Il tunnel della morte

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Sono le dieci e mezza quando scendo in palestra. La sala è buia, illuminata debolmente dalla luce dei lampioni, che filtra attraverso le vetrate.
Fuori, la bufera di vento imperversa. Scuote le cime degli alberi, che proiettano ombre sinistre sul pavimento di linoleum.
Notte perfetta per avventurarsi in un vicolo sotterraneo...
In realtà io non avrei mai voluto farlo, soprattutto dopo che ho sentito le storie che girano riguardo a questo tunnel.
Leggende che parlano di figli illegittimi di suore abbandonati, di bambini cavati fuori dall'utero e uccisi dalle mani delle stesse madri.
Ma con i miei amici abbiamo tirato a sorte...
E sono uscito io...
Così io mi sono nascosto in uno sgabuzzino polveroso della scuola e ho aspettato che la bidella mi chiudesse dentro.

Il vento fischia e ulula, mentre scendo i gradini delle tribune. Ho la pelle d'oca. Grazie al mazzo di chiavi che ho sottratto dalla portineria riesco subito ad aprire il deposito delle attrezzature sportive.
Ed eccola, davanti a me, la famigerata porta del tunnel che collegava il mio liceo, ex convento di clausura, con il vecchio bagno pubblico della città, dove suore e cittadini peccavano quotidianamente.
Ho i sudori freddi.
Con le mani che tremano, afferro il lucchetto della porta e inizio a provare una chiave dopo l'altra. Al decimo tentativo trovo quella giusta e in un attimo il lucchetto e la catena ad esso collegata sono ai miei piedi.
Il cuore martella nel mio petto. Ne sento l'eco nelle orecchie.

Spalanco la porta.

Un vento gelido mi dà il benvenuto in un corridoio oscuro e umido. Sembra un buco nero pronto a mangiarmi. Accendo la torcia che mi sono portato dietro, ma le tenebre sono così profonde, che riesco solo a illuminare il primo metro di uno sconnesso pavimento di pietra.
Deglutisco a fatica.
Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo.
Posso farcela!
Devo farcela!
Non posso fare la figura del coglione davanti ai miei amici.
Ho una videocamera a infrarossi fissata sulla testa, per cui se non porto loro le immagini del tunnel capiranno che me la sono fatta sotto e che sono scappato...

Inizio ad avanzare nel corridoio.

L'umidità mi gela le ossa. Il freddo mi fa accapponare la pelle. La puzza di muffa mi fa venire la nausea. Il buio sembra inghiottire la luce della torcia.
Avanzo piano, attento a non scivolare sul terreno instabile.
Si tratta di un tunnel circolare scavato nella pietra, dal soffitto costellato di stalattiti e dalle pareti coperte di funghi e gocce d'acqua.
Vorrei tornare indietro, ma non posso farlo, devo vedere fin dove arriva.
Costringo le mie gambe ad avanzare. Il corridoio sembra non finire più, non so neanche da quanto sto camminando.
Nel silenzio, rotto qua e là dal gocciolare delle pareti e dall'eco dei miei passo, sento un pianto.

Il pianto di un neonato.

Sussulto. Punto la torcia intorno a me.
Niente.
Saranno il vento e la suggestione che mi giocano brutti scherzi...
Vado avanti sempre più titubante. I vagiti non si fermano.
Faccio altri venti passi...poi la mia torcia illumina qualcosa.

Si tratta di un fagottino di stracci lerci.

Il pianto si fa più forte, sembra provenire da lì.
Gemo di paura.
"Scappa! Vattene via!" Urla la mia testa.
Ma le mie gambe avanzano da sole e raggiungono il fagottino.

Sembra un neonato.

Mi accuccio per raccoglierlo con il cuore in gola.
Ma è solo dopo che lo prendo tra le braccia che riesco a vedergli il volto.
È il viso di un bambino, rosso e paffuto, ma è orribilmente deformato e putrido. La pelle è marcia e squamata. La bocca è costellata di dentini aguzzi e anneriti. Gli occhi sono totalmente neri, senza cornea.
Alcuni squarci lasciano intravedere la materia grigia putrescente e il cranio, sfondato all'altezza della tempia destra.
Non appena il piccolo si accorge di me mi guarda.
E ruggisce.
È un suono gutturale e diabolico.
Grido e lo lascio cadere.

Che cazzo è?!

Altri ruggiti squarciano il silenzio.
Sollevo la torcia e la punto davanti a me.
Decine e decine di neonati in decomposizione, nudi e con gli stessi occhi neri, emergono dal buio.

Sono ovunque.

Sulle pareti, sul pavimento, sul soffitto.
Ci metto un istante per rendermi conto di ciò che sta succedendo. Poi mi giro.
E corro.
La torcia illumina in maniera scomposta il mio percorso.
I piedi scivolano sulla roccia.
I loro ruggiti mi riempiono le orecchie.
Sono sempre più vicini.
Ho il fiato corto e il cuore mi sembra stia per scoppiare.
Volto la testa e con la coda dell'occhio vedo miriadi di occhietti che brillano nelle tenebre. Urlo. Accelero.
In lontananza, finalmente, vedo la porta. Ci sono quasi!
Le gambe mi fanno male, ma aumento il ritmo. Loro non mi mollano.
La luce del deposito è sempre più vicina.
Sono salvo!
Una folata di vento mi investe. La porta inizia a chiudersi.

《 No, no, no, no, no, NO! 》

Mi lancio in avanti.
Scivolo.
Cado.
Mi rialzo.
Il ginocchio brucia.
La porta è quasi socchiusa.
Ormai ci sono!
Mi allungo e sto per toccare il pomello...ma la porta si richiude con un tonfo sordo. Mi ci schianto contro e inizio a spingere con tutte le mie forze.
Ma non si apre.
Sento i bambini sempre più vicini e minacciosi.
Spingo ancora.

《 State lontani! 》grido.

Il fascio di luce della torcia viene oscurato dai neonati.
Sono in trappola.
Un bambino mi si arrampica su una gamba. Mi morde e strappa via un pezzo di carne.
Il dolore esplode in me, aumentando la paura.
Batto i pugni contro il portone.

《 Aiuto! Salvatemi! 》

Sempre più bambini si gettano su di me. Ora ne ho sulla schiena, sulle braccia, sulle gambe. Mi tirano verso il basso. Un neonato mi morde la nuca. Un altro mi tira un piede.
Cado.

《 No! 》

Una folla di mostri mi è addosso. Mi stanno mangiando. Mi dimeno e lotto con tutte le mie forze. Ma nulla cambia.
Il dolore è insopportabile. Sento il vento sfiorarmi la carne e le ossa.
Continuo a urlare finché un bambino mi strappa la lingua, morso dopo morso.
Dopo, dalla mia gola, escono solo versi strozzati.
E io rimango lì, inerme, spolpato, ad aspettare la morte.

May Your Soul ScreamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora