•Capitolo 1 ~ Oliver Butler ~

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Certe volte la vita ci riserva delle sorprese.

C'è chi le coglie, chi è troppo pigro per farlo e poi c'è chi, come Oliver, riceve una doppia porzione di pietà.

Le figure non erano del tutto nitide; un leggero velo opaco incupiva i sogni del signor Butler da qualche anno ormai e tutto sembrava sempre meno realistico.

Un uomo alto e rachitico lo guardava con gli occhi lividi e la bocca serrata; indossava una bianca camicia larga con una cravatta nera, la sua figura occupava gran parte del campo visivo di Oliver, ancora undicenne.

I deboli raggi serali, soffusi dalle tende ben tirate, illuminavano la sua pelle cadaverica e spenta.

«Dobbiamo continuare con le scale o non riusciremo a cominciare gli studi in tempo» disse in tono febbrile, «hai le dita pigre».

La sua voce era leggera e marchiata da un profondo eco di rassegnazione.

«Avanti: fa minore, melodica» disse austero; Oliver, che non aveva distolto lo sguardo dal mogano smaltato del suo pianoforte, allineò le dita, ancora acerbe, sui tasti, poggiandole delicatamente.

Alzò il pollice e poi ci fu il silenzio.

Senza aprire gli occhi, il signor Butler riprese a sentire l'ordinario tacere del Penwith, distretto della Cornovaglia, e il muto trascinarsi di ogni mattina si risvegliò in lui.

Non sapeva se fosse un altro, stesso, giorno, oppure un nuovo mondo. Rassegnato, schiuse le palpebre, già sottili e cadenti.

Restò fermo, con le orecchie immerse nel cuscino e lo sguardo fisso su un lampadario fin troppo pacchiano, adorno di gingilli di vetro penzolanti.

Il polline iniziava a pizzicargli il naso freddo; la primavera, quell'anno precoce, aveva già cominciato ad infoltire i rami del salice dietro casa e a dipingere di lilla i campi intorno, quel che rimaneva della proficua attività familiare.

Quella zona era rimasta incolta per cinquant'anni, eppure, puntualmente, ad ogni primavera ricresceva disordinatamente la lavanda provenzale.

Oliver guardò la finestra di fronte al letto, l'alba era passata da un po' e i pallidi raggi di sole, ancora bassi, fendevano i vetri e facevano luccicare il pulviscolo fluttuante.

Si alzò dal letto, dando inizio ad un rituale quotidiano.

Il tocco dei piedi scalzi con il pavimento freddo gli donava un debole brivido, un avvertimento: il nuovo giorno stava iniziando.

Poteva ancora tornare a letto, magari.

Si incamminò fuori dalla stanza, verso il bagno, ed entrò aprendo la pesante porta in legno massello; la sua immagine riflessa gli sciolse il nodo in fondo alla gola, la paura e la gioia di essere solo, mentre il rubinetto si preparava a offrire la sua caloria.

Il bagno era arredato fugacemente: una stretta cassettiera si ergeva per poco più di un metro, appesantita dagli asciugamani rinsecchiti e il lavello, collegato allo specchio, tutto addobbato con boccette di vetro dalle forme più irregolari, riempiva quella stanzetta vuota.

Andò in camera e prese dalla sedia, sulla quale stavano appoggiati, un paio di pantaloni usati una volta sola e si vestì, tirando fuori un maglione grigio dal grosso e antico armadio, posto a fianco al letto.

Aprendo le ante si potevano trovare uno specchio e tanti sacchettini profumati, riempiti con fiori di lavanda secchi.

Indossata anche la vecchia e logora giacca marrone, mise le chiavi in tasca e uscì di casa, lasciandosi dietro un'assenza impercettibile. anche la vecchia radio posta sul mobiluccio all'entrata, che non aveva fatto altro che parlare e parlare per informare i Butler in tempo reale dei progressi della guerra, se ne stava in silenzio, con aria riverente. Aveva dato anche troppe brutte notizie in passato: l'avanzata di Hitler, le bombe atomiche, le deportazioni...

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