13.

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Mi amava.
David mi amava.
Lui era innamorato di me e, anche se mi sembrava una cosa totalmente assurda, i suoi occhi erano così accesi e così vivi che sembravano pronti ad urlarmi e ricordarmi che quello che aveva detto era reale.
Perché l'amore non va detto, va dimostrato. E lui l'aveva fatto.
Quante volte mi aveva scritto, conscio del fatto che non avrei risposto? Quanto volte mi aveva consolata con un semplice messaggio durante quel periodo in cui stentavo a ricordare di esistere?
O quante volte era stato così delicato e attento a me e ai miei desideri?
David incarnava quello che era l'uomo perfetto, l'amante perfetto.
Un insieme di dolcezza e carica erotica che ti spiazzava. Ti distruggeva e ti portava alla deriva dei piacere più forti.
Un insieme di virilità, intelligenza e... bellezza.
Un insieme che io volevo nella mia vita, che volevo si intrecciasse con me, che mi avvolgesse.
Lui continuava a guardarmi e solo in quel momento mi resi conto che lui si aspettava una risposta, o almeno un segno da parte mia.
Un segno che non seppi che l'avrebbe ferito.
Un sorriso ed una stretta di mano.
Forse avrei potuto impegnarmi un po' di più, ma nonostante la felicità mi trovai a pensare che io in realtà non sapevo cosa esattamente provassi per lui.
Non era amicizia, questo era ovvio ma non sentivo di amarlo.
Forse non ancora, ma dirgli che anch'io provavo le stesse cose non mi sembrava giusto.
Lo vidi allontanare la mano per un momento e guardare le lenzuola che portavano i segni della nostra unione. La nostra prima unione.
E in quel momento mi venne da pensare se ce ne fosse stata un'altra. E un'altra ancora.
«David...» lo chiamai, ma lui mi ignorò.
Si alzò dal letto e dandomi le spalle si chiuse in bagno e mi lasciò da sola a contemplare quello che rimaneva di noi.
Possibile che sbagliassi sempre?
Nuda, proprio come lui, mi alzai dal letto e mi avviai verso il bagno. Non volevo che lui stesse così, non volevo che per un sentimento non ancora del tutto sbocciato lui dovesse essere così.
Bussai alla porta, porta che lui aprì dopo pochi secondi, rivelandomi un viso apparentemente rilassato.
«Ehi...» mi disse dolcemente e non capii più molto. Ero confusa, anche troppo.
Prima sembrava sull'orlo di una crisi, mi aveva voltato le spalle ed ora mi parlava con quella dolcezza che mi faceva sentire come sul punto di sciogliermi.
«David io...» ma lui mi zittì attirandomi a sé e premendo le labbra contro le mie.
Sentii le sue mani scivolare sui miei fianchi nudi ed aggrapparsi ad essi. La sua bocca lasciò la mia, lasciandomi respirare e scese verso il collo, dove succhiò e marcò la mia pelle. Circondai con le braccia il suo collo e capii che di parlare non ne aveva molta voglia, soprattutto di quello che era successo, così assecondai il suo bisogno di sentirsi almeno amato in quel modo.
Accarezzai i suoi capelli e lo sentii sospirare sul mio collo, sulla mia clavicola per poi afferrarmi con forza e spingermi contro la parete adiacente al bagno.
Chiusi gli occhi e cercai di ignorare l'impulso di fuggire.
Essere lì, premuta contro un parete, mi ricordava Andrew. Mi ricordava il dolore, anche se sapevo che dinanzi a me c'era David.
Senza volerlo mi irrigidii e strinsi le gambe contro i fianchi di David. Le sue labbra erano calde, bramose e affamate.
«Fai l'amore con me»
La sua voce era bassa e roca, totalmente schiava della passione.
Ero combattuta. La paura mi stava bloccando, mentre il desiderio mi spingeva tra le sue braccia.
Improvvisamente però le sue calde mani scesero a cercare i miei seni e quando li trovarono fui sorpresa di sentire la delicatezza del suo tocco. Delicatezza che mi infiammò, mi sciolse.
Mi strinsi a lui e cercai di scacciare quei brutti ricordi dalla mente, lasciandomi andare a lui ancora una volta.
«Lo farai?» mi chiese mordendo sensualmente il lobo dell'orecchio.
«Cosa?» chiesi con la mente oramai annebbiata.
«Farai l'amore con me, di nuovo?»
Mi staccai da lui e cercai le sue iridi di ghiaccio.
«Emy...» lo sentii chiamarmi ed accarezzarmi una guancia, lasciandomi andare fino a farmi toccare terra.
«Non piangere» mi disse e solo in quel momento mi accorsi che le lacrime mi stavano bagnando il viso.



«A che ora devi essere a lavoro?»
«E se invece andassimo ad Hyde Park questa mattina?»
«Tu hai il lavoro» mi disse mentre gli lanciavo i pantaloni del pigiama.
Dopo il mio pianto avevamo di nuovo fatto l'amore ed era stato lento, passionale e dolce.
David mi aveva stretta a sé e mi aveva cullata e coccolata, anche se quello che doveva essere coccolato era lui.
«Ma non voglio andarci!» dissi come una bambina capricciosa. «Oggi voglio stare con te» mi lagnai.
«Dopo» mi disse mentre mi lasciava un bacio sulle labbra.
«No!» dissi e mi arpionai alle sue spalle, facendolo stendere su di me che ancora nuda facevo di tutto per non farlo rivestire.
«Emy tu devi andare a lavoro e anch'io»
Lo portai con le spalle contro il letto e mi misi a cavalcioni su di lui. Lentamente iniziai a muovermi e come sperato lo vidi reclinare la testa all'indietro e afferrarmi i fianchi. E non seppi se volesse fermarmi o indurmi a fare di più, so solo che quando riaprì gli occhi mi sentii un fuoco nelle viscere che mi chinai a baciarlo. Leccai le sue labbra e gli baciai la forte mascella, scendendo sul collo e poi sul petto.
Lui mi riportò su, con le mie labbra sulle sue e mi morse.
«Ahio!» mi lamentai massaggiandomi la guancia. «Cavernicolo» mi lamentai mentre ripresi a muovermi.
Sorrisi divertita quando lo vidi mettersi seduto, premendomi contro il suo petto.
«Sei una bimba cattiva» disse e mi diede una sculacciata.
Aprii la bocca sorpresa per quello che aveva fatto e anche terribilmente eccitata, e quando lui abbassò lo sguardo sulla mia intimità arrossii.
Doveva aver sentito in che stato fossi.
Alzò il viso e mi baciò. «A lavoro» mi disse dandomi una nuova sculacciata.
«No» dissi di nuovo, ma lui si alzò con me in braccio.
«Non ci voglio andare» dissi affondando il viso nel suo collo.
«E invece ci andrai»
«Che palle!» e irritata mi staccai da lui e me ne andai in bagno, lasciando la porta aperta.
Non me la sentivo di chiuderla e fargli capire che ancora non ero pronta per quel tipo di intimità.


Dopo il piccolo diverbio per non andare a lavoro, David mi aveva accompagnata a casa ed aveva insistito per salire nel mio appartamento. Mi aveva lasciata cambiare in santa pace, mentre lui giocava con Golia nel salone. Quando ero finalmente pronta, a detta sua, notai che la luce della segreteria fosse accesa.
«David sento i messaggi in segreteria e andiamo» dissi afferrando anche il giaccone da sopra la sedia. Premetti il pulsante e la registrazione partì.

Ehi bambolina come stai? Novità da Londra? Be' ti ho chiamata per dirti che molto presto sarò dei vostri. Ho già sentito Cassie ed è rimasta contenta. Tu?
Non ti manco almeno un po'?
Chiamami!

Rimasi a fissare il telefono.
Nathan, il mio migliore amico sarebbe tornano!
Ma che bella notizia!
Senza rendermene conto sorrisi e battei le mani come una bimba piccola dinanzi al suo regalo di Natale.
«Chi era?» la voce di David mi riportò alla realtà.
Mi guardava pensieroso.
«Un mio amico» dissi e sorrisi felice.
Lui annuì e... sorrise.
«Allora andiamo?» chiese ed io acconsentii.

Mi accompagnò a lavoro e prima di lasciarmi andare mi diede uno dei baci più belli che finora mi avesse dato e leccandomi ancora le labbra, per sentire ancora il suo sapore, salii le scale del mio ufficio. Salutai Nadia e aprii la porta del mio studio, sbrigandomi a richiuderla perché avevo troppo bisogno di Cassie. Qualcosa iniziava ad andare nel verso giusto, qualcosa mi stava riportando sulla via della felicità, be' forse qualcuno.
Gettai tutto sulla scrivania e dopo il solito caffè mattutino, anche se era il secondo, mi andai a sedere e digitai subito il numero della mia amica.
«Emy?»
«Ehi bella gnocca»
«Ma sei tu?»
Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. «Certo che sono io, chi vuoi che sia?»
«Be' concedimi il beneficio del dubbio dato che la mia amica Emy non mi telefonerebbe in questo modo»
Un attimo di silenzio poi parlò.
«Ok, spara»
Risi e iniziai a raccontare. Iniziai a dirle dei miei timori, delle mie paure e di come quella mattina, dopo aver preso coraggio ed essere rimasta a dormire da lui, mi ero spinta oltre per abbattere completamente quelle mura tra me e lui. Iniziai a raccontarle di com'era stato e di come mi aveva fatta sentire e vi risparmio i commenti indecenti quando ebbe il coraggio di chiedermi le sue dimensioni.
«Sei indecente Cassie quando fai così»
«Bella mia era una domanda lecita la mia, tu l'hai visto e sempre tu puoi dirmi forme, dimensioni e molto altro. Io, purtroppo, l'ho visto nudo e non di certo eccitato!»
«Ok, basta Cassie. Questa conversazione finisce qui»
«No! Faccio la seria dài. Però uffi almeno i centimetri potresti svelarli!»
«Cassie non è che vado in giro con il metro per misurare cazzi!»
«Dovresti invece»
«Faccio finta di non aver sentito. Comunque non ho finito di raccontare, il bello deve ancora venire»
«L'avete fatto in giardino?»
«Idiota! Mi ha detto di essere innamorato»
«Non ne avevo dubbi» mi rispose.
«Emy ti prego dimmi che non hai detto qualche cazzata del tipo: io non lo so»
Come avrei fatto a dirle che avevo fatto di peggio?
Mi morsi il labbro e mi portai una mano tra i capelli.
«Emiliana cosa diavolo gli hai detto?»
Ok, era il momento della verità. Almeno con lei.
«Nulla. Cioè... gli ho sorriso e stretto la mano»
«TU HAI FATTO COSA?»
«Hai capito benissimo»
«Ho un'amica deficiente. A questo punto era meglio che gli dicessi che non sapessi cosa provi»
«Ti sembra facile quando ti guarda con quegli occhi!» dissi e mi lasciai andare contro la sedia.
«Ora che hai intenzione di fare?»
«Di fare chiarezza e capire cosa realmente provo»
«Bene»
E da David ci ritrovammo a parlare di Nathan e del suo imminente viaggio a Londra. Entrambe entusiaste ed eccitate stavamo già correndo con la mente, creando film mentali dove un Oscar solamente non sarebbe bastato.
«Lo ospiterai tu Emy?»
«Certo, ne avevi dubbi? E' il mio migliore amico»
«E' stato il mio migliore amante» disse Cassie e ci ritrovammo a ridere come due sceme, anche se io dovevo lavorare accidenti!
Nathan e Cassie al tempo del college erano soliti darci dentro come conigli, la loro intesa sessuale era alle stelle ed era inevitabile che qualcosa tra di loro non accadesse. Erano come si direbbe ora amici di letto, quelli che al primo accenno di gelosia da parte di uno si troncava la relazione, se così si poteva definire, e talvolta anche l'amicizia.
Ovviamente c'erano stati tira e molla tra di loro e a dirla tutta a volte non li sopportavo proprio, ma erano pur sempre i miei migliori amici, anche se con Nathan c'era un legame particolare.
Lui era cresciuto insieme a me.
Aveva visto e preso parte a tutte le fasi della mia vita, più o meno importanti che fossero.
«Cassie per quanto mi piaccia parlare con te devo lasciarti»
«Il pirata dagli occhi color del ghiaccio ti reclama?»
«No, ma il lavoro sì!»
«Va bene, ci sentiamo!»
E riattaccammo.


Dopo ore interminabili di lavoro, di progetti revisionati e realizzati in 3D nel computer avevo il cervello in fumo. Avevo persino fame!
Mi alzai dalla sedia e mi affacciai alla vetrata dello studio. Vedevo le macchine scorrere nella strada, scivolare nel traffico. Vedevo le persone a passeggio, vedevo le coppie tenersi per mano e sorridersi, vedevo... David.
«Salve O'Connor»
Dio. Mio.
La sua voce era una carica erotica che risvegliava ogni mio senso, che risvegliava il mio basso ventre...
«Salve signor Gandy» dissi senza voltarmi, scrutando il suo riflesso sulla vetrata.
Lo sentii chiudere la porta e sorrisi, ma quando a quello si aggiunse il rumore della chiave che girava nella toppa il mio cuore schizzò in gola, pompando senza freni.
L'idea che lui avesse chiuso la porta a chiave mi lasciava immaginare quello che li a poco sarebbe successo.
Con un'andatura sicura e seducente venne verso di me, mentre una mano la teneva nella tasca dei pantaloni. Continuai a non voltarmi fino a quando non sentii il suo petto contro la mia schiena. Le labbra erano all'altezza del mio orecchio destro e solo sentire il suo respiro pesante per l'emozione mi infiammò, procurandomi un incendio che divampò nel momento esatto in cui le sue mani si portarono sui miei seni. Mi inarcai contro di lui e afferrai le sue mani.
Lui scese a baciarmi il collo ed io chiusi gli occhi.
«Mi hanno sbattuto fuori oggi» e mentre parlava scendeva ad accarezzare la pancia.
«P-perché?»
Lo sentii sorridere e quando sospinse il suo bacino contro le mie natiche capii il motivo.
«Lo senti?»
Eccome se lo sento!
«S-sì» dissi debolmente muovendo il bacino contro di lui.
«Il mio manager ha capito che non ci stavo con la testa... e con il corpo. Sto così da quando ti ho lasciata questa mattina in ufficio» mi disse e con poca gentilezza mi alzò la gonna andando alla ricerca dell'orlo degli slip.
«Eri eccitato?»
«» e lo sentii prolungare la i quando mi strusciai nuovamente.
«E non hai pensato di ricorrere al fai da te?»
Le sue mani sicure accarezzarono le autoreggenti e una di esse si insinuò al di sotto delle mie mutandine.
«Oh. Dio»lo sentii sospirare per poi mordermi una spalla. «Ci ho provato, ma poi diventava sempre più duro» disse ed io mi morsi il labbro.
«Così ho pensato di venire da te»
Mi strinsi a lui e voltai la testa per cercare le sue labbra. Lui capì e come un bisognoso in cerca d'acqua in un deserto si gettò sulle mie, con foga e passione. Persi l'equilibrio per la troppa enfasi e mi appoggiai alla vetrata a pieni palmi.
«Reggiti» mi disse ansimando e lo sentii tirare giù la zip dei pantaloni.
Ma davvero lo stavamo facendo contro una vetrata di un appartamento?
Annuii e feci come mi disse.
«Sfilati le mutandine» aggiunse mentre lui giocava con l'orlo della gonna. Rimbecillita e completamente andata con la testa, soprattutto con gli ormoni, mi sfilai l'intimo e finalmente lo sentii.
Da timorosa e fragile David mi stava cambiando in passionale e sicura di me.
«Brava»
Mi leccai le labbra per la troppa salivazione e la troppa voglia di sentirlo.
«David...» dissi ansimando.
«Eccoci» disse e aprendomi le gambe mi penetrò da dietro ed entrambi fummo costretti a soffocare il gemito di piacere che quell'unione ci diede.
Massaggiava i seni, anche se coperti dalla camicetta, mordeva il collo e lo succhiava, ignaro dei segni che mi avrebbe lasciata e spingeva dentro di me e contro di me con un bisogno ed un'urgenza che mi lasciavano senza fiato. E a rendere tutto dannatamente eccitante era la vetrata. Il pensiero che qualcuno ci potesse vedere, che qualcuno potesse essere spettatore di quell'amplesso erotico era il migliore degli afrodisiaci.
Entrambi sospiravamo, ansimavamo e gemevamo sempre più, senza ritegno.
Ad ogni spinta più forte, ad ogni morso alla spalla e al collo mi inarcavo contro di lui. Afferrò i miei capelli e mi invitò a voltarmi con il viso verso di lui.
«Voglio guardarti mentre vengo» mi disse e lo baciai, per quanto fosse scomoda la posizione.
Ma nonostante quella frase lui non accennava a voler mettere fine a quelle spinte. Una sua mano si ancorò tra le mie gambe e arrivò a toccarmi, a darmi piacere mentre spingeva. Continuava ancora, e ancora fino a quando il piacere era dannatamente troppo da sopportare. Come una scarica elettrica, l'orgasmo mi folgorò. Mi strinsi a lui e cercai di guardarlo, come lui mi aveva chiesto, ma il tremore dell'orgasmo non accennava a cessare. Lui mi sorresse e con una mano lo vidi poggiarsi contro il vetro.
Mi baciò il mento e spinse ancora di più. Spinse ancora... e ancora.
E venne. Venne guardandomi negli occhi, venne ringhiando quasi, venne stringendomi a sé.
Gli baciai le labbra e le leccai, aspettando il momento in cui sarebbe uscito da me, anche se mi dispiaceva. Mi piaceva essere riempita da lui, mi piaceva essere amata da lui.
«Sei mia» disse ed uscì da me.
Ma aveva ragione.
Io in qualche modo ero sua e io volevo che lui diventasse mio.

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