Capitolo Quarto

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Finalmente raggiunsi l'ingresso del paese. Ai lati del massiccio portone, collegate alle mura, incombevano i resti delle torri difensive che erano state erette nel corso della più grande guerra nella storia di Latia.

Latia comprende il Regno degli umani, il Regno dei draghi, il Regno dei giganti e quello degli elfi. Circa mezzo secolo fa, un uomo di nome Tigilz scatenò una guerra: formò un esercito di soli uomini e li aizzò alla rivoluzione. Secondo ciò che pensava, la nostra razza doveva avere il controllo su tutte le altre. Inizialmente riuscì a conquistare molte città nel Regno degli umani e nel confinante Regno dei draghi, ma successivamente gli uomini fedeli al Re, gli elfi, i draghi e i giganti si unirono contro la minaccia comune e repressero brutalmente il tentativo di quel pazzo. L'armata di Tigilz venne sconfitta, ma le vittime furono moltissime. Al termine della guerra fu indetto il Consiglio Post-Bellico, il cui compito era stabilire la punizione del genere umano. Ci furono mesi e mesi di accesi dibattiti, ma infine tutti furono d'accordo con la proposta degli elfi. Il nuovo Re degli umani, Kos, firmò un patto nel quale si affermava che la razza umana era in debito con le altre, e che draghi, elfi e giganti potevano chiedere il risarcimento sotto qualsiasi forma ritenessero più adatta. Nessuno dei popoli aveva ancora avanzato richieste.

Davanti a me c'era un lungo rettilineo deserto, costeggiato da aiuole e illuminato da una serie di lampioni laterali. Al fondo del viale un cancello impediva l'accesso al cortile interno di una grande tenuta nobiliare. Dietro di me la strada principale curvava a destra, mentre io avevo proseguito senza svoltare. Decisi di continuare verso la villa, perché volevo scoprire dov'ero capitato.

Quando arrivai davanti al cancello, una voce metallica disse: <<Benvenuto. Entra pure, basta spingere.>>

Sobbalzai dallo spavento e mi guardai intorno, per sapere chi aveva parlato. A destra del cancello c'era un citofono e su un albero lì vicino una telecamera stava riprendendo proprio me. Rimasi fermo, indeciso sul da farsi. Non sapevo dov'ero capitato, e neppure chi abitasse nella maestosa e sfarzosa abitazione davanti a me. Alla fine la curiosità prevalse sulla prudenza: aprii il cancello ed entrai nel giardino.

La prima cosa che mi saltò agli occhi furono le statue. Ce n'erano a decine, collocate in vari punti del prato. Alcune raffiguravano delle persone, in piedi o a cavallo, altre draghi, elfi o giganti in assetto da battaglia. Il vialetto principale conduceva ad una fontana centrale, da cui altri sentieri si diramavano verso diverse zone del giardino e verso la villa. Seguii quest'ultimo percorso, ammirando quel parco meraviglioso. Arrivato alla porta bussai, e mi aprì quasi immediatamente un signore sorridente con i capelli grigi e il volto segnato dalle rughe. La sua espressione lasciava trasparire un po' di stanchezza. Era vestito con una divisa da maggiordomo e aveva le mani protette da un paio di guanti bianchi.

<<Buonasera, Signorino. Il padrone la sta aspettando in sala da pranzo. Mi segua.>>

Mi guidò attraverso una serie di corridoi, mentre gli antenati del "padrone" mi fissavano con occhio indagatore dalle cornici. Entrammo in una grande sala: appeso al soffitto un candelabro illuminava l'ambiente, e ai muri erano appesi quadri e teste imbalsamate di vari animali. Davanti a me un tavolo lunghissimo si estendeva da un capo all'altro della stanza. Tutti i posti erano apparecchiati con posate dorate, ma solo quello a capotavola era occupato. La persona seduta mi dava le spalle, e potevo vedere soltanto che era pelato e abbastanza piccolo di statura, visto che arrivava a malapena al tavolo e la sua testa si intravedeva a malapena dietro lo schienale.

<<Prego, vieni pure a sederti.>>

La voce acuta dell'uomo mi strappò dai miei pensieri e mi riportò alla realtà. Dopo un attimo di esitazione mi avvicinai lentamente, insicuro.

<<Veloce, che ho fame!>> strillò l'ometto, e allora mi precipitai verso la sedia alla sua sinistra.

Lo guardai di sottecchi, e mi resi conto ancora di più di quanto fosse basso. Le gambe non toccavano il pavimento, e doveva tenere le braccia sollevate per arrivare a malapena al tavolo. Non sembrava molto giovane: il suo viso, per quanto minuto, aveva già tratti da adulto.

<<Ecco l'antipasto, Signori.>>

Il maggiordomo era in piedi di fianco a me, con un vassoio in mano.

<<Grazie, Golser. Servici pure!>> squittì il padrone, che poi si rivolse a me. <<Benvenuto, Echr. Io sono il padrone di questa villa, anche se credo che tu l'avessi già capito. Il mio nome è Undmor. Buon appetito.>>

Non avevo mai mangiato così tanto e così bene, prima di allora. Le portate erano tutte buonissime e gli ingredienti di prima qualità. Guardandomi intorno, mi chiesi come facesse Undmor ad avere così tanti soldi da permettersi tutto quello sfarzo.

Dopo aver divorato il dolce, posi la domanda che mi frullava in testa da un po': <<Perché fa tutto questo per me?>>

Lui mi guardò e sorrise: <<Perché tu sei un ragazzo speciale, Echr. Credi che io inviti a cena tutti i marmocchi che passano per Qeru? No, non è affatto così. Molte persone agiscono a Latia, alcune con intenzioni più buone e altre... un po' meno. Devi stare attento a riconoscere quelli che ti trovi davanti e a non lasciarti ingannare. Il tuo futuro non è chiaro. Un veggente ha predetto che sarai fondamentale per una vicenda che deciderà le sorti di Latia, ma nessuno sa da che parte ti schiererai, e quindi tutti hanno paura di te. Non è divertente?>> Mentre pronunciava quest'ultima frase, sulla sua faccia si formò un sorriso.

Le sue parole mi lasciarono confuso e spaventato: com'era possibile che il mio destino fosse già stato deciso? Chi avrei aiutato, e a fare cosa? Perché non ne sapevo niente?

<<A Kejom sono stato catturato, e l'uomo che voleva rapirmi aveva dato anche l'ordine di uccidermi. Perché?>> gli chiesi infine.

Lui ci pensò su, prima di rispondermi. <<Ci sono persone che preferiscono farti fuori piuttosto che rischiare, in modo di essere sicuri che tu non possa aiutare i loro nemici. Per questo motivo devi stare attento.>>

<<E lei non fa parte di questo gruppo di persone, vero?>>

Undmor mi guardò sorpreso, poi scoppiò in un'altra delle sue squillanti risate. <<Ragazzino, sei proprio simpatico! Secondo te prima spendo una montagna di soldi per offrirti una cena degna di questo nome e poi ti ammazzo? Dovrei essere completamente matto per farlo, non credi?>>

Sorrisi nervosamente, mentre lui non smetteva più di ridere. Le sue parole non mi avevano convinto granché.

Dopo qualche minuto finalmente Undmor si ricompose e riprese a parlare: <<Tornando a noi, sarei disposto a offrirti la mia ospitalità per la notte, se per te non è un problema. Potresti stabilirti nella stanza degli ospiti al piano di sopra, fino a quando non troverai un'altra sistemazione o non ripartirai per il tuo viaggio. Cosa ne pensi? A me non serve il tuo aiuto, non voglio immischiarmi in simili faccende.>>

Lo guardai negli occhi, cercando di capire se potevo fidarmi di lui, e non vi trovai nessuna traccia di cattive intenzioni.

Stavo per rispondere alla proposta, quando Golser piombò nella sala ansimante. <<Signore, è successo qualcosa... in piazza>>

<<Come sarebbe? Grazie Golser, siediti pure. Io ed Echr andiamo a controllare. Seguimi, Echr.>>

Undmor si alzò e iniziò a correre con una velocità incredibile, considerata la lunghezza delle sue gambe. Raggiunta l'uscita, afferrò un giaccone dall'appendiabiti e si precipitò fuori. Quando raggiungemmo la strada principale svoltò a sinistra senza rallentare. A quella velocità, riuscii a vedere Qeru solo di sfuggita, ma potei notare che le case erano disposte come a Kejom: affiancate l'una all'altra. Lungo la strada non incontrammo nessuno.

Finalmente arrivammo dove l'acciottolato della strada si allargava a formare una grande piazza, e lì ci fermammo. Al centro dello slargo una decina di persone in cerchio stava discutendo animatamente, e sembrava che in mezzo a loro ci fosse qualcosa per terra. Mi girai verso Undmor per chiedergli cosa stava succedendo, ma lui non c'era più. Allarmato, mi guardai intorno nervosamente e mi accorsi con sollievo che lui era già nella piazza, diretto verso il gruppetto con passo rapido e deciso. Lo raggiunsi correndo e notai che il suo sguardo aveva assunto un'aria triste e preoccupata.

Anticipando il mio tentativo di chiedergli qual'era il problema, mi ordinò con tono perentorio: <<Stai qui, adesso. Non devi vedere.>>

Senza lasciarmi il tempo di controbattere, si allontanò velocemente. Io rimasi fermo, sorpreso e deluso allo stesso tempo. Cosa che non potevo vedere, e per quale motivo? Il mio lato razionale mi suggeriva di obbedirgli, ma poiché la mia curiosità non accettava di perdersi la scena mi avvicinai alla folla senza pensarci due volte. Mi fermai qualche metro dietro Undmor, così che lui non potesse notarmi.

Al centro del cerchio di persone, sdraiato per terra, c'era il corpo di una donna. Il volto era ricoperto di sangue, che ormai si era raggrumato e formava una maschera rossa scura. Le persone che la circondavano, però, non la consideravano nemmeno: erano troppo impegnati a discutere.

<<E' inutile che cerchiate di far ricadere la colpa su di noi, Sonegl. E' fin troppo chiaro che siete stati voi a compiere questo scempio>> disse un uomo con un mantello sulle spalle e una tuba in testa.

<<Non farmi ridere, Ebohr. Sai benissimo che noi non faremmo mai una cosa del genere, mentre non si potrebbe dire lo stesso di voi>> ribatté un altro signore vestito esclusivamente di verde e con una faretra sulla schiena, anch'essa verde.

I due uomini appartenevano a due sette diverse di Latia: il primo faceva parte di coloro che sostenevano le ragioni di Tigilz; mentre il secondo era chiaramente uno dei Maghelfi, ossia coloro che sostenevano di discendere dagli elfi e di aver ereditato la loro capacità di usare la magia. Tra le due fazioni non correva buon sangue.

<<Si può sapere cos'è successo?>> Undmor dovette gridare per farsi sentire.

<<Buongiorno, Signore>> gli rispose Ebohr inchinandosi. <<Come può vedere è stata uccisa una donna, e stiamo cercando di individuare il colpevole.>>

Sonegl intervenne, fissando con sguardo maligno Ebohr: <<Abbiamo già degli ottimi indiziati, Signore.>>

Undmor era furibondo: <<Vi prego, non ditemi che invece di indagare seriamente stavate approfittando dell'occasione per litigare di nuovo! Questo vostro comportamento non è più tollerabile. C'è qualcuno che sta davvero cercando di capire cosa diavolo è capitato?>>

<<Io, Signore, e credo anche di aver scoperto qualcosa di molto interessante...>>

La risposta proveniva da un punto indistinto del gruppetto di persone, per cui subito non capii chi avesse parlato, ma poi un uomo si fece avanti. Indossava una giacca blu e un paio di jeans, e la sua espressione tradiva una punta di orgoglio quando mostrò a Undmor un medaglione, dicendo di averlo trovato al collo della donna. Undmor sembrò molto colpito da quell'oggetto, e lo osservò incredulo.

<<Non può essere vero... Lui è morto l'anno scorso!>>

La nota terrorizzata che aveva assunto la sua voce mi fece rabbrividire.

<<Lui chi, Signore?>> domandò l'uomo.

<<Worz.>> rispose Undmor.  

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