Cap. 1

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I miei genitori erano morti in un incidente stradale, ecco cosa mi aveva detto Henry Jackson, ecco la causa per cui dovetti andarmene. Non potevo rimanere da sola in quella casa, dove ogni cosa mi ricordava loro, dove nelle ultime due settimane trascorse da quella maledetta chiamata, ci rimasi senza quasi mai uscire. Ero distrutta .. Non parlavo ne vedevo nessuno, mangiavo a malapena e mi chiedevo che senso avesse la mia esistenza. Una ragazza appena maggiorenne con nessuna esperienza di vita .. a parte quella che ora avevo deciso di intraprendere. Era appena iniziato novembre, le strade erano ghiacciate, gli alberi spogli e la mia casa, quella casa che era sempre stata il mio rifugio, l'unico posto in cui io mi sentissi bene e amata, non era diventata altro che un posto qualunque. Caricai le ultime valige nella mia vecchia Camaro sgangherata, appoggiai la chitarra nel sedile posteriore e mi sedetti al posto di guida. Ci misi un po' prima di riuscire a partire, fissavo intensamente lo specchietto retrovisore immersa nel buio più totale, non pensavo, ma agivo, dovevo lasciare quella vita che non potevo più chiamare vita. Così partii per Evanston, una piccola città dell' Illinois, dove mi era rimasta l'unica persona con cui potessi stare, l'unica persona che mi rimanesse della famiglia.

Il tragitto sembrò durare un'eternità, procedevo spedita e mi fermavo solo per fare benzina o per ricaricarmi con quell'odioso cibo degli Autogrill, ma i pensieri e i ricordi sovrastavano la mia mente e mi costringevano a rallentare per non fare la loro stessa fine, la fine dei miei genitori. Passarono diverse ore prima che potessi parcheggiare nel vialetto della casa di mia zia. Non l'avevo mai conosciuta di persona, di lei me ne raccontava sempre la mamma.. sapevo com'era solamente dalle foto. Spensi la macchina e scesi chiudendo piano la portiera, non volevo farmi notare da lei, non ce la facevo a scendere e ad andarle subito in contro. Percorsi a passo lento il vialetto ghiaioso guardandomi attorno, i miei occhi si posarono su quegli splendidi colori vivaci tra le foglie e i cespugli, diversi fiori se ne stavano lì a guardarmi procedere verso l'ingresso di quella casa in mattoni. Mi stupii che fossero ancora così belli nonostante l'autunno fosse ormai inoltrato da molto. Saliti i due gradini, me ne restai impalata davanti alla porta d'ingresso per diversi minuti, non sapevo che fare o dire, continuavo a fissare quella porta rossa consumata dai segni del tempo immobile e spersa, fino a che non mi ridestai da una voce maschile che sentii d'improvviso alle mie spalle. << Ehi tu! Stai cercando Mrs. Brosman? >> Mi voltai e vidi il ragazzo in lontananza, stava portando fuori i sacchi della spazzatura al di là della bassa siepe che ci separava, dedussi quindi all'istante che abitava nella casa accanto. Era alto e biondo dall'aria innocente, non riuscivo a vederlo nitidamente, ma mi parve come meravigliato dalla mia vista, come se fosse stato sempre in attesa di un mio possibile arrivo. << Si, sono sua nipote! Sai se è in casa? >> domandai ancora fissandolo. A quel punto mi guardò torvo << Beh ... >> aggiunse << Hai provato a bussare? >> Bene, ero appena arrivata e già mi ero fatta una figura del cavolo con il vicino di casa. Bell'inizio di giornata! pensai tra me e me. Dopo essere arrossita di colpo, bussai, non ebbi il coraggio di voltarmi di nuovo; ad aprirmi la porta al secondo rintocco, fu una dolce signora dai capelli grigi, notai subito alcune somiglianze con mia madre e al solo pensiero, mi vennero le lacrime agli occhi. Emily Brosman mi accolse subito in casa sua, mi riconobbe immediatamente dai miei "profondi grandi occhi castani" così li aveva definiti, gli stessi che aveva visto quando ero appena nata. Sapeva già del mio arrivo, nel testamento i miei genitori decisero che fosse lei a occuparsi di me qualora loro fossero deceduti.. e così fece. Mi mostrò immediatamente la casa in ogni particolare, viveva da sola e quindi non ebbe problemi per il mio trasferimento. Tutto era così accogliente e intimo, le pareti in legno, le fotografie appese e incorniciate, quel vecchio divano di fronte al caminetto acceso; tutte quelle piccole cose, che altri avrebbero definito insignificanti, mi facevano sentire un calore immenso da farmene innamorare all'istante. Mi sentivo un po' a disagio a parlare con lei, dopotutto per me era come un'estranea, ma il suo modo di fare e di rispettare i miei silenzi, mi fecero capire subito che da quel giorno in poi il nostro nuovo rapporto sarebbe decollato. Passata la serata in sua compagnia, salii infine le scale che portavano al piano superiore e aprii la porta di quella che sarebbe stata la mia nuova camera da letto. Appena varcata la soglia, notai che era grande, molto di più della mia nel Tennessee; aveva dalle pareti color vinaccia e attorno vi erano appese delle lucette colorate che incorniciavano la stanza, un letto ad una piazza e mezza, una scrivania con dei fogli e qualche penna sparsa qua e là .. non guardai nemmeno il resto della stanza, mi bastava averla. Buttai la borsa sul quel letto soffice e mi affacciai alla grande finestra al centro della parete a pochi passi da me; rimasi lì per un po' guardando fuori. Pensai ai miei genitori, pensai alla mia vita fino ad ora, a quello che stavo vivendo e che avrei vissuto in questa nuova città e a quali e quante persone avrei conosciuto a partire da l'indomani.    

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