Il Volo (I parte)

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Diventava sempre più grande Erica, anche più sicura e ribelle. Si era inserita quasi completamente in quel posto che amava e odiava. Poteva sembrare anche più allegra. Finite le scuole medie si scrisse alla ragioneria, ma dato che abitava in un piccolo paesino vicino la grande città e la scuola superiore in quel luogo era privata e alquanto costosa, quindi non alla portata della sua famiglia, per arrivarci era costretta a fare un lungo tragitto con il pullman, poi prendere la metropolitana e in fine fare qualche centinaio di metri a piedi. Tutto questo la scoraggiava perché doveva alzarsi molto presto la mattina e faticare per arrivarci. Ma la cosa più scocciante era il ritorno. E una volta a casa, la voglia di studiare era pari a zero. Ti credo. Non sapeva nemmeno il perché avesse scelto quell'indirizzo scolastico, sicuramente una scelta avventata. Non c'era nessuno nella sua famiglia che la consigliasse, e a soli quattordici anni, aveva semplicemente seguito il suo intuito e qualche amica. In ogni caso avrebbe dovuto percorrere dei chilometri per arrivare in qualsiasi istituto statale.

In quel periodo, di giorno in giorno, cresceva la voglia di vivere la follia adolescenziale. Adrenalinica assaporava il suo stato mentale che la stordiva, la stregava, la ipnotizzava. Voleva sfruttare al massimo ogni sua capacità; lo riteneva necessario per non morire dentro. Voleva decidere della propria vita, nessun altro aveva il permesso di farlo.

Correva per spiccare il volo con le sue ali ancora piccole e senza piume.

In famiglia invece le cose peggioravano perché non aveva il minimo dialogo con la donna di suo padre che, secondo lei, passava troppo tempo in casa sua. Stava diventando troppo invadente e cercava, in un modo molto discutibile, di diventare una madre esemplare e degna di rispetto, praticamente quello che non era riuscita a essere con la sua vera famiglia. Erica ricordava che quando era piccola e passava del tempo a casa di Sandra come amica del figlio, ascoltava dei dialoghi che ripensandoci ora erano assurdi, ottusi, pieni di parolacce e che tutta fiera faceva accendere la sigaretta al figlio che aveva appena nove anni, tra gli applausi degli amici. Poi c'erano periodi che rientravano a casa ubriachi, sia lei sia il marito, e litigavano tanto. Diciamo che, il tipo di atteggiamento negativo che aveva riscontrato Erica in passato, lo stava vivendo personalmente, e non gli piaceva prima, figuriamoci ora. Secondo lei e non solo, i metodi di quella donna e del suo esempio, costringevano le persone a fare il contrario di quello che diceva, e Sandra, nella sua pigrizia, nella sua mente a senso unico, non riusciva a capire perché nessuno gli desse retta. Ogni tanto se ne usciva con frasi del tipo: "Io sono una donna di quarant'anni e tu una ragazzina, non puoi discutere con me di certe cose!". In ogni caso nessuno se la filava e questo fatto la mandava in bestia. Erica cercava di spiegare al padre che, avendo per anni vissuto senza una figura femminile in casa, gli era difficile avere a che fare con quella donna che gli voleva fare da madre. In ogni caso non riscontrava in lei l'affetto, la comprensione, la correzione e l'amore di una madre. E di conseguenza, non volendo sottostare ai suoi "ordini", il caos era quotidiano.

‹‹Ti ordino categoricamente di tornare presto stasera, hai capito?››, belò un giorno quella donna, semi alterata, seduta sul divano.

‹‹I tuoi ordini io non li rispetterò mai!››, rispose Erica infuriandosi immediatamente.

‹‹Non fare la scostumata e ricordati che hai solo quattordici anni, io invece ne ho quaranta e so meglio di te come si vive!››, replicò con la bocca impastata e lo sguardo spento.

A stento si distinguevano le parole.

‹‹Brava! Allora metti in pratica la tua conoscenza di madre, per- ché fino ad oggi hai solo perso tempo e poi io non ti conosco nemmeno, non ho mai avuto una madre e continuerò a fare tutto quello che ho sempre fatto senza una madre, punto e basta!››.

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