Capitolo 1 New York 9 Settembre 2015 "Speranze" - Parte 1

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Berdie

"New York, Grand Central, New York Grand Central!" La voce dell'autista comunica la fermata successiva. E' la mia! Raccolgo i miei bagagli e come al solito sono talmente imbranata che la mia borsa si rovescia a terra. Rimmel, rossetti, biancheria, tutto finisce lungo il corridoio.
"Oddio!"
Ecco, se io fossi stata una di quelle ragazze super fighe con i capelli biondi platinati, le tette strizzate in un wonderbra e le gambe fasciate dai leggins, gli uomini avrebbero fatto a gara per aiutarmi a raccogliere i miei effetti personali dal pavimento, invece devo stare attenta che la gente non mi calpesti.
"Stai attento!" Dico nella direzione di uno strafigo che fa finta di non vedermi, nemmeno fossi trasparente.
"Hey, hai tanto?" Anche l'autista ha deciso di infierire.
Raccolgo le mie ultime cose e mi precipito fuori dall'autobus. Nel frattempo non c'è più traccia degli altri passeggeri e il marciapiedi è deserto. Solo una coppia che limona, felice per essersi ritrovata.
Almeno potreste evitare di farlo proprio sotto ai miei occhi!
"Hey, cugina!" Sento una voce chiamarmi. Quel ragazzo alto e magro come uno spillo deve essere mio cugino Josh. Ha un'andatura da "ce l'ho solo io". Lo ricordo perché quando eravamo piccoli veniva a trovarmi e mi rubava sempre i giocattoli. Lo odiavo.
Ci baciamo, facendo finta che le cose tra di noi funzionino perfettamente.
Come stai cugina?" Mi chiede, come se non avessi perso i miei genitori solo una settimana fa.
"Bene"
Idiota!
Rispondo con un sorriso forzato. Ovviamente quest'ultimo pensiero lo tengo solo per me.
"Dai, prendi le tue cose e seguimi!" dice, avviandosi lungo il marciapiede a grandi passi.
Che cavalleria!
Josh mi lascia lì a trascinare le mie valige mentre lui è già scomparso all'orizzonte. La borsa cade a terra un'altra volta e nel tentativo di afferrarla al volo mi prendo una storta.
Dio! Quanto lo odio!

Josh mi fa entrare in un vecchio furgone che sembra rubato. Di male in peggio.
I grattacieli di New York sfilano davanti ai miei occhi allontanandosi inesorabilmente, perché gli zii non vivono a Manhattan, ma nel Queens. Quindi non potrò frequentare i locali esclusivi, il centro del divertimento.
Ed eccola la mia nuova casa: un ammasso di pietre grigie senza personalità. Una di quelle case che pensavo esistessero solo nelle cittadine di periferia e non a New York.
Vivere in questa città è sempre stato il mio sogno, come diventare una stella dell'hip-hop.
"Su, entrate!" Una voce gracchiante ci invita ad entrare, è quella di mia zia, una donna informe con i capelli rossi arricciati sul viso grassottello. Gli zii mi abbracciano come se per loro fossi davvero importante.
"Povera bambina, chissà come sarai triste!"
Complimenti per il tatto!
Abbraccio la zia con finto trasporto, mentre dentro di me spero solo che bruci all'inferno.
"Allora quando arriva questa cena?!" Lo zio, burbero come l'ho sempre ricordato, pretende il suo pasto.
"Ma caro, Berdie è appena arrivata e non le abbiamo ancora mostrato la sua stanza!" protesta la zia, mentre si avvicina ai fornelli per preparare i piatti.
"Lo farai dopo, mamma!" brontola Josh sedendosi a tavola e reclamando la sua porzione.
Così mi siedo anche io, rassegnata al mio destino.
"E no cara! Se vogliamo andare d'accordo io e te dovrai darmi una mano e non sederti a tavola come fanno gli uomini. Pensavo di avere un aiuto, non un'altra bocca da sfamare!" La zia mette il broncio, come se fosse offesa dal mio comportamento.
Io non ho mai aiutato mia madre! Lei non mi ha mai fatto mancare niente e adesso cosa si aspetta questa da me? Mi vedo già come una nuova Cenerentola, costretta a pulire la cucina e dormire in soffitta.
No, non soffro di vittimismo.
Dopo cena la zia mi mostra la camera ed è peggio di come l'avevo immaginata. La mia suite è in realtà un buco nel sottotetto, in cui la maggior parte dello spazio è occupata da provviste.
"Dovrai fare un po' di ordine cara, bisogna darsi da fare. Noi qui lavoriamo tutti per poterci permettere una vita dignitosa. New York è una città molto cara e... anche tu dovrai fare la tua parte!" Il tono della zia è diventato improvvisamente duro.
Inizio a disfare la valigia evitando di risponderle. Sento salire le lacrime e non voglio che lei mi veda piangere, così fingo di essere impegnata a fare quello che lei mi ha appena consigliato: darmi da fare. Il mio costume hip-hop fa bella mostra di se tra gli altri vestiti.
"Che cos'è quello?" chiede improvvisamente attratta dai colori vivaci.
"Il mio costume da hip-hop, zia!" dico.
"E dove pensi di andare vestita in quel modo ridicolo!" mi risponde con una risata chioccia che mi fa sentire una perfetta idiota.
"A scuola di ballo" le rispondo, certa che capirà. "Sai se ci sono scuole qui?"
Che domanda idiota. Siamo nella culla dell'hip-hop!
"Mia cara ..." la zia scuote la testa ritornando seria "Noi non possiamo permetterci di mandarti a scuola di danza. Tu dovrai lavorare per contribuire alle spese, togliti dalla testa queste stupidaggini!" dice, guardandomi con i suoi occhietti color pece. Sembra godere del mio dolore.
Ecco, questo è il racconto del mio primo giorno a New York.

Too late to say I'm sorryDove le storie prendono vita. Scoprilo ora