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In qualche modo, Donna Way era riuscita a convincere Gerard a fare un colloquio di lavoro per uno studio grafico a New York.
E Gerard aveva accettato perché doveva trovare qualcosa con cui impegnare le sue giornate, altrimenti avrebbe continuato a spendere i suoi minuti, le sue ore, a pensare a quella sera in cui si era ubriacato e Frank gli aveva detto quella cosa strana sul fatto che avrebbe voluto baciarlo. Che poi non era nemmeno sicuro fosse accaduto davvero, magari era semplicemente troppo ubriaco, forse aveva preso una pasticca o due, sicuramente aveva fumato qualcosa, comunque, c'erano buone probabilità che si fosse immaginato tutto. E di certo non poteva chiedere conferma a nessuno. Innanzitutto perché non c'erano testimoni, e ciò significava che l'unica altra persona a conoscenza dei fatti era lo stesso Frank, al quale di certo Gerard non poteva andare a chiedere "Ma per caso l'ho sognato o davvero hai detto che ti piaccio?". Ah, certo che non poteva. Gerard si conosceva bene, era troppo codardo per fare una cosa del genere. Per non parlare del fatto che se davvero avesse semplicemente fantasticato ed immaginato tutta quella scena, che figura ci avrebbe fatto?
Strano ed anche visionario.
E poi erano passate settimane da quella sera, e di Frank non aveva avuto più notizie. Aveva provato a chiedere qualcosa a Mikey, ma suo fratello, che non era un disagiato come Gerard, gli aveva semplicemente detto "Perché non vai a trovarlo da Wall Mart? Lavora lì, tre giorni a settimana". E non gli aveva nemmeno chiesto come mai fosse così interessato a Frank, cosa di cui Gerard fu grato perché non avrebbe saputo proprio cosa spiegargli.
L'unica cosa certa era che quel Frank gli piaceva, ma sicuramente non credeva fosse il caso di raccontarlo a Mikey.

Il colloquio di lavoro era fissato per le 9 di mattina, e Gerard aveva bevuto già due tazze di caffè, si era pettinato e vestito ed aveva preso il pullman fino ad Hoboken.
Erano quasi le 9 quando arrivò alla stazione, e non riuscì a credere ai suoi occhi.
Dall'altro lato del fiume, a New York, una nuvola di fumo scuro si alzava nel cielo, creando un surreale contrasto contro l'azzurro di quella giornata soleggiata di Settembre.
Curiose come lui, le persone nei dintorni si erano avvicinate alla ringhiera dell'Hudson, tutte in preda al panico, chiedendosi cosa stesse accadendo.
Un uomo aveva accostato la macchina al marciapiede, e dall'autoradio un cronista parlava di due aerei che si erano schiantati contro le Torri Gemelle. Una donna accanto a Gerard aveva iniziato a piangere, tirando fuori il telefonino dalla borsa. Stava cercando di mettersi in contatto con qualcuno. Gerard era così confuso che non riuscì più a capire nulla. Vide qualche furgone dei vigili del fuoco correre verso la direzione dell'incidente con le sirene spiegate. Seguite da alcune camionette della polizia.
Sembrava la scena di un film, eppure era tutto vero.
Rimase lì in piedi per tantissimo tempo, ad osservare quello scenario raccapricciante, insieme a tutti quegli sconosciuti.
Commentarono l'accaduto, ogni tanto qualcuno parlava al telefono con qualcun altro e informava gli altri su ciò che dicevano i notiziari alla tv o alla radio. Dicevano che era stato un attacco terroristico. Che gli Stati Uniti d'America erano stati attaccati. Che alcune persone si erano lanciati dalle torri, forse sperando di salvarsi, oppure per morire più velocemente.
Gerard sentì tutte quelle cose ed ora non voleva fare altro che tornare a casa dalla sua famiglia.
Sapeva che stavano tutti bene, ma aveva bisogno di vederlo con i suoi occhi.
Aveva bisogno di tornare a casa ed abbracciare i suoi genitori e suo fratello.
Fu come attraversato da un flash, in cui si era ricordato che era da una vita ormai che non diceva ai suoi quanto bene gli voleva. Si ricordò che aveva passato tantissimo tempo a non fare nulla, chiuso nella sua camera, ad aspettare che qualcosa nella sua vita cambiasse come per magia. E si rese conto che il tempo passava, e lui stava letteralmente sprecando il suo tempo. E magari un giorno un aereo sarebbe crollato su casa sua e del suo posto nel mondo non se ne sarebbe mai accorto nessuno.
Pensò che tutte le sue poesie, i suoi disegni, tutta la sua arte era chiusa in quella stanza a prendere polvere.
Pensò che voleva dar voce ai suoi pensieri. Non voleva essere semplicemente quel ragazzo strano di Belleville, che aveva un sacco di cose da dire ma che era morto prima di poterle pronunciare.
Gerard si rese conto di voler finalmente cominciare a vivere. A vivere davvero.

Riuscì a rientrare in casa solo nel tardo pomeriggio, a causa del caos dovuto all'attentato di New York.
Corse in camera di Mikey e lo trovò seduto sul letto, le braccia incrociate sul petto, intento a fissare le immagini degli aerei che si schiantavano contro le torri gemelle mandate in onda dal telegiornale.
«Voglio mettere su una band!» esclamò, raggiungendo il fratello per stringerlo in un abbraccio «Una vera band, come quelle dei tuoi amici, Mikey. Voglio scrivere canzoni e cantarle, e dare un messaggio al mondo» disse ancora.
Il più piccolo annuì. Conosceva bene suo fratello, e non aveva bisogni di spiegazioni. Se Gerard voleva mettere su una band, avrebbero messo su una band. E, poteva giurarci, sarebbero stati grandiosi.
Mikey chiamò Ray, che era uno dei chitarristi più bravi che conosceva, e Matt, un altro ex compagno di scuola di Gerard, e quel giorno, presto lo avrebbero scoperto, cominciò un'avventura che avrebbe stravolto per sempre le loro vite.

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Salve bella gente. Scusate se questo capitolo è incredibilmente corto ma ho avuto dei problemi familiari & lavorativi che mi stanno divorando, ma avevo bisogno di scrivere quindi ho scritto u.u
Grazie mille a chiunque mi stia dando un briciolo di fiducia.
XO

From my head to my middle finger, I really think I like you.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora