo con una stretta di mano.
Non appena il cliente fu fuori dal mio studio iniziai a racimolare la mia roba. Presi il portatile, la mia valigetta, alcuni schedari e afferrando la giacca uscii. Chiamando anche Golia che da bravo mi seguì non facendo storie.
Salutai la mia segretaria e me ne andai.
Volevo tornare a casa e spegnere il cervello per tutto il pomeriggio.
E lo feci, perché quando arrivai a casa non badai al disordine di Nate, come non badai al mio stomaco che reclamava cibo. Mi dedicai solo a Golia che reclamava la mia attenzione arrampicandosi sulle mie gambe e, dopo averlo preso in braccio, lasciando tutta la roba sul divano, mi avviai verso la mia camera.
«Ora facciamo le ninne» gli dissi e una volta indossata la solita tuta mi sdraiai sul letto con il mio cucciolo vicino. E dormimmo.
Finalmente.





Di solito ero abituata a svegliarmi con Golia che mi lasciava baci su tutto il viso, ma quello che mi svegliò quella sera non erano i baci di Golia ma... un bicchiere d'acqua?
Aprii gli occhi mettendomi le mani sul viso e imprecando qualche santo.
«Allora sei viva!»
Aprii gli occhi a fatica e davanti a me c'erano Cassie e Nate con un bicchiere in mano.
«Sono viva si!» dissi mettendomi seduta.
«Non ti svegliavi» disse Cassie sedendosi sul letto.
«Forse perché sono troppo stanca?»
«Ho capito, ma noi eravamo preoccupati» aggiunse Nate, lasciando il bicchiere sul mio comodino.
«Allora bell'architetto che si fa?»
A quella domanda di Cassie inarcai un sopracciglio cercando di capire cosa volesse fare, perché io non volevo fare un bel niente.
«Ordiniamo le pizze?» chiese Nate.
«Sì! Che ne dici bell'addormentata?»
«Come vi pare» dissi, anche se ancora ero nel mondo dei sogni.
«Perfetto, Nate ci pensi tu?»
«E ti pareva!» disse mentre aveva già iniziato ad uscire dalla camera.
«Ok, ora che siamo sole dimmi tutto»
Mi passai una mano sul viso e l'altra su Golia che ancora dormiva.
«Non c'è niente da dire Cassie. Davvero»
«Emy sei distrutta»
«Non ho voglia di parlarne. Non oggi almeno» dissi e la vidi annuire, forse stava capendo che non ce la facevo a parlarne.
Si alzò porgendomi una mano.
«Forza allora, andiamo di là» disse e acconsentii.
Così passammo la serata. Tra le pizze disgustose che Nate aveva ordinato, tra le cavolate che sparava Cassie su tutte le gaffe che faceva al giorno, tra i lamenti di Golia perché voleva mangiare la pizza con noi e... tra le occhiate di Nate che mi lanciava.
Occhiate a cui io non badavo, perché avevo in mente altri occhi. Ma non fu solo la serata a passare. Anche i giorni.
Passavano, lenti e apatici.
Ogni giorno le stesse cose, gli stessi pensieri e la stessa vita. Nessuna smossa, nessun colpo di scena. Niente di niente.
E io cominciavo a capire quello che sentivo. Cominciavo a decifrare quello che avevo sempre provato per David e, anche se mi spaventava da morire, sentivo che ormai era troppo tardi.
Come avrebbe potuto accogliermi di nuovo tra le sue braccia dopo tutte le stronzate che avevo fatto?
Non lo avrebbe fatto, punto.
Sdraiata sul divano di casa, mentre Nate guardava la tv iniziai a sbattere i piedi sul divano.
«Ehi cos'hai?» mi chiese lui, mentre con il telecomando in mano faceva zapping.
Ma non potei rispondere perché il mio telefono iniziò a squillare.
«E' Cassie» dissi e risposi subito.
«Ciao» mormorai piano.
«Prendi quel fottuto telecomando, e metti su E! sbrigati!»
Senza pensarci due volte tolsi il telecomando dalle mani di Nate e cambiai, ma quello che vidi nello schermo del mio tv mi tolse il fiato.
David.
David in giacca e cravatta mentre veniva intervistato.
«Stai vedendo?»
«S-sì» sillabai e mi persi nella sua bellezza, nel suo viso scolpito e squadrato per la forte mascella. Per i suoi occhi freddi ma che ti incendiavano con poco.
«Ancora lui?» chiese Nathan e io gli lanciai un cuscino incitandolo a stare zitto.
«Ok ok, sto zitto» disse. E con Cassie al telefono ascoltai un pezzo d'intervista.



«Allora signor Gandy sappiamo che dato il suo lavoro le piace essere single, ma non c'è nessuna donna nella sua vita?»
«Non mi piace essere single, solo dato il mio perfezionismo preferisco stare solo. E' difficile trovare una donna che sappia accontentarsi di una rapporto a distanza per trecentoventi giorni l'anno. Ma una donna c'è»
«E non vorrebbe svelarci il suo nome?»
«Il nome non voglio dirlo, ma posso darvi due aggettivi per descriverla: Arrogante ed impudente»


«Cassie...» dissi con voce spezzata e sull'orlo di una crisi di pianto.
Era di me che parlava nell'intervista.
«Emy prendi il pc»
«Co... perché?» chiesi ancora frastornata e non coscia di quello che di lì a poco sarebbe successo.
«Abbiamo un volo da prenotare»

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