•Capitolo 7.0 ~ Naufragio ~

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Sapeva con certezza che Melina si sarebbe fatta viva quel giorno ed era sicuro che avrebbe provato a corrompere le sue forti difese, quindi doveva prepararsi e armarsi per bene. Non voleva resistere, ma sentiva di doverlo fare.

L'oretta al parco passò velocemente; alla fine, più che a pensare, Oliver restò a fissare ciò che lo circondava. Vide le scie lasciate dalle tartarughine del laghetto che scomparivano inesorabilmente, alcuni scoiattoli, tutti magri, che facevano su e giù per i tronchi delle rare querce, il tutto accompagnato dal fischiettare delle allodole e dal brusio noioso di Oswald e Melania. Insomma, tempo perso.

La targhetta "9" luccicava, pulita pulita, quando Oliver la fece tremare chiudendo il cancellino del sentiero di casa sua. Il clima era mite, il cielo soleggiato con una spruzzata di bianco; l'unica cosa fuori posto era lui.

Entrò in casa, abbandonando le chiavi sulla mensola, poi si tolse la giacca e la buttò sull'appendiabiti. Quel giorno non aveva molto da fare, c'era solo la visita di Melina che lo tormentava.

Non aveva nulla di pronto in frigorifero, quindi si arrangiò con del tonno in scatola e qualche fetta di pane.

Fu piuttosto deludente come pranzo, ma non ci badò più di tanto, preso com'era dall'ansia; si buttò sulla poltrona e si addormentò tra le pagine di quell'orribile libro, ormai giunto al termine.

Quando si svegliò, erano le 16:28, il sole a tre quarti e Melina in arrivo.

Il campanello suonó mezz'oretta dopo, giusto il tempo, per Oliver, di darsi una sciacquata.

«Salve signor Butler» esordì Melina, ferma sulla soglia; era di nuovo lì, coi suoi occhi scintillanti e i capelli rossi che le coprivano la faccia.

La fantastica passeggiata al parco non era stata piuttosto illuminante per Oliver, ma sapeva che fosse giusto resistere, che ne avesse, quantomeno, il dovere, e si era ben preparato per troncare l'entusiasmo di Melina con un brusco rifiuto, proprio all'ultimo momento.

Qualcosa volle, però, che, davanti a lei, Oliver sentisse crescere il panico, e decidesse di darle fiducia. D'altronde, tutti i pensieri sulla solitudine che gli martellavano la testa da giorni, nonostante evitasse di darsene la minima consapevolezza, lo avevano, sotto sotto, impaurito a tal punto da portarlo ad indebolire i muri che si era costruito lui stesso poco prima, in un momento di lucidità.

Ecco: proprio allora, si sarebbe comportato fin troppo bene.

«Buona sera, entri» disse, facendole gesto di entrare.

Parlava con una voce diversa, era tutta un'altra persona.

«Prego», indicò le poltrone.

Si sedettero entrambi, lui avvicinò il carrellino degli alcolici e ne offrì.

«Ho saputo del funerale di quel poveretto, Frank. Non sono qui da tanto, ma avrei voluto esserci; purtroppo avevo da consegnare un lavoro proprio questa mattina, e dovevo ancora finirlo» raccontava Melina, mentre Oliver versava un liquore viola in due bicchierini.

«Che lavoro fa?» chiese Oliver porgendole il liquore;

«Disegno», disse sorridendo, poi mandò giù un sorso, storcendo la bocca.

«Ah» rispose Oliver, anche lui, sorseggiando,

«e cosa disegna, in particolare?» continuò, lei lo osservò con aria compiaciuta, prima di rispondere.

«Abiti. Siamo un gruppo di sei persone e sogniamo di presentare le nostre linee ad una sfilata, ma, per ora, lavoriamo in piccolo, sotto una famosa casa stilistica. Lei, invece di che si occupa durante il giorno?»

Il Preludio Del SaliceDove le storie prendono vita. Scoprilo ora