•Capitolo 6.0 ~ Scintilla ~

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«...e la nostra cara Lorenne, la cui perdita noi non possiamo colmare. Ti chiediamo, Padre nostro, di prenderti cura di lei».

La pausa, più lunga delle altre, mise fine alla cantilena del pastore Samuelson.

Oliver si trovava a suo agio nella sala della chiesa, dove il sole mattutino faceva contrasto col nero degli abiti e con la tristezza degli altri, che piangevano. Tra questi c'era, naturalmente, Lorenne, che non staccava il muso dal fazzoletto accartocciato nella mano.

Oliver stava ben attento a non far finire il suo sguardo su di lei, per non vederla in quella situazione di disperazione. Eppure non era un suo particolare amico, non aveva mai provato nulla per lei, quindi non c'era apparentemente niente che giustificasse la sua commozione. Molto probabilmente, infatti, non era Lorenne, con tutta la sua sofferenza, a spingere forte contro i suoi occhi, ma qualcosa -o qualcuno- di più.

Oliver, che lo sapesse o meno, vedeva, quando guardava Lorenne piangere, se stesso, riconoscendo lo stato pietoso in cui lui versava e, prima ancora che la sua facile rabbia si potesse scagliare su di lei, colpevole di rievocare una tale realtà, il panico e la tristezza lo assalivano.

Perciò si rifiutava di guardarla.

Quella mattina la luce non aveva fatto in tempo a varcare le finestre prima che Oliver si svegliasse. Probabilmente, più che essere strappato al sonno da qualche rumore o luce esterni, era lui stesso scappato via da uno dei suoi terribili incubi.

Niente familiari morti, demoni o salti nel vuoto, la sua mente era tanto invecchiata da non riuscire nemmeno ad immaginare realisticamente cose del genere; Oliver sognava, piuttosto, ricordi spiacevoli, e, benché la sua memoria fosse misera, di questi ne aveva talmente tanti che le probabilità di pescare un ricordo felice dal paniere del suo passato erano pressoché nulle.

In realtà qualcosa era rimasto, come le corse con sua sorella e altri pochi attimi, ma il suo estremo pessimismo assicurava i peggiori incubi possibili.

Ecco: quello da cui era fuggito quella volta era davvero terribile.

Era a casa sua e stava seduto sullo sgabello di sir Casser, dando le spalle al pianoforte.

Tendeva la mano sinistra verso un uomo pallido. A giudicare dalle dimensioni di questa, Oliver doveva essere abbastanza grande per capire l'origine dell'odio che suo padre stava riversando su di lui, colpendolo ripetutamente alle dita col manico della taglierina che veniva usata per lacerare gli steli della lavanda. Qualche colpo era indirizzato alla testa, sotto lo sguardo sconvolto e sottomesso di una donna dai lunghi capelli lisci, il cui colore era oscurato dall'ombra. Stava in un angolo, costretta a guardare con gli occhi gonfi.

Poi le lampade, sparse quà e là per la stanza, si sdoppiarono, diventando minuscole; sir Casser assunse un color mogano e lo sgabello ruotò, mettendo Oliver di fronte ai tasti bianchi e luccicanti.

Il sogno era cambiato.

Adesso era in un enorme teatro, delle piccole luci lo illuminavano dall'alto, e, con lui, anche il palcoscenico su cui si trovava. Centinaia di persone guardavano verso di lui, con gli occhi luccicanti nell'oscurità. C'era un brusio che sembrò attenuarsi.

Nel leggio c'era uno spartito tutto dettagliato con una moltitudine di note brevissime, il tempo era veloce e sui sei ottavi.

Oliver buttò lo sguardo sul pubblico, cercando di non notare la sua stessa mano tutta livida.

Tra i primi posti, sua madre lo guardava seria, e un uomo pallidissimo, quasi cianotico, sorrideva.

Cominciò a suonare; Oliver, nel sogno, non sentiva alcun suono, l'unica cosa che percepiva era, piuttosto, il dolore alla mano sinistra, impegnata a seguire il ritmo sostenuto, che lo raggiungeva dal passato. Poco dopo aver iniziato, sentì la mano cedere e continuò solo con la destra, il sudore che gli imperlava le tempie.

Dopo pochi secondi, e numerosi sbagli, si fermò scoppiando in silenziose lacrime. Potè ancora sentire, nel sonno, le risatine di alcuni nella prima fila. Che se le fosse solo immaginate o meno, non importava, quell'esperienza lo aveva irrimediabilmente segnato.

Comunque non si capacitava del disprezzo di suo padre. Un giorno era tornato arrabbiato da un colloquio col maestro di pianoforte, quando, giusto una settimana prima, Oliver aveva sostenuto un "esame" per verificare i progressi. Era vero che non si stesse impegnando molto in quel periodo, ma non gli era sembrato fosse andata così male.

Da quel momento, suo padre, aveva smesso di fare apprezzamenti sul suo modo di suonare e, benché avesse continuato a prendersi il merito della sua abilità a scuola, quando Oliver anche solo accennava alla musica, tutto cambiava.

Sebbene Oliver fosse riuscito mantenere Lorenne fuori dalla portata del suo sguardo, non potè non sentire il singhiozzare disperato che proveniva da dopo la folla davanti a lui.

Alla fine, tutto il funerale non fece altro che annoiarlo e fiaccarlo e la boccata d'aria che prese appena uscito, libera dal puzzo di chiuso e degli incensi che infestava la chiesa, lo rianimò.

Una volta sgomberato il locale, si accalcarono tutti intorno a Lorenne, porgendole gran bei mazzi di fiori.

Oliver si vergognò, presentandosi con una ventina di steli di lavanda legati con un nastrino blu; non aveva nemmeno fatto lo sforzo di andare dal fiorista.

Lorenne prendeva i mazzi, ringraziava in lacrime con un filo di voce e poi li riponeva sulla bara in legno, mentre veniva portata in macchina. C'era la signora Rit, vestita, sorprendentemente, in modo non troppo stravagante, che batteva compulsivamente la mano sulla spalla di Lorenne, annuendo ad occhi chiusi, sembrando quasi in comunione con qualche divinità, e ripetendo frasi sentite dal pastore.

"...ha trovato la serenità, adesso è nella luce...", frase del tutto senza significato per Oliver, ma che Lorenne accettava, più per assecondare la signora Rit che per dare sollievo al suo cuore.

In effetti, il vecchio Frank non se la passava male, per quanto pensasse Oliver, che, nel corso della sua vita, avrebbe pagato per "andare alla luce" -come diceva la signora Rit-.

Avrebbe dato tutto per vedere un po' di quel bagliore di cui parlava lei. In realtà, vista la disperazione che l'aveva colto negli anni tormentati della sua vita, si sarebbe accontentato anche di un barlume, di una scintilla.

Figurarsi le espressioni schifate e i duri giudizi di tutte quelle persone ipocrite che stavano lì in mezzo, se Oliver avesse mai esternato questa specie di "invidia" che provava per Frank.

In ogni caso, al funerale c'erano veramente tutti, più per la simpatia con Lorenne che per Frank, poverino; tutti ad eccezione di John, l'amico di Oliver che, pazzesco, era uscito, il giorno prima, sotto la pioggia per prendere la colazione a lui e Tom.

"Si è preso la bronchite" pensò Oliver.

Non attese molto per scoprirlo: senza la minima traccia di tatto e sensibilità, non appena Lorenne se ne fu andata, chiese a Valery se sapesse qualcosa.

«E che ne so, non sono mica sua madre» rispose lei, senza alcun risentimento per aver irrotto, con tanta acidità, nel silenzio dell'atmosfera triste.

«Quello stupido è uscito sotto l'acqua, capirai se non si è beccato un malanno», continuò; Oliver non lo sentì, ma era sicuro che Valery avesse aggiunto un "idiota" alla frase, nella sua mente.

La congedò come si mette da parte una lettera poco importante e, invece che andare a casa sua, nella luttuosa Hare Street, si incamminò verso l'abitazione di John. Era piuttosto strano che, da buon amico -e cliente fisso- di Lorenne, non avesse presenziato al funerale di Frank. In un certo senso era preoccupato.

La casa era piuttosto antica, più di quella della famiglia Butler, e, da fuori, sembrava una bomboniera. Questo per adattarsi alle esigenze di sua sorella, con la quale John condivideva la casa in eredità. Lei era un'artista; creava quadri coi petali e con le foglie e usava casa sua come galleria. Infatti era seguita da un gruppo di gallesi e inglesi, anche se, alla fine, non aveva mai fatto una gran carriera.

Oliver suonò il campanello, sorprendendosi di sentire un trillo così terribile; pensare che John lo ascoltava tutti i giorni.

Prima ci fu solo silenzio, poi dall'interno dell'abitazione emersero alcuni tonfi che si avvicinavano ad Oliver.

Si sentì il cuore ballare nel torace, quando la porta si aprì. Rimase con gli occhi sbalorditi alla vista di John, che ricambiò con uno sguardo triste, forse disperato, e stanco.

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