•Capitolo 2.1 ~ Sir Casser ~

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Vi si avvicinò svelto, poi, quando si trovò a meno di un metro di distanza, tutto rallentò.

Scostò lo sgabello e ci si sedette, poi posizionò il libro sul leggio e lo sfogliò.

Era in silenzio, disturbato dal fruscio delle pagine e dagli scatti improvvisi prodotti dallo sgabello di legno.

Quello era un momento particolare: sfogliava rapidamente le pagine, in cerca dello spartito giusto, sembrava come un arciere mentre afferra l'arco e sfodera una freccia.

Cercava con impazienza tra i titoli, maledicendo le pagine che si incollavano tra loro; era un'attesa troppo pesante, lo era sempre stata.

L'unico momento in cui le distanze tra lui e la serenità si accorciavano, e lui cercava di toccare la meta, sempre più vicino, sempre di più. Poi la raggiunse, i caratteri neri mostravano "Valzer (op. 64 no. 2)".

Con lo sguardo illuminato da una luce invisibile, appoggiò delicatamente le dita appena tremolanti sui tasti, poi, l'arciere scoccò la freccia, che colpì il bersaglio, raggiunse la meta.

Lo fece con un suono dolce.

Le dimensioni della stanza erano ottimali per la propagazione e la diffusione dei suoni; le dita scivolavano leggere sui tasti, correvano e scalpitavano.

Oliver aveva una tecnica quasi impeccabile, martellava con una velocità impressionante.

Era rapido, prorompente e assolutamente delicato.

Quella musica, romanticissima, lo riportava a tempi passati, facendolo volteggiare tra i ricordi di un vecchio resi più vividi da ogni sua ruga.

Suonava disinvolto, senza intoppi, eppure era, nel modo più assoluto, estraneo a quel ritmo.

Non viveva una vita "in crescendo" da tempo ormai e suonare quel brano creava una certa incoerenza; quasi un'offesa, uno sputo a Chopin.

Una grande menzogna.

Eppure suonava, nonostante si sentisse pesantemente in errore.

Sapeva che nessuno gli avrebbe detto nulla; la coscienza non la sentiva più da tempo.

Tutte le volte che prendeva una decisione, qualcosa dentro di lui glielo rinfacciava, ma Oliver aveva imparato a mettere a tacere tutte quelle voci, ad ignorarle, e forse era stato proprio questo a renderlo così vecchio.

In certi punti la musica era particolarmente malinconica, altre volte riusciva persino a stampare un fievole sorriso sulla bocca di Oliver.

Battere levare levare, battere levare levare.

Un due tre, un due tre, un due tre.

Ogni volta era un salto nell'aria tesa; l'enorme pianoforte a coda, nero lucido con macchie marmoree di color verde scuro, dominava la scena e cantava, cantava benissimo.

La sua forza faceva venire i brividi, ogni suono era un processo bellissimo e complicato, le corde erano allineate come le fila di un esercito.

Vibravano minacciose ogni volta che un martelletto le colpiva, lottando contro i piroli che le tendevano come i muscoli di un purosangue.

Era spaventoso osservarlo, ma ci si sarebbe inevitabilmente persi dentro.

Mentre suonava tutto il resto non contava, non sentiva altro.

Oliver si gustò ogni singola nota, poi dovette concludere, perché così era stato deciso, perché c'era un punto fermo alla frase.

Le ultime note si allontanarono lente, mentre Oliver, a malincuore, dava spazio al silenzio di prima; era tutto finito.

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