Capitolo 14

68 10 0
                                    

Whether you are sweet or cruel I'm gonna love you either way.


Il bus 56, quello che utilizzo la mattina per arrivare a scuola, alle sette e cinquantadue è Bombay nell'ora di punta. Aria, vi prego. Mi ricordate il sapore del letto lasciato mezz'ora prima, quel caloroso amico che diventa ancora più affettuoso alla sveglia. La puzza di sudore misto allo smog mi tocca lo stomaco, mi riporta sulla Terra mentre fantastico su ipotetiche vacanze alle Bahamas. Non si può sorseggiare un cocktail in riva al mare sdraiato su un'amaca mentre un cinquantenne sovrappeso ti piazza la sua ascella ad un metro dal tuo naso. Lavatevi dopo esservi svegliati, diventate potenziali armi di stermini di massa se non lo fate.

Ma stasera la quiete regna. Oltre a me ci sono due nigeriani che discutono animatamente nella loro lingua, un signore che scruta il susseguirsi di luci attraverso le grandi finestre ed un ragazzo, pressoché della mia età, intento a giocare col suo smartphone. Gioco di macchine, sicuramente. Sembra che stia guidando un Lamborghini da come si muove.

Ho come al solito i miei auricolari ed ogni metro che manca alla fermata è un battito in più. Avete presente quella sensazione che vi assaliva quando da piccoli dovevate recitare nel musical a fine anno? Quando vostra madre vi strizzava l'occhio dalla platea e l'ansia arrivava alle stelle?

Ecco, moltiplicate per centomila e avrete lo stato d'animo attuale del signorino Giulio Battistini. Se qualcuno dovesse appoggiarmi una mano sulla spalla in questo momento mi verrebbe un infarto. Fermata di Via Dante. Capolinea baby, si va in scena. Solo che questa volta non ho il mio vestito da fragola a proteggermi.

Scandisco ogni passo come se fossero gli ultimi.

Ma cazzo Giulio, è solo una ragazza.

Punti di vista, come diceva un tale qualche tempo fa. Mentre supero il cancelletto freddo al tatto la vedo, seduta su di una panchina come l'ultima volta che ci siamo visti. È intrigante, quasi magnetica con quei suoi occhiali da intellettuale. Ha le mani sotto le gambe, le spalle all'altezza degli zigomi ed i piedi intrecciati; ha freddo, è palese, ma è come se non lo volesse far vedere. Cerco di non farmi notare subito, non so come rompere il ghiaccio. Ma per un attimo, in lontananza, i nostri sguardi si incrociano.

Sorride.

Sorrido.

Scongelamento effettuato.

«Finalmente sei arrivato!». Ahhhh, quel sorriso!

«Eh, colpa del pullman».

«Ma lo so sciocchino». Ride nervosamente. Brutto segno.

Silenzi. Aiuto, si sta ricongelando tutto.

«Comunque scusami se non ho potuto accettare il tuo invito la scorsa volta. Avevo già da fare, non potevo disdire».

Sì, però almeno un messaggio avresti potuto mandarmelo.

«Fa niente, è okay». L'ho forse detto in maniera troppo fredda, perché si gira verso di me con una faccia dubbiosa.

«Ho avuto da fare anch'io».

Funziona, il suo viso si rilassa in un sorriso. Salvato in corner.

Che fatica relazionarsi. Devi sempre pensare alla cosa giusta da dire per minimizzare offese e dubbi, pesare le parole in modo tale che siano logiche in un discorso; il rischio "cazzata" è sempre dietro l'angolo.

In terza media, mentre raccontavo le cose "fantastiche" che avevo fatto durante l'estate, non organizzai bene il discorso e mi andai ad infilare in una strada senza uscita fatta di pensieri illogici e parole a caso. Il risultato fu imbarazzante e dopo un po' finsi un dolore di testa ed andai in bagno.

Avevo abbattuto di prepotenza il muro che mi ero creato.

Riporto i piedi per terra.

In quel momento noto che lei mi fissa intensamente, quasi come se stesse cercando di capire i miei pensieri ed i miei sentimenti. Ancora questi maledetti silenzi. Lei però sorride, forse imbarazzata e senza idee per costruire una conversazione degna di questo nome. Dai, questa volta mi butto io.

«Che classe frequenti al Manzoni?».

«Quinta D, scientifico però. Tu la quarta B, giusto?».

Sconvolto. Sembra essere a malapena una mia coetanea ed adesso è addirittura più grande di me?

Qualcosa a livello di DNA non è andato bene, honey.

«Sì, giusto. Ma come fai a ricordartelo?», fingo stupore per mascherare i miei sentimenti precedenti.

Lei fa una sonora risata e poi comincia: «Ti ricordi di quella ragazza che cadde nella tua classe durante l'ora di Storia?».

Sconvolto parte 24254732. Cazzo, è lei!

«Sì, ma non mi ricordo chi fosse la ragazza», mento spudoratamente.

«Ero io!» ride.

Avete presente quel momento in cui stai camminando per un campetto in gomma, hai le suole bagnate e per evitare potenziali figure di merda cammini come un idiota scandendo pesantemente ogni passo? Bene, questo è il mio stile di vita.

Regola numero uno: Evita di umiliarti davanti agli altri.

Regola numero due: Segui la prima regola.

Finito. Caput.

Pare che non sia lo stesso per gli altri.

Ho ancora stampata in mente la sua faccia completamente rossa, la sua corsa verso l'uscita accompagnata da un "mi scusi" frettoloso. Non posso ridere, no, no, no. Aiuto. Aveva quella faccia che fai quando da piccolo tua mamma ti sorprendeva col dito nella Nutella che avevi rubato dallo scaffale più alto della cucina. Quanto mi mancano quei momenti.

«Meno male che te ne sei dimenticato».

«Ma ora posso ricattarti!».

Voglio creare della chimica, della complicità. Ci riuscirò.

«Ma dai, lo so che non sei così cattivo!». Ha già capito in meno di dieci minuti.

«Lo scoprirai...» dico mentre alzo le sopracciglia. Lei sorride.

Una suoneria. La sua.

Controlla il telefono, chiude la chiamata senza nemmeno rispondere.

«Devo andare, scusami».

Nel giro di pochi istanti la vedo di spalle mentre si avvia verso il cancelletto con passo lento. Si gira e sorridendomi mi dice:

«Ci vediamo presto».

«Lo spero anch'io».

Tanto. Troppo. 

La Teoria Del TuffoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora