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Con la pancia piena era più facile andare alla ricerca di qualche negozietto per fare shopping, con mia madre avevamo comprato solo vestiti che venivano approvati da lei, quelli che piacevano a me li aveva scartati tutti.
Parcheggiai l'auto dove mi era possibile, e scesi recuperando la borsa e raggiungendo il negozietto che avevo notato passando. All'interno ci stava talmente tanta roba che non sapevo da dove iniziare, alla fine però mi avvicinai per scegliere qualcosa.  Trovai delle canotte carine, jeans stretti come piacevano a me e qualche vestito. Non ero solita ad indossarli, ma stavo crescendo e sinceramente volevo essere femminile anche io, come la maggior parte delle mie coetanee. Volevo essere sicura di me stessa, sicura del mio corpo e soprattutto piacermi e rendermi presentabile anche per gli altri. Questi erano i miei traguardi prima dell'inizio della scuola.
I camerini erano posti sul lato opposto, mi apprestai a raggiungerli e dopo aver sistemato tutto mi spogliai indossando uno dei jeans e una canotta. Per mia sfortuna gli specchi si trovavano fuori dai camerini, così ogni volta dovevo uscire per osservare come mi stavano addosso soprattutto come taglia.
Per avere diciannove anni, avevo un seno prosperoso, mentre la vita era sottile. Le mie gambe erano lunghe, l'altezza l'avevo presa da mio padre perché mia madre era una bella donna ma non superava il metro e cinquanta. Lasciai per ultimi i vestiti, perché le mie insicurezze stavano prendendo il sopravvento, il solo pensiero che dovevo uscire e guardarmi allo specchio davanti altre persone mi rendeva tanto nervosa.
Provai il primo, poi il secondo e lasciai per ultimo uno che aveva attirato la mia attenzione. Era un abito blu che arrivava sopra il ginocchio, dietro aveva la schiena leggermente scoperta ma era davvero bellissimo. Quando uscì dal camerino per osservarmi allo specchio, incrociai lo sguardo del ragazzo di questa mattina e il mio cuore perse ogni singolo battito. Volevo solamente sparire dalla sua vista ma rimasi immobile quando parlò.

«Ehi tu. Oggi mi sa che è il mio giorno fortunato, per caso mi cadrai addosso anche adesso?»

Sapevo per certa che le mie guance si colorarono di un rosso acceso, le sue parole furono un colpo al cuore ma senza dire nulla rientrai in camerino levandomi l'abito e tornando ad indossare il mio. Cercai con tutte le mie forze di ignorarlo, sistemai gli abiti che dovevo mettere al proprio posto e gli altri che invece dovevo prendere. Presi anche la borsa e mi apprestai ad uscire di lì per raggiungere la cassa, passai davanti al ragazzo come nulla fosse e fortunatamente non aggiunse altro si limitò ad osservarmi mentre la ragazza al suo fianco continuava a guardarmi in cagnesco. Possibile che ero arrivata solo ieri e già dovevo avere dei nemici? Scossi la testa allontanando ogni pensiero ed incrociai lo sguardo del ragazzo, i suoi occhi marroni continuavano ad osservarmi a tal punto che dovetti distogliere lo sguardo per guardare altrove. La commessa dietro al bancone sistemò tutto nelle buste, pagai ed uscì quasi di corsa da quel negozio, dovevo mettere distanza tra noi, quei brividi che riusciva a procurarmi solamente guardandomi mi facevano sentire a disagio, strana. Una volta in auto socchiusi per un attimo gli occhi, e l'immagine del ragazzo si fece strada davanti a me. I suoi occhi grigi avevano incatenato il mio sguardo, e solo a ripensarci altri brividi si fecero spazio dentro di me.
Ma che cavolo stavo pensando? Mi aveva presa in giro e io ero qui in macchina a pensare a lui? La mia mano colpì il volante con forza, il clacson risuonò in quella stradina, facendo girare gran parte delle persone presenti. Ennesima brutta figura, la giornata stava proseguendo proprio male e i miei pensieri continuavano a farmi innervosire, perché quegli occhi scuri non uscivano dalla mia testa, anche se non era nei paraggi sembrava che li avessi addosso, volevo raggiungere casa e chiudermi dentro senza uscire più. Quel tipo era il tipico bad boy e nella mia vita non ci stava posto per persone come lui, soprattutto se portavano a farmi odiare da ragazze.
L'ultima cosa che volevo era avere guai, perché deludere i miei genitori non rientrava negli obiettivi della mia vita.
Rimasi ancora in macchina, quando dal negozio uscirono i due piccioncini, a guardarla bene lei era la stessa con cui stava litigando la sera prima.
Una risata amara si fece spazio sulle mie labbra, e pensai a quanto fosse incoerente e soprattutto a quanto lei fosse un cagnolino ad andare dietro ad un tipo scorbutico come lui.
I nostri sguardi si incrociarono per un secondo, sulle sue labbra sembrò dipingersi un lieve sorriso ma distolsi lo sguardo cercando di pensare che non fosse così.
Dovevo smetterla anche solo di incontrarlo per strada, e se non era possibile, dovevo smetterla di incrociare il suo sguardo.
Quello sguardo che riusciva a smuovermi qualcosa dentro, e sinceramente non avevo voglia di provare qualcosa per una persona del genere.
Perché il cameriere tanto carino non poteva farmi provare le stesse sensazioni? Era un ragazzo apposto, faceva un lavoro umile e non mi ricordava le figuracce fatte precedentemente.  E invece no, la mia testa continuava a vagare ripensando a quei due occhi grigi con un leggero tocco di azzurro che risaltavano al sole.
Mi maledì da sola, sperando rimanessero nella mia testa senza il bisogno di esternarli, d'altronde ero qua solamente da due giorni e non potevo permettermi di fare cavolate, nè adesso e tanto meno tra un po' di tempo. Dovevo pensare alla scuola, e a non deludere i miei genitori e sopratutto volevo solamente trovare qualche amica con cui condividere il mio tempo. L'amore non doveva neanche far parte dei miei pensieri, non ero intenzionata ad innamorarmi di nessuno. La mia vita doveva proseguire così: amici, studio e casa. Passai una mano contro il viso per tornare in me, e soprattutto per far sì che la mia testa smettesse di pensare. Recuperai il telefono dalla borsa e notai alcuni messaggi di mia madre, decisi di chiamarla perché parlarci riusciva sempre a calmarmi. Le raccontai della città, del mio traguardo raggiunto, dei vestiti che avevo acquistato, non le raccontai delle vicende con quel ragazzo e tanto meno del cameriere.
L'ultima cosa che avrei voluto, era farle pensare che i miei pensieri erano rivolti ai ragazzi e non alle cose da sistemare prima della scuola. Non era molto distante l'inizio, ero venuta prima per adattarmi e conoscere questo posto. Mi sentivo un pesce fuor d'acqua, perché non conoscevo nessuno ma allo stesso tempo era un'esperienza nuova da non perdere. Salutai mia madre e lasciai ricadere il telefono sul sedile, era giunto il momento di tornare a casa.
Misi in moto e percorsi nuovamente la strada di ritorno, almeno per oggi le figuracce potevano terminare.

||Spazio d'autore.||

''Non si dimenticano le persone che ti hanno scosso il cuore.''

My Heart Belongs To You. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora