Capitolo 1

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Canzoni per il capitolo:

One Direction - Don't forget where you belong

One Direction - Ready to run


«Amore sveglia! È ora di andare a scuola!» mi ricordò mia madre.

«Arrivo!» le urlai di rimando senza troppa convinzione. La prima cosa che feci fu aprire gli occhi, per poi fissare il soffitto bianco della mia stanza e sospirare. Dopo qualche tentativo mi alzai e appena aprii la porta della stanza vidi mia madre tutta eccitata per il mio primo giorno di università. Già, avete capito bene, il mio primo giorno alla Washington Central University. L'estate era passata troppo velocemente per accorgermi che fra meno di ventiquattr'ore sarei tornata fra quei banchi che tanto odiavo.

«Coraggio! Farai tardi!» mi urlò correndo in cucina ad apparecchiare la tavola per fare colazione. Non capivo tutta la sua felicità da dove venisse fuori, a mio parere quella sarebbe stata un'università come tutte le altre e lo stesso valeva per le classi, nelle quali ci sarebbero stati i secchioni, i giocatori di football, le ragazze timide che avrebbero faticato un sacco a interagire con gli altri, tipo me, e per ultime, ma non per importanza, le ragazze facili, che si sentivano importanti ad andare a qualche festa e pomiciare con qualche ragazzo. Appena misi piede in cucina e gettai un'occhiata sulla tavola, i pensieri di un attimo prima furono rimpiazzati immediatamente da tutte le prelibatezze che mia madre aveva cucinato. Si poteva trovare un po' di tutto, bastava cercarlo con pazienza fra tutto quel bacon, uova strapazzate, succhi di frutta, yogurt, cereali e biscotti. Quello era tipico di mia madre! Aveva paura che dimagrissi troppo per caso? E la risposta era sì!

«Non so perché sei così triste all'idea di fare questa nuova esperienza! Io sono così contenta per te!» mi ricordò per la centesima volta mia madre quando fummo a tavola e dopo aver addentato un croissant ripieno di crema di cioccolato. Io per tutta risposta misi il broncio e addentai a mia volta le fantastiche uova strapazzate che solo lei sapeva cucinare così bene. Peccato che non avessi il suo stesso talento.

«Avery, tesoro mio, questa sarà un'occasione per distrarti un po' da tutto quello che è successo» mi ricordò per la centesima volta, toccandomi una mano con fare rassicurante.

«Se lo dici tu» le dissi alzandomi da tavola, solo dopo aver divorato tutto quello che avevo nel piatto. «È solo che non voglio lasciarti sola. Dopo la morte di papà abbiamo avuto un sacco di problemi e mi scoccia un po' lasciarti qui. Poi, mamma, lo sai meglio di me che ricominciare tutto da capo con professori, compagni e ambienti nuovi non è il mio forte». La strinsi in un caloroso abbraccio, trattenendo a stento una lacrima.

«Se quell'aereo non si fosse schiantato...» cominciò mia madre provando a non piangere, ma senza riuscirci. In fin dei conti, questo dubbio non ci era mai stato tolto.

Mio padre è morto l'anno scorso a causa di un incidente aereo che lo stava portando a Seattle per lavoro. Ancora non mi ero abituata alla sua assenza, mi mancava da morire, soprattutto vedere mia madre felice come una volta. Mi mancava tutto quello che facevamo insieme, come per esempio andare a vedere le partite di calcio allo stadio, vederlo sugli spalti a fare il tifo per me ogni volta che scendevo in campo con la squadra del mio quartiere e, soprattutto, vedere il suo sorriso radiante come lo ricordavo. Appena ci avevano chiamate dall'ospedale per informarci che avevano fatto il possibile per rianimarlo, con i tubi dell'ossigeno e in tutti modi che conoscevano per rianimare una persona, ormai era troppo tardi, se n'era già andato, lasciando me e mia madre sole, in uno stato tra shock e tristezza e ancora oggi, dopo un anno, dovevamo riprenderci e andare avanti.

«Lo so mamma, lo so, ma me la caverò. Siamo una squadra, noi, e supereremo tutto insieme»" cercai di rassicurarla, anche se avevo fatto fatica a convincermi io stessa.

«Speriamo che tu abbia ragione, Avery» fece lei in tono speranzoso. Parlammo per un altro quarto d'ora su tutto quello che ci passava per la testa, evitando di entrare nell'argomento 'papà'. Finita quella conversazione quasi straziante, corsi in camera a prendere la mia valigia verde con la quale avevo affrontato ogni singolo viaggio che avevo fatto e raggiunsi mia madre alla sua Ford rossa come il fuoco.

«Hai preso tutto? » mi chiese cercando di nascondere la sua tristezza, ma senza riuscirci, ovviamente. Mi voltai verso i sedili posteriori per vedere cosa avevo preso e cosa no, e mi accorsi subito che mancava quella cosa! Senza perdere tempo scesi nuovamente dall'auto nuova di mamma, entrai in casa sbattendo la porta, tanto quanto bastava per far preoccupare il nostro vicino e corsi nella mia ormai 'vecchia camera' e presi quella cosa che ormai era diventato il mio luogo di sfogo: il diario che mi avrebbe regalato mio padre una volta tornato da Seattle. Era verde, il mio colore preferito, con una scritta in corsivo sopra che rappresentava il mio nome. Quando i dottori ci avevano telefonato dall'ospedale, ci avevano anche informato che ci avrebbero mandato per posta un pacco che mio padre teneva nella sua valigetta da lavoro e, appena arrivò, pochi giorni dopo quella chiamata, rovistai tra le pagine in cerca di qualche dedica da parte sua, ma trovai un biglietto con scritto: Buon compleanno fiorellino! Spero portai perdonarmi se non sarò con te il giorno del tuo compleanno, ma spero possa essere perdonato con questo diario in cui potrai scrivere tutte le cose che ti sono successe, belle o brutte che siano (come per esempio del fidanzatino che sono sicuro mi nascondi...J). Spero che il regalo ti piaccia e voglio che tu sappia che il regalo più bello che la vita mi ha fatto sei tu! Ancora tanti auguri dal tuo papà!

Con le lacrime agli occhi dopo aver letto per l'ennesima volta quel biglietto, tornai da mia madre. Il diario me lo voleva dare per il mio compleanno (che sarebbe stato fra quattro giorni), mi spiegò una volta mia madre, ma purtroppo non era più tornato.

Il viaggio durò tre ore e furono le più infernali della mia vita con mia madre che piangeva a dirotto. Per tutto il viaggio abbiamo ascoltato vari dischi di Tiziano Ferro, Marco Mengoni e dei One Direction. Questi ultimi, stentavo pure io a crederci, erano gli idoli di mia madre; un po' bizzarra come cosa, ma impazziva ogni volta che li sentiva nominare alla radio oppure in televisione, in particolare se si trattava di Louis! Mentre le note della canzone Story of my life riempivano il clima triste e melenso che si era creato in quell'auto, la segreteria dell'università mi aveva chiamata, avvisandomi che non sarei stata sola nella stanza del dormitorio ma che avrei avuto una coinquilina e che non c'era da preoccuparsi, che saremmo andate subito d'accordo. Quell'ultima cosa, secondo me, la dicono a tutte le ragazze, sicuramente per non farle andare in paranoia, mi ritrovai a pensare. Speriamo sia la persona giusta con cui stringere amicizia, perché le uniche amiche che avevo a New York erano Rachel e Monica. Rachel era il mio capo quando lavoravo al Rachel's coffee, un piccolo ma accogliente locale nel centro della città, e mi ero fatta assumere per guadagnare dei soldi per aiutare mia madre a pagare le bollette. Rach era una bellissima ragazza, bionda dagli occhi nocciola, e si trattava di una ragazza determinata, quindi attenti maschietti! Mentre la mora dagli occhi marrone scuro, Monica, era stata la mia prima amica. Lei era quella persona che mi metteva sempre di buon umore con le sue battute sceme e mi aveva sempre appoggiata, soprattutto dopo la morte di mio padre, ma ultimamente non ci eravamo sentite molto dato che loro avevano trovato l'amore, al contrario di me. In quel periodo avrei avuto tanto bisogno di una persona che mi facesse sentire di nuovo viva, come non lo ero stata da troppo tempo.


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