Capitolo 6: Il doppio evento

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"Signora... Signora!" il poliziotto scosse la donna che stava stesa a terra in evidente stato di ebrezza.

Catherine Eddowes aprì a mala pena gli occhi contro la lampada tenuta alta dall'uomo. Non aveva idea di che ora fosse, sapeva solo che aveva una forte nausea e che tutto quello che aveva bevuto stava per ripresentarsi.

L'agente di polizia la fece alzare: "Forza. Andiamo."

 "Dove?" biascicò Catherine.

 Aveva sentito dire di stare attenti, che non erano i giorni di aggirarsi per Whitechapel come niente fosse. Però quello aveva la divisa...

L'agente, Robinson, la costrinse ad attraversare tutta Aldgate High Street quasi a passo di marcia. Voleva portarla subito alla stazione di polizia, in modo che la tenessero in custodia almeno per quella notte.

Aveva sentito chiacchiere allarmanti, riguardo l'assassino che per certo si aggirava per la zona. Quando poteva, faceva in modo che le donne di Whitechapel passassero una notte al fresco, piuttosto che una notte in pericolo.

"Stavo cercando mia figlia." farfugliò Catherine, mentre il poliziotto non accennava minimamente a lasciarla: "Ma deve aver cambiato casa... Non c'era... E allora..."

 "E allora è stato meglio bersi un paio di bicchieri, eh?" chiese Robinson, scuotendo con forza la testa.

Il braccio della donna, che lui stringeva con la mano per evitare di lasciarla scappare, era uno stecco. Era magra da fare paura e ad occhio e croce aveva più di quarant'anni.

"Mio marito..." balbettò la donna, ad un certo punto: "Lui esce a bere... Anche adesso... E io cercavo mia figlia..."

L'agente tirò un sospiro di sollievo quando arrivarono alla stazione di polizia di Bishop Gate. Era contento di aver tolto dalla strada una potenziale vittima, non solo di quel misterioso Jack lo Squartatore, ma anche dei soliti sospetti, però era anche stufo di sentirla blaterare. Per questo, fu ben contento quando un suo collega si prese la briga di segnare le generalità della donna e prenderla in custodia.

"Nome?" chiese l'agente, rivolto a Catherine.

 Lei batté gli occhi, confusa. Aveva bevuto veramente troppo, ma era stata l'unica cosa che le era sembrata sensata. Sua figlia aveva cambiato casa e non glielo aveva nemmeno detto...

"Niente?" chiese l'uomo, sbuffando.

 La donna continuò a fissarlo con sguardo vacuo e quando provò ad aprire bocca, fu subito messa a tacere dall'agente che, con uno svolazzo, scriveva sui documenti, sotto la voce 'nome' la parola 'niente'.

Catherine fissò il foglio con un senso di vuoto che le si apriva nel petto. Aveva ragione lui. Niente.

"Accompagnatela in cella." ordinò l'uomo ad un paio di secondini.

 Questi la presero uno per parte e la portarono rapidamente dietro le sbarre, in una piccola cella dove stavano già ammassate altre donne, ad occhio croce fortunate tanto quanto Catherine.

"Niente..." sussurrò lei, lasciandosi cadere in terra e poggiando la schiena contro il muro.


L'agente William Smith vide Liz Stride con un uomo che non conosceva. No, non lo aveva mai visto nel quartiere. Portava un cappello particolare, rigido, di feltro scuro.

Erano in Berner Street, proprio sul marciapiede opposto rispetto all'ingresso dell'International Working Men's Educational Club. Smith non amava molto essere di ronda in quella zona. Quel club era un covo di ebrei e di socialisti e c'era sempre il rischio che scoppiasse qualche turbolenza.

Prendimi quando puoi, signor LuskDove le storie prendono vita. Scoprilo ora