Smile

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L’ho vista per la prima volta questa mattina, nell’atrio della scuola.
La sala era affollata da studenti infreddoliti che si facevano largo verso i loro armadietti, incuranti di me, piccola, inerme e con la tibia rotta.
Avanzava piano, incerta e traballante, sulle stampelle e cercavo di chiedere “permesso” con la mia vocina.
Ma nessuno pareva sentirmi.
Mi sbarravano la strada, mi urtavano, mi travolgevano e io cercavo disperatamente tra loro qualcuno che conoscessi o un modo per passare.

Poi, alla mia destra, si è aperto un uno spiazzo.
Lei era al centro,  ma nessun pareva accorgersi della sua presenza.
Era alta e nuda, salvo per un perizoma stracciato sul pube e due “X” fatte di nastro nero sui capezzoli. La sua pelle era marroncina, secca, incartapecorita, grinzosa e avvolgeva un corpo magro da far spavento. Le costole, le ossa del bacino, ogni giuntura sporgeva in modo impressionante. Pareva fatta solo di pelle ed ossa, senza un grammo di ossa, non aveva neanche un accenno di seno.
Aveva i capelli lunghi fino ai fianchi, lisci, marroni e sfibrati, che le ombreggiavano il volto scavato. I suoi occhi erano due bottoni rossi, cuciti sulla pelle e grondanti sangue vischioso.
E fissavano me.
La sua bocca era un taglio che andava da orecchio a orecchio, chiuso da una lunga cucitura nera, anch’essa incrostata di sangue. Al posto del naso aveva due piccoli tagli verticali.
Ho abbassato lo sguardo e ho notato con orrore che stringeva un coltello arrugginito in una mano e nell’altra un ago e un rocchetto di filo scuro.

Mi è mancato il respiro e ho iniziato a tremare, avevo voglia di urlare, ma avevo paura che, facendolo, lei si sarebbe lanciata su di me. Così mi sono girata e ho preso a camminare più veloce possibile, facendomi strada a forza di gomitate nei fianchi e stampelle sui piedi.
Dovevo fuggire, dovevo andare il più lontano possibile da lei.
Il mio cuore batteva all’impazzata e non riuscivo a respirare.

“Ora mi uccide, ora mi uccide, ora mi uccide.” Continuavo a pensare.

Tremavo talmente tanto che a un certo punto ho messo male le stampelle, sono scivolata e sono finita addosso a un ragazzo biondo che stava davanti a me.
Lui si è girato di scatto, cercando di recuperare l’equilibrio.

“Ma che cazz-?” ha esclamato.

Poi ha visto me, a terra, pallida e dolorante e la sua espressione da arrabbiata è diventata preoccupata.
Si è chinato su di me e mi ha aiutata a rialzarmi.

“Va tutto bene? Ti sei fatta male?” ha chiesto.

Ma io non ho risposto, mi sono girata e ho iniziato a cercare lei con lo sguardo. Sapevo che mi stava alle calcagna, era solo questione di tempo prima che mi raggiungesse.
Lui mi ha scrollata per le spalle.

“Ehi, ci sei? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma!”

“S-sto b-b-bene…” ho balbettato, sconvolta. 

“A me sembra proprio di no. Ascolta, ti porto in infermeria.” Ha detto.

Poi mi ha presa in braccio. Dapprima mi sono dimenata, detesto essere presa in questo modo, da uno sconosciuto poi! Però ho presto realizzato che andava molto più veloce di me e che gli studenti si facevano da parte al suo passaggio.
Così mi sono tranquillizzata e ho elaborato un piano: in infermeria avrei finto un malore, avrei chiamato mia madre e le avrei detto di venire a prendermi. Una volta con lei, non le avrei permesso di allontanarsi neanche per un istante.

Una volta arrivata in infermeria mi hanno fatto stendere su un lettino, di fronte a un grande specchio. L’odore di disinfettante saturava l’aria. Ho visto il ragazzo parlare a bassa voce con l’infermiera,  l’unica persona presente lì. Io fissavo la porta con gli occhi sbarrati. Mi aspettavo da un momento all’altro di vederla entrare, malvagia e spettrale.
L’infermiera mi ha squadrata dall’alto in basso con i suoi piccoli occhi porcini. Mi ha messo una mano sulla fronte, mi ha sentito il battito cardiaco e poi ha storto il naso.

May Your Soul ScreamDove le storie prendono vita. Scoprilo ora