Salvatore.

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Il cielo scuro e nuvoloso quella notte rispecchiava appieno l'umore di Salvatore.

Stava male, ogni giorno la sua situazione peggiorava ed iniziava a pensare che non ce l'avrebbe fatta.

Lui, però, non era un codardo, non si sarebbe mai ucciso: facendolo si sarebbe arreso di fronte alle difficoltà della vita e lui non si arrendeva, mai.

Uccidendosi non solo si sarebbe arreso ma avrebbe fatto soffrire sua madre e le voleva troppo bene per farle del male.

Lei l'aveva sempre difeso, a volte anche rischiando di farsi del male.

Da chi lo difendeva? Da suo padre.

Era riuscito a convincere il ragazzo di essere un errore, un rifiuto della società.

Era ancora piccolo e ingenuo quando iniziò ad insultarlo e in poco tempo dalle parole arrivò alle mani iniziando a picchiarlo, stando sempre attento a non creargli lividi in luoghi troppo visibile.

Iniziò a farlo quando perse il lavoro, usava suo figlio come sfogo, ma nel modo più sbagliato possibile.

Salvatore non riusciva a difendersi, non poteva farlo, non ne aveva la forza e sua madre, nonostante tutto, amava quell'uomo.

Così si chiuse in se stesso, smise di parlare per autodifesa.

Pensava che chiunque prima o poi gli si sarebbe rivoltato contro come aveva fatto il padre e, così, passò dall'evitare le persone all'essere quello evitato.

Era etichettato 'Il muto' anche se, in realtà, non lo era.

Lui parlava, ma lo faceva solo con le persone di cui si fidava ciecamente perché temeva che, parlando, avrebbe detto qualcosa di troppo, di sbagliato che avrebbero usato contro di lui per ferirlo.

Il suo modo di parlare erano i disegni.

Il foglio era la sua bocca e la matita le sue corde vocali.

Si esprimeva attraverso essi, sfogava i suoi sentimenti e poi li richiudeva in un quaderno spaventato dal fatto che qualcuno potesse vederli.

Aveva paura di ogni cosa, persino di respirare, a volte.

Aveva paura degli sguardi che gli rivolgevano, dei gesti, di ogni cosa che lo circondava.

Era stato ferito, deriso, umiliato e questa cosa l'aveva fatto soffrire creandogli una ferita che, se si fosse rimarginata, avrebbe lasciato una cicatrice permanente pronta a ricordagli cos'aveva passato.

Amava la notte, era l'unico momento della giornata in cui era completamente solo, poiché tutti dormivano.

Gli piaceva mettersi davanti alla finestra della sua camera e guardare i l cielo.

Sembrava qualcosa di così bello ed irraggiungibile. 

Lo scricchiolio della porta alle sue spalle lo fece sobbalzare, si irrigidì di scatto iniziando a tremare leggermente.

"Piccino, sono io, tranquillo" si rilassò non appena sentì la voce della madre.
"Come mai sei ancora sveglio?" chiese avvicinandosi a lui.

"Non ho sonno" rispose a voce bassa.

La donna annuì mettendogli un braccio attorno alle spalle e avvicinandolo a lei, come se volesse proteggerlo.

"Stai bene?" ormai era una domanda inutile, la risposta era palese.

No, non stava bene, c'erano solo momenti in cui il peso del dolore che portava sulle spalle era più leggero.

"Sto bene" mentì, lo faceva spesso, man on era bravo a nascondere i suoi stati d'animo, però la madre non ci faceva caso, sapeva bene che se avesse avuto bisogno o voglia di parlare di qualcosa lo avrebbe fatto.

"Il mio bambino..." gli lasciò un piccolo bacio sulla fronte.
Salvatore odiava quando lo chiamava così perché non era più un bambino, ma sapeva che lamentarsi sarebbe stato inutile visto che, ai suoi occhi, sarebbe sempre rimasto tale.

"Com'è andata oggi? Tutto bene?" 

Lui annuì iniziando a ripensare alla giornata passata.
Lo sguardo di quella ragazza lo aveva messo tremendamente a disagio.
Si era sentito come se, con quel minimo contatto visivo, lei avesse visto tutta la sua vita.
Si era sentito un libro aperto, si era sentito indifeso e in pericolo.

Lei si stava avvicinando a lui, perché mai avrebbe dovuto farlo?

Forse voleva solo deriderlo e prenderlo in giro, come tutti.
Abbassò lo sguardo rassegnandosi al fatto che nessuno lo volesse davvero.

"Mamma ho sonno" ammise guardandola e mordendosi il labbro, si sentiva in colpa perché in realtà non aveva sonno, voleva solo stare solo.

"Allora buonanotte piccino" lo salutò scompigliandogli i capelli con la mano per poi uscire e chiudere la porta dietro di lei.

Salvatore sospirò sedendosi a terra e prendendosi la testa fra le gambe.

Odiava la sua vita, ma odiava di più il fatto di non riuscire a far nulla per cambiare.

Vedeva la preoccupazione negli occhi di sua madre, e soffriva.

Vedeva l'odio negli occhi di suo padre, e soffriva.

Vedeva le risate negli occhi dei suoi coetanei, e soffriva.

In quelli di Sharon, invece, non aveva visto nulla.

Mentre lui si sentiva un libro aperto lei era ancora un mistero, sapeva solo il suo nome e non era nemmeno sicuro che fosse giusto.

Guardò l'orologio poggiato nel suo comodino che segnava le 2:48. 

Si alzò e si tolse i vestiti per mettersi il pigiama, si soffermò a guardare il suo corpo.

Con il fisico che si ritrovava anche volendo non sarebbe mai riuscito a difendersi. 

Si vestì per poi stendersi a letto, chiuse gli occhi coprendosi fin sopra alla testa e rannicchiandosi si se stesso, con un cuscino fra le braccia.

Spesso, nei  disegni, rappresentava un'ipotetica ragazza e, di notte, immaginava di abbracciare lei al posto del cuscino, in qualche modo lo faceva stare meglio, si sentiva più normale.

Iniziò ad immaginarsi in un altro mondo, con un'altra vita, magari assieme ad una ragazza, con degli amici.

Sharon.

Quel nome gli tornò in mente e aprì gli occhi, prese il cellulare nel suo comodino ed entrò in Facebook.

Cercò il suo nome, tra i primi risultati c'era la ragazza in questione.

Guardò qualche foto, aveva qualcosa che lo incuriosiva, un'aria strana.
Sembrava diversa dagli altri, non aveva foto con amici, solo qualcuna con un ragazzo che pensò fosse il suo fidanzato.

Anche lui avrebbe voluto una ragazza, ma non era in grado di farsi voler bene da qualcuno figuriamoci farsi amare.

Poggiò il telefono bloccandolo per poi tornare ad abbracciare il cuscino.

Chiuse gli occhi e si addormentò con le lacrime che minacciavano di uscire dai suoi occhi, ma lui non piangeva.

Aveva spesso gli occhi lucidi eppure raramente lasciava cadere delle lacrime da essi, non gli piaceva piangere.

Era forte, non era debole, non aveva bisogno di piangere per sfogarsi, non stava così male.

O almeno questo era quello che si ripeteva, ma in realtà non era vero, e anche lui lo sapeva.

HEY GUYS.

Allora, dico solo una cosa: EIDS.
Perché l'ho sospesa?
Perché mi sono resa conto che è difficile da sviluppare e ora come ora non ne ho ne il tempo ne la voglia, comunque non la lascerò in completa e, prima o poi, finirà.

Mi scuso per questa cosa.
Ve amo tutti, spero che questa nuova ff vi piaccia, kiss.

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Reject||SurrealpowerDove le storie prendono vita. Scoprilo ora