L'annegato

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La barca scivola, pigra, trasportata dalla debole corrente del laghetto.
Le ultime del giorno ne tingono l'acqua di rosa, arancione e indaco.
L'aria è satura di allegri cinguettii di uccelli, che iniziano a tornare ai loro nidi per passarvi la notte.
Il cielo, imbrunito dal crepuscolo, inizia a svelare le prime stelle, che mi osservano, mute e immobili.

Respiro a pieni polmoni e mi sistemo sulle assi della mia piccola imbarcazione, godendomi lo spettacolare paesaggio che questa frizzante giornata di ottobre mi offre.
Il bosco che si sta mutando in una calda macchia giallo-arancione, il cielo terso e variopinto, gli animali che si abbeverano, pavidi, sulla riva.

Con gli occhi colmi di tutta questa meraviglia, posiziono l'esca sulla lenza e la scaglio ad una decina di metri da me.
Ora devo solo rilassarmi, essere paziente e attendere che qualche pesce abbocchi. La corrente mi culla e il canto degli uccelli è come una ninna nanna per le mie orecchie.
Così, reclino la testa e chiudo gli occhi...

Devo essermi assopito, perché quando riapro gli occhi è buio.
Il panorama, che prima era idilliaco, ora è spettrale.
La luce bianca della luna piena e di miriadi di stelle illuminazione a la foresta, i cui alberi nodosi appaiono come mostri grotteschi, pronti a ghermirmi.
Uno strato di nebbia cinerea e luminescente attraversa i sentieri, abbraccia cespugli e tronchi, accarezza l'acqua nera come la pece.
Sembra un pallido fantasma.
Nelle mie orecchie risuona un'assordante silenzio.
Un vento freddo penetra nei miei vestiti e mi attanaglia le ossa.
Rabbrividisco.

In quel momento, mi rendo conto che la lenza è tesa e la canna è pericolosamente piegata verso l'acqua immobile.
Il galleggiante è scomparso.
Stranamente non sono felice di aver preso qualcosa.
Voglio solo tornare a casa al caldo, anche se a mani vuote.
Ma devo recuperare l'amo, perché è uno dei migliori che ho.
Così mi metto in posizione e inizio a girare il mulinello.
Faccio una grandissima fatica e recuperare la lenza, dopo poco le braccia iniziano a farmi male e le mani mi si bagnano di sudore.
Devo aver preso qualcosa di veramente grande.
Alla mia precedente inquietudine si frappe il mio stomaco gorgogliante e la prospettiva di una bella cena a base di pesce.
Così, alimentato dalla fame, continuo a riavvolgere la lenza, curioso di sapere cosa abbia catturato il mio amo.
Dopo un paio si minuti di sudore e fatica, finalmente vedo riaffiorare il galleggiante e...

Qualcosa afferra il remo della barca e inizia a strattonarlo.

Lascio il mulinello e uso la mano libera per afferrare il remo e tirarlo a me.
Il panico si fa strada nelle mie viscere.
Lotto con tutte le mie forze, urlano tra i denti per lo sforzo, ma l'altra cosa, qualsiasi cosa sia, è talmente forte che la barchetta si inclina pericolosamente.
Sposto il mio peso indietro per non cappottarmi e in quel momento, al culmine dello sforzo, il remo mi scivola dalla mano e finisce in acqua.
L'imbarcazione dondola minacciosamente e io sposto il peso in avanti, per cercare di stabilizzarla.
Quando ho ritrovato l'equilibrio mi guardo intorno, spaesato e impaurito.

Intorno a me, la calma regna sovrana.

Chiudo gli occhi e cerco di regolarizzare il respiro.
Le mie mani tremano.
Riapro le palpebre e la prima cosa a cui penso è che devo recuperare il remo, o non riuscirò a tornare a casa.
Mi sporgo oltre il parapetto e osservo l'acqua oscura, striata da piccole onde.
Per fortuna, il remo è appena sotto la superficie, sarà facile recuperarlo.
Sollevato, allungo il braccio per prenderlo...

Una mano si aggrappa alla mia.

Grido di sorpresa e mi tiro indietro.
Quella mano è gonfia, verdognola, viscida, in decomposizione, ma, soprattutto, umana.
Le sue unghie nere si conficcano nel mio avambraccio.
Vuole tirarmi giù.
Una seconda mano afferra il parapetto della barca e inizia ad issarsi.
Con il cuore in gola, vedo un volto emergere dalle profondità del lago.
Si tratta di una testa quasi priva di capelli.
La pelle appare grinzosa e rugosa e in alcune parti lascia intravedere i muscoli putrefatti e il pallore del cranio.
Gli occhi, lattiginosi, sono fuori dalle orbite, e le pupille vitree mi fissano con malvagità.
Il naso è quasi inesistente, probabilmente è stato mangiato dai pesci, si tratta di un buco in cui pendono gli ultimi pezzi di cartilagine.
Ha la bocca aperta in un ghigno che lascia scoperti i denti marci e la lingua nera.
È una visione talmente disgustosa, che devo reprimere un conato di vomito.
La mia bocca di riempie di bile acre.
In un guizzo di acqua scura, la seconda mano schizza in avanti, si serra intorno canna da pesca e inizia a tirare.
Inarco la schiena e punto i piedi contro il parapetto, nel disperato tentativo di opporre resistenza.
Quando la testa emerge delctutto, un odore nauseabondo di carne marcia mi permea le narici.
Sento dei piedi piazzarsi sotto lo scafo e iniziare a fare forza.

Uno schiocco secco rimbomba nell'atmosfera immobile, seguito da un mio lungo, straziante, grido di dolore.
Mi sono lussato una spalla, forse tutte e due.
Il mostro dà un ultimo strattone e io, con le lacrime agli occhi, precipito in acqua.

Trattengo il respiro e inizio a dimenarmi per cercare di tornare in superficie, ma le sue mani mi tengono sotto.
Il suo corpo, anch'esso putrido e coperto di stracci, prende a nuotare verso il fondale, trascinandomi con sé.
Il gelo mi fa venire la pelle d'oca.

Devo tornare a galla.
Devo respirare.
Ho bisogno di respirare!

Ma lui non mi lascia andare, sebbene io lotti con ogni briciolo della mia forza.

Non ce la faccio più.

Vinto dal bisogno di ossigeno, spalanco la bocca e l'acqua mi invade i polmoni.
La vista mi si riempie di macchioline luminescenti.
Vorrei tossire, vomitare fuori tutta l'acqua, ma più apro la bocca, più annego.
I miei sensi si affievoliscono, mentre lui mi porta verso l'abisso.

E io mi fondo con l'oscurità.

May Your Soul ScreamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora