Dark inside

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Silenzio.

Vorrei quasi non dover respirare, per poter ascoltare meglio questo silenzio e non distrarmi. Ma il mio respiro è così pesante. Con ogni boccata d’aria tento di purificare il mio corpo, per poi buttare fuori i tormenti. Ho tentato mille modi per sbarazzarmene: li ho affogati, vomitati, scritti in un pezzo di carta che ho bruciato, li ho gridati, li ho masticati e ingoiati. Ma credimi se ti dico che non ha funzionato.

E ora sono qui, seduta su una sedia mentre guardo la parete bianca di fronte a me e sento questo silenzio. Era da tanto tempo che non ne ascoltavo uno simile. Se mi concentro bene posso quasi dire di non sentire il mio respiro. Dammi qualche secondo.

Perfetto. Ora sento solo il vento che soffia fuori dalla finestra, mentre la pioggia cade senza sosta. Vorrei sentirla sulla mia pelle. Vorrei annusarla, toccarla, berla. Vorrei che entrasse in me e lavasse ogni millimetro della mia pelle, che mi inondasse e mi annegasse.

Se chiudo gli occhi posso immaginarla mentre le sue gocce scivolano dalla mia fronte, sul naso per arrivare alle labbra. La mia lingua in fiamme desidera di essere spenta, ma la mordo per tenerla a bada e lasciare che quelle piccole gocce proseguano il loro viaggio.

Il mento, il collo. Chiudo gli occhi quando scende giù e bagna il mio petto. Brividi si spargono nel mio corpo e io sono incapace di muovermi. Mi sembra di sentire il suo tocco e un velo di piacere annebbia la mia vista. Si perdono nella mia pancia e cadono nel mio ombelico.

Stop.

Riapro gli occhi e mi lascio sfuggire un sospiro. Sospiro come se potessi alleggerire il mio corpo, anima e testa. Come se potessi liberarmi di te, del tuo ricordo e dei miei incubi più intimi. Ho ancora incubi e mi sveglio la notte come una bambina. Corro in un angolo della stanza, mi rannicchio e piango lacrime d’inchiostro.

Silenzio.

Sento lacrime cadere sulle mia guance. Sono calde e disperate, piene di dolore. Sembra quasi che non vogliano essere dimenticate e per questo calcano sulla pelle, come se potessero lasciare una cicatrice lungo il loro cammino.

Credo di averne abbastanza. Di cicatrici intendo. Vuoi vederle?
Mi alzo dalla sedia, mi giro piano piano dandoti le spalle e incomincio ad alzare la maglietta. Ti guardo e mi fermo. L’orrore nel tuo viso sembra gridarmi di fermarmi. Forse non ti interessano le mie cicatrici. Forse ne hai anche tu. Se io ti facessi vedere le mie, tu potresti farmi toccare le tue? A volte le mie si riaprono anche dopo tanti anni. E sanguinano. E fanno male. Anche le tue? Perché potremmo ricucirle insieme, se vuoi. Sono così esperta in queste cose che oserei cucirtele, se mi dai il permesso. Vedrai non fa così male. Beh, sicuramente non quanto il giorno in cui te le sei fatte. O te le hanno procurate?

Sei proprio davanti a me e non mi rispondi. Credo che prenderò la sedia e andrò sotto la pioggia. Almeno le lavo un po’. Non mi aspettare, vai pure se faccio tardi. Perché se mai scoprissi che la pioggia riesce a corrodermi fino a farmi sparire, non dubiterei nel farlo. 

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