MA-MA...

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Sono seduta sul divano, una lattina di birra in mano, il telecomando nell'altra. Ai miei piedi, una fila di bottiglie vuote e i resti della cena. Davanti a me, la televisione rischiara il buio della stanza. Non so neanche cosa stiano trasmettendo esattamente. Come ogni sera, da quando sono sola, fisso quel dannato apparecchio, senza vederlo davvero.

Non voglio pensare a niente. Non voglio sentire niente.

In tv passa uno spot di una nave da crociera, dove una famiglia felice gioca e sorride. Stringo il pugno talmente forte, che la lattina si accartoccia sotto la pressione delle mie dita. Schiaccio il pulsante del muto e contemporaneamente scaglio la lattina contro lo schermo. Un sommesso ruggito di frustrazione mi esce dalle labbra. In quel momento il baby-phone sul tavolino, spento e in disuso da ormai un anno, inizia a gracchiare. Dall'altro capo proviene il pianto di un bambino, pianto che avrei potuto riconoscere tra mille. Mi congelo sul posto e a mala pena sento il rumore della lattina che impatta contro lo schermo del televisore e poi contro il parquet. Nella mia testa rimbomba una sola parola: Josh.

"Ma-ma...Ma-ma..." crepita l'apparecchio.

Mi tappo le orecchie con forza. Non è reale! Non è reale! Non è reale! Così come si era acceso, il baby-phone si spegne di nuovo. Abbasso le mani con un certo sollievo.

"Qualcosa mi dice che hai bevuto troppo, vecchia ubriacona!" mi dico, a voce alta.

Tip tap, tip tap...

Un rumore di passi. Provengono dal piano di sopra...e sono quelli di un bambino. Sento una strana inquietudine che inizia a ghiacciarmi le ossa.

"Basta!- urlo a me stessa- Non c'è più un bambino in questa cazzo di casa!"

Mi alzo a fatica e mi trascino fino alla cucina. Ho esagerato di nuovo con birra e vodka, probabilmente sono ubriaca marcia e sento cose che non esistono. Bevo un grande bicchiere d'acqua, cercando di ignorare i passi sopra la mia testa, dove un tempo c'era la sua camera. Quando ho finito di bere mi sento più lucida e anche il rumore è cessato. Faccio un ultimo profondo respiro per calmarmi e torno in salotto, promettendo che da domani avrei smesso di bere. Ma quando metto piede nel salone, di nuovo le mie orecchie sentono quel rumore:

"...Ma-ma..."

Eppure questa volta non proviene dal baby-phone, ma dalla cima delle scale. Giro lentamente la testa e, al chiaro di luna, vedo una piccola sagoma sul pianerottolo. I suoi capelli ramati scintillano della penombra, ha il pollice in bocca e con l'altra mano stringe la copertina con gli orsetti. La sua preferita.

"Non è possibile... - sussurro- Tu sei morto..."

C'è qualcosa di strano in lui, qualcosa di disumano e diabolico. Sono tentata di scappare, ma le mie gambe si muovono da sole, verso di lui. Mentre salgo le scale, ripenso a tutte le ore passate a pregare che lui tornasse da me, che fosse ancora in vita. E ora...e ora eccolo lì, davanti a me, che mi chiama.

"...Ma-ma.."

Una volta salito l'ultimo gradino, le ginocchia mi cedono dall'emozione e mi accovaccio davanti al bambino.

"Josh!" mormoro, mentre due grosse lacrime di gioia mi scendono lungo le guance. I suoi occhietti verdi, vispi come un tempo, mi squadrano con la curiosità tipica che hanno i piccoli, quando vedono un adulto piangere. Lo stringo a me, ringraziando mentalmente Dio per averlo fatto tornare, per avermi concesso una seconda possibilità. La mia vita è di nuovo completa.

Ma è in quel momento che un odore pungente di carne in putrefazione mi penetra nelle narici. Sciolgo l'abbraccio e quello che vedo non è più mio figlio. E' un mostro. La pelle del suo faccino è marcia, putrefatta, in alcuni punti assente, facendo trasparire il pallore del cranio. Un occhio pende fuori dall'orbita, il naso è ormai totalmente decomposto e gli manca un orecchio. La tutina è strappata e le mani scarnificate. Ancora accucciata indietreggio, l'orrore mi rimescola le viscere.

"Ma-ma... - ripete, ma questa volta la sua voce è gutturale, sinistra- tu mi odi..."

Il mio cuore si contrae.

"N-non è vero, piccolo. I-io ti amo! - balbetto, terrorizzata- E' stato solo...solo un i-incidente...n-non volevo...ma ero di f-fretta...e avevo...avevo bevuto...n-non volevo farti c-c-cadere..."

Josh scuote lentamente la testa.

Inizio a singhiozzare.

"Ma-ma...tu mi hai ucciso..."

Josh fa un passo avanti, costringendomi a farne uno indietro. Sono sul ciglio delle scale.

"Non l'ho fatto apposta! T-ti prego, amore, perdonami! Dammi un'altra possibilità! Ti g-giuro che sarò la madre migliore del m-mondo! T-ti porterò a-allo zoo e a mangiare il g-gelato che ti piaceva tanto e..."

Mi si spezza la voce. Sento le gambe tremare. Il piccolo mi squadra con il suo unico occhio, sembra impietosito. Ma invece di perdonarmi, vedo la sua espressione diventare rabbiosa.

"NO!" ruggisce e mi spinge.

Perdo l'equilibrio e cado dalle scale, nel vuoto. Sento i gradini colpirmi il corpo e spezzarmi le ossa. Il dolore dilaga in me come un torrente in piena. Le stesse scale che hanno ucciso lui, ora stanno uccidendo me. Crollo sul tappeto del salotto, ma non ho la forza di alzarmi. Sento il sangue che pulsa fuori dalle ferite. Mi fischiano le orecchie. La mia vita si annebbia. Percepisco la vita che mi sta abbandonando.

L'ultima cosa che vedo è Josh che mi guarda, divertito, e mi manda uno squallido bacio con la manina...



May Your Soul ScreamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora