3.

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Ogni tanto mi faccio una domanda: perché hanno inventato la sveglia?
Io, personalmente, la trovo odiosa. Ma non quell'odio sopportabile e passabile, no. Io la odio profondamente, eppure non posso non averla. E sapete perché? Perché altrimenti nella mia vita sarei sempre in ritardo. Già, io e la puntualità a volte siamo nemiche, se non avessi la sveglia sarei persa e forse, come per altre cose, la odio proprio per questo. Per la dipendenza che ne deriva.
«Buongiorno Golia»
Ovviamente il mio cane non poteva di certo rispondermi a parole, per questo si limitò a venirmi vicino facendomi le feste.
«Dio, come farei senta te» gli dissi prendendolo in braccio, mentre lui si dimenava cercando di leccarmi in viso. Era adorabile ed io ero molto affezionata a lui, lo consideravo un figlio.
«Bene, da bravo ora fai colazione» gli dissi poggiandolo a terra e dandogli una leggera spintarella verso la sua ciotola ancora stracolma.
«Ora anche la mami si prepara la sua» e me ne andai verso la dispensa.
Ovviamente era vuota.
Quand'era stata l'ultima volta che avevo fatto la spesa? Nemmeno lo ricordavo, figuriamoci.
«Sai Golia, credo che la mami debba proprio andare a fare la spesa se non vuole morire di fame» dissi portandomi una mano tra i capelli.
Richiusi così la dispensa e andai verso la camera per vestirmi. Dato che in cucina da mangiare non ce n'era avrei fatto colazione al bar, un'altra cosa che odiavo, però non potevo non mangiare. Avevo una fame da lupi.
Mi preparai velocemente cercando di rispettare la sequenza di cose da fare ogni mattina. Colazione, bagno, capelli, trucco, vestiti e lavoro. Solo che quella mattina dovevo saltare la colazione e partire dal bagno.
Quando fui pronta mi avvicinai alla porta, infilai nella borsa il materiale che dovevo portarmi in ufficio e presi il guinzaglio, che non passò inosservato a Golia.
«Vieni qui cucciolo» gli dissi e con quelle tenere zampette lo vidi corrermi in contro con gli occhi pieni di vita. «Usciamo va'» e gli attaccai il guinzaglio al collare.



Camminavo con Golia per le strade di Londra mentre il vento, che non accennava ad acquietarsi dalla sera prima, mi sferzava in viso. Così tanto che a volte facevo fatica a rimanere con gli occhi aperti. Abbassai lo sguardo e vidi il mio cane con la testolina abbassata che cercava di ripararsi dal vento.
«Siamo arrivati cucciolo» dissi e con un ultimo sforzo spinsi il portone dell'edificio in cui vi era il mio ufficio. Decisi di non prendere l'ascensore e feci una piccola corsetta per le scale, per far sgranchire anche Golia e quando arrivammo su per poco non mi venne un colpo.
Nadia, la mia segretaria, stava civettando con un uomo che, ahimè, vedevo solo di spalle. Delle spalle che però mi erano familiari.
Così tossii cercando di reclamare l'attenzione della mia segretaria e fare in modo che costui si voltasse, ma non avevo fatto bene i miei conti perché quando l'uomo si voltò io rimasi pietrificata.
«Signorina O'Connor, il signor Gandy è passato per vederla» disse la mia segretaria mentre si sistemava la camicetta che proprio quella mattina aveva qualche bottone in più aperto. Strano vero?
Le donne, tutte uguali.
«E perché non l'ha fatto entrare nel mio ufficio?» chiesi e forse il mio tono dovette sembrare indispettito perché entrambi mi guardarono sorpresi. Non so nemmeno io cosa mi stesse prendendo, ma vedere lui che ci provava con la mia segretaria mi aveva fatto infuriare. Come si permetteva?
«Ma signorina, non vuole far entrare nessuno senza un suo permesso» disse Nadia stringendo forte una penna tra le sue mani.
«Si ma lui è un mio cliente» dissi e mi accorsi solo dopo di aver calcato la parola mio.
Cominciavo ad odiarlo seriamente. Erano due giorni che lo conoscevo e già mi stava letteralmente incasinando la vita e di certo i suoi occhi che, impudenti e bramosi, si posavano su tutto il mio corpo non mi aiutavano affatto a farlo entrare nelle mie grazie.
Rinvenni solamente quando sentii il guinzaglio di Golia tirare.
«Ehi piccolo che hai?» chiesi chinandomi verso di lui, che continuava a tirare per arrivare verso di lui.
David lo guardò e sorrise, poggiando una busta sulla scrivania di Nadia per poi inginocchiarsi e Golia si lasciò accarezzare da lui. Strano, di solito guardava chiunque con aria diffidente.
«Ehi ciao!» David lo salutò e vidi il mio cane dargli una zampa. Solo dopo capii.
Golia aveva fiutato qualcosa e sicuramente era qualcosa di commestibile e, evidentemente, faceva il carino solo per ottenere qualcosa.
Sorrisi e tirai leggermente il guinzaglio per farlo tornare da me, ma lui uggiolò.
«Se vuole seguirmi signor Gandy» dissi freddamente anche se, non so per quale motivo, dentro di me bruciavo.
Aprii la porta dello studio e staccai il guinzaglio dal collare di Golia, vedendolo correre in contro alla sua cuccetta. Sentii David salutare la segretaria ed entrare nello studio mentre io mi occupavo di mettere in ordine la scrivania.
«Chiuda la porta» gli dissi e lo vidi farlo con un sorriso malizioso sulle labbra.
«Cosa la porta qui nel mio ufficio?» chiesi mentre mi toglievo la giacca e mi sedevo dietro la scrivania.
«Sono venuto per portarle una cosa» mi disse e non potei non guardarlo negli occhi, quegli occhi che sapevo avevano fatto stragi di cuori. Si avvicinò a me e gli feci segno di sedersi, mentre lui mi porgeva la busta.
«E' per caso un pacco bomba?» chiesi mentre afferravo la busta.
«E secondo lei se fosse un pacco bomba sarei qui?» mi chiese mentre si toglieva la giacca e... che Dio ce ne salvi.
Cercai di ignorarlo, soprattutto di ignorare le sue spalle larghe che infondevano sicurezza.
«E allora cos'è?»
«La apra e basta» disse.
Prima di aprirla però ricordai cosa mi avesse detto il giorno prima per telefono riguardo alla mia camicetta.
«Signor Gandy, prima che apra questa, mi tolga una curiosità»
«Mi dica» disse facendo lo spavaldo.
«Come faceva a sapere che camicetta indossavo ieri?» chiesi mentre tamburellavano le dita sulla scrivania. Lui sorrise e si poggiò completamente allo schienale della sedia.
«Vuole sentirsi dire che l'ho seguita, O'Connor?»
«No, voglio solo che mi dica come diamine faceva a saperlo» dissi e sorrisi, ma un sorriso da stronza che diceva chiaramente una cosa sola: «O me lo dici o ti renderò la vita un inferno»
«Lo vede il palazzo dietro di lei?» disse indicandolo, «Ieri mi trovavo lì per lavoro e mentre ero in sala d'aspetto l'ho vista. Ha un modo molto sensuale di giocare con i capelli sa O'Connor?»
Ok, basta.
Poteva darci un taglio.
«Lo so» dissi, rispondendo alla domanda retorica riguardo i miei capelli ed il modo in cui amavo giocarci e non a caso li sistemai portandoli su una spalla.
Lo vidi sgranare gli occhi e stringere un ginocchio sotto le sue forti dita.
Bene. Molto bene.
«Ora posso aprirla» dissi e lo feci, ma quando l'aprii non credetti ai miei occhi.
Un vassoio pieno di leccornie, pieno di cialde, di cornetti e di paste che andavano dalla crema alla cioccolata, dalla frutta al liquore.
«Le piacciono?» chiese e io lo guardai, senza sapere cosa dire. Tutta la sicurezza che io avevo ostentato fino a poco prima sembrava essersi dissolta.
Mai nessuno, per corteggiarmi, mi aveva regalato un vassoio pieno di così tanti dolci.
Perché mi stava corteggiando, vero? Cosa dovevo fare? Cosa dovevo dire?

Senza RiservaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora