•Capitolo 7.1 ~ Naufragio ~

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All'entrata della casetta immersa nel mare lilla, in contrasto con l'assoluta tranquillità del posto, c'era, sgraziatamente appeso proprio di fronte alla cucina, un enorme orologio di legno scuro che scandiva il tempo con dei rumorosissimi tic-toc. Oliver, quando ci passava davanti, se non aveva qualche altro pensiero per la testa -cosa poco probabile- si ostinava a maledirlo, ma non aveva mai avuto il coraggio di buttarlo o, peggio, sconfinarlo per sempre su una bancarella dell'antiquariato.

In quel momento nemmeno il ticchettio assillante di quell'affare riusciva a distogliere Oliver dal fissare, immobile, la porta davanti a lui; il profumo di Melina era ancora nell'aria e nella mente di Oliver stavano riaffiorando, festosi, come di ritorno da una partita di calcio vinta, alcuni ricordi.

Tra questi, certe sensazioni gli punzecchiavano l'animo, facendolo tornare a quando, anni prima, insegnava ad alcuni bambini la magia della musica.

C'era qualcosa, però, che sentiva arrivare con passi pesanti. Qualunque ricordo fosse, Oliver non voleva che riaffiorasse; si sforzò di non pensarci, di concentrarsi sulle manine che i suoi allievi posizionavano male sulla tastiera, ma era come se avvertisse la presenza di quel terribile mostro che voleva uscire allo scoperto. Con gli anni Oliver l'aveva rinchiuso per bene, al punto da riuscire anche a dimenticarsene in parte.

Era un pensiero assillante che non lo aveva lasciato stare per tanto tempo, finché Oliver non ebbe avuto la forza di reprimerlo.

Il passato di Oliver tornava, dopo tanto tempo, a spingere contro le pareti della serenità della sua vecchiaia. Tutto ciò non poteva andare avanti e Melina era il fulcro di questa giostra mortale.

Adesso si riusciva a spiegare il meccanismo di difesa che era scattato in lui... Tutte sciocche bugie, quelle che usava per giustificare le sue reazioni.

Oliver era troppo razionale per lasciarsi trasportare da una banale somiglianza di Melina con suo padre, troppo orgoglioso per cedere alla straordinaria forza d'animo con cui, ogni volta, lei lo zittiva.

Il vero motivo era un altro.

Oliver era stato bravo a seppellire tutto, circa trent'anni prima, per non correre il rischio un'altra volta.

Si era protetto per allontanare da sé ogni possibile richiamo al passato e ai traumi profondi che questo gli aveva lasciato.

Eppure qualcosa, stavolta, non aveva funzionato; consentire a Melina di entrare nella sua vita era bastato per risvegliare quel che, più di ogni altra cosa, doveva rimanere dormiente.

Un sentimento che si nascondeva all'ombra del tempo, uno che Oliver non era riuscito ad ingabbiare veramente, si era rafforzato, tramando di far tornare quel terribile ricordo, e aveva finalmente sortito i suoi effetti.

Era di nuovo lì e scalciava, Oliver poteva anche sentire il suo fiato sul collo. Continuava a scacciarlo dalla mente, ma sapeva che, alla fine, avrebbe perso. Era una bomba ad orologeria, Melina l'aveva innescata e adesso era solo questione di tempo, prima che esplodesse.

Oliver decise di ignorare il problema; probabilmente, pensava lui, avrebbe seppellito tutto come aveva già fatto in passato. Gli serviva solo un po' di tempo, e, sì, ci avevano provato, anni prima, a mandarlo da uno psicologo, ma era riuscito a venirne fuori da solo e non aveva intenzione di cedere proprio in quel momento.

Doveva soltanto ignorarlo, non dargli alcun conto, e sarebbe andato via da solo, come un raffreddore primaverile.

Aveva bisogno di distrarsi.

Finalmente -come avranno gridato tutti i muri- Oliver si staccò dalla porta di casa e andò dritto dritto nello sgabuzzino.

Era una stanza che divideva esattamente in due il corridoio principale, quello che collegava l'entrata alla sala di Sir Casser.

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