Avviso: capitolo abbastanza "forte", perciò se le scene violente non sono di vostro gradimento non leggetelo.
Ero seduto su quello scomodissimo divano — con i piedi appoggiati sul tavolino di fronte a me e avvolto dal buio più totale — da ore, ormai.
Mi rigiravo tra le mani uno dei pugnali che avevo scelto per l'occasione, cercando di passare il tempo. Mi ero tagliato anche un dito, quando avevo pensato di aver sentito la porta aprirsi e mi ero distratto per un secondo; un graffietto da nulla, in confronto a tutto quello che stava per succedere.
Uno dei miei passatempi preferiti, in quelle situazioni, era canticchiare una canzone. Ma la voce di Stiles era davvero orribile — tremenda — e sapevo che se avessi parlato e loro fossero arrivati improvvisamente, mi avrebbero riconosciuto in men che non si dica. E io volevo fosse una sorpresa; volevo vedere la loro espressione nel momento in cui mi avrebbero riconosciuto, in cui avrebbero capito di essere spacciati.
Quindi, preso dalla noia, cominciai a fischiettare allegramente, sorridendo appena e contemplando quasi stregato le armi davanti a me. Credo che proseguii per ore, senza fermarmi. Mi bloccai solo quando la porta si aprì; sul serio, questa volta.
Sorrisi, attendendo con pazienza che loro si facessero avanti. Sapevo che, anche se non mi avevano visto, mi avevano sicuramente sentito. E, soprattutto, avevano di certo notato la finestra rotta e gli schizzi di sangue sul pavimento.
Le mie labbra si incurvarono ancora di più quando li sentii sussurrare sottovoce, spaventati e agitati. Poi mossero qualche passo veloce in direzione della porta, ma era troppo tardi.
«Credete davvero di poter scappare?» dissi, posando i piedi a terra e alzandomi.
Girai la testa verso i due, avvicinandomi lentamente a loro. «Ormai non c'è più via d'uscita.»Guardai la donna e scossi la testa, mentre un ghigno si dipingeva sulle mie labbra. «Sapevi che sarei arrivato, Noshiko.»
La kitsune mi rivolse uno sguardo pieno d'odio, stringendo i pugni e gonfiando il petto, mentre il marito, completamente sbiancato e con gli occhi spalancati, cercava di appiattirsi contro il muro e — in un qualche modo — di nascondersi.
«Avresti dovuto prepararti» continuai, fermandomi a qualche metro da lei e assaporando ogni secondo di quell'attesa.
«Cosa ti fa credere che io non possa batterti?»
Risi ancora, sguaiatamente e senza preoccuparmi di essere sentito da qualcuno dei vicini. Noshiko si irrigidii ancor di più e lanciò un'occhiata preoccupata all'uomo, cercando invano di dire qualcosa. Poi riportò la sua attenzione su di me.
«Andiamo, guardami» la esortai, aprendo le braccia e muovendo un ulteriore passo in avanti. «Credi che io abbia ucciso tutte quelle persone per caso?» chiesi, riferendomi all'omicidio avvenuto qualche giorno prima nella chiesa della contea e su cui lo sceriffo stava ancora indagando.
Al solo ricordo sentii l'odore del sangue riempirmi le narici e udii le urla e i pianti di quelle sette persone, che alle mie orecchie parevano la più dolce delle melodie. Chiusi per un istante gli occhi, respirando a pieni polmoni.
«Credi sul serio che io agisca senza pensare?» domandai.
Lei non rispose e si limitò soltanto a sostenere — seppur con fatica — il mio sguardo, tenendo la testa alta e la schiena dritta. Pensai che non sarebbe rimasta così a lungo, e che presto sarebbe crollata a terra senza vita.«Non sono mai stato così potente» sussurrai, osservando la lama affilata che stringevo nella mano destra. «Sono più forte, più veloce. Sono un passo avanti a tutti gli altri, e nulla può fermarmi.»
Mi fermai per un istante. «Soprattutto non tu. Debole, stanca, vecchia. Hai vissuto per novecento anni, non credi sia ora andartene? Sono davvero tanti anni per una Kaze* su cui nessuno avrebbe mai scommesso un centesimo, a suo tempo. Complimenti, davvero: mi hai sorpreso. Ci hai sorpreso tutti. Ma adesso è arrivata la fine, e non puoi più rimandare questo momento.»
Lei sollevò ancora di più il capo, puntando gli occhi nei miei con fare spavaldo. «Allora perché non mi uccidi e basta?»
Alzai le sopracciglia, sorpreso. «Mi pare ovvio» dissi, portando entrambe le mani dietro alla mia schiena e camminando lentamente verso di lei. «Perché voglio che tu sappia cosa significa la tua morte, a cosa porterà» bisbigliai al suo orecchio una volta che le fui accanto.
«Voglio che tu sappia che sarai solo la prima di una lunga lista» proseguii, cominciando a camminare intorno alla kitsune che non si era ancora mossa di un millimetro. «Che sarai un avvertimento, e che se loro non smetteranno di darmi la caccia e non mi ridaranno Lydia continuerò.»
Rabbrividì. Io rivolsi un piccolo ghigno all'uomo dietro di lei, quasi con allegria.
«E, alla fine, ucciderò anche loro» sussurrai ancora, portandomi di fianco al signor Yukimura e senza staccargli gli occhi di dosso. Poi guardai Noshiko, che si era girata verso di me; il terrore era ben visibile bei suoi occhi.
«Ucciderò Kira» sibilai, con un sorriso. «Le taglierò la gola e berrò il suo sangue, brindando a te, alla mia vecchia amica Noshiko.»
Una lacrima — l'unica — le solcò velocemente la guancia, mentre scuoteva la testa, implorandomi di non farlo. Io guardai ancora una volta l'uomo a qualche centimetro da me.
«Mi piacerebbe farvi partecipare, davvero» dissi, inclinando la testa da un lato con fare dispiaciuto, «ma purtroppo ho bisogno di voi adesso.»
Lui abbassò la testa e io, immediatamente, lo pugnalai con forza all'altezza del cuore, afferrandolo per una spalla e attirandolo a me con uno strattone.
Le gambe gli cedettero quasi subito e si accasciò sul mio corpo, con le mie sole braccia a tenerlo ancora in piedi. Non urlò; cercò soltanto di dirmi qualcosa, con le lacrime agli occhi, ma la vita lo abbandonò prima. Sfilai allora la lama dal suo petto, lasciandolo cadere a terra con un tonfo.
Noshiko, paralizzata, osservò il sangue scorrere e sporcare il tappeto, singhiozzando sottovoce. Poi spostò lo sguardo sulla mano che reggeva il coltello e rabbrividì quando vide che era sporca del liquido scarlatto fino al polso.
Quindi mi fissò, tremando. «Se io mi arrendo adesso, senza lottare, promettimi che non la ucciderai» mi implorò, con voce sorprendentemente ferma e decisa. «Risparmiala.»
Lasciai cadere il pugnale a terra e mi ripulii distrattamente le dita sulla maglietta blu, senza smettere di guardarla. Poi le sorrisi, avvicinandomi ancora.
«Non faccio promesse che non posso mantenere» bisbigliai, soffiando sul suo viso.
Chiuse gli occhi, consapevole. E, allora — senza perdere altro tempo — afferrai il suo viso tra le mani e, con un gesto secco, le spezzai il collo e le staccai la testa.
Kaze*: kitsune del vento
Spazio Autrice
Ciao a tutti!
Scrivo questo "avviso" soltanto per dirvi che domani (22 agosto) partirò per il mare e non tornerò a casa prima del 2 settembre. In vacanza spero di riuscire a scrivere qualcosa, dato che tendenzialmente sono abbastanza ispirata mentre sono in spiaggia, ma si vedrà. Ad ogni modo preferisco aspettare di avere uno o due nuovi capitoli pronti prima di postare tutti quelli revisionati (ne mancano due).
Spero di non farvi aspettare troppo e, soprattutto, che ci sia ancora qualcuno interessato a leggere questa storia.
Un bacio!
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Bloodshed | Teen Wolf - Stydia
Fanfic- Haunted Trilogy, Second - ❝Hell is empty and all the devils are here.❞ Prima le voci calarono pian piano d'intensità, fino a ridursi ad un flebile sussurro; le lacrime smisero di scorrere sulle mie guance. Dopo i brividi scomparvero; le mie mani n...