Capitolo 7: Dolce risveglio

3.4K 280 47
                                    

Cercai di aprire gli occhi ma una lancinante fitta alla testa me lo proibì. Potevo udire voci nei dintorni ma non ne comprendevo le parole. Questa volta non avevo perso la memoria. Ricordavo Fisher alzare il tubo di ferro e colpirmi con violenza. Per non parlare della mia cartella clinica. Non riesco a crederci che non ci fosse. Possibile che Frank e Nolan mi avessero teso una trappola? E se sì per quale motivo?

Dopo un arco di tempo indefinito e diversi tentativi riuscì finalmente ad aprire gli occhi. Non mi trovavo nella mia stanza. Era una normale camera da letto. Le luci erano soffuse ma riuscivo comunque a distinguere i dettagli. La prima cosa che notai fu un leggiadro profumo d'incenso che, passandomi dalle narici, raggiungeva ogni singolo punto del mio corpo donandomi una tanto agognata sensazione di pace. Ero steso in un letto matrimoniale. Il materasso era comodo, non come quello della clinica. Davanti a me si ergeva un enorme armadio a 6 ante, mentre ai lati del letto notai due comodini con sopra un'abat-jour.

- Svegliati bell'addormentato. -

Udì la voce di una donna provenire dall'esterno della camera. Soave come l'incenso permeò la mia anima scaldandomi il cuore. Non ero alla clinica. Ero a casa. Quella era la voce di mia moglie. Ora ricordavo. Abigail Moore, ecco il suo nome. Mi misi a sedere sul letto preso dall'emozione. La clinica, il dottor Blank, Fisher, tutto era stato frutto di un incubo. Io non avevo ucciso nessuno, e la prova arrivò pochi secondi dopo:

- Papà se non ti svegli vengo a farti paura! -

Era la voce di mio figlio Tim. Veniva dalla stessa direzione di quella di Abigail. Dio solo sa l'emozione che provai in quel momento. Io e la mia famiglia di nuovo uniti, anche se mai nessuno ci aveva separati. Mi avvicinai al bordo del letto e notai che sul pavimento in parquet vi erano poggiate le mie vecchie e puzzolenti pantofole grigie. Un sorriso avvolse il mio volto, accompagnato da una smorfia per la tremenda puzza di piedi che emanavano. Mi alzai in piedi senza infilarmele. Con quel tanfo avrei rischiato di uccidere sul serio la mia famiglia. Iniziai a ridere in modo isterico pensando a quella "battuta". Era da tanto che non provavo questa sensazione di pace e felicità. M'incamminai verso la porta della camera. La aprì, col cuore ricolmo di speranza.

La scena che vidi s'impossessò della mia felicità, mettendomi letteralmente in ginocchio. Sangue. Ovunque mi voltassi non vedevo altro che sangue colare lungo le pareti. Anche i mobili e il pavimento ne erano ricoperti. Rimasi paralizzato di fronte a tutto ciò. Il mio corpo era incapace di muoversi, ma allo stesso tempo voleva ribellarsi a quell'ingiustizia.

- Abigail! Tim! - urlai a squarciagola cercando invano una risposta.

"Ma che sta succedendo?" Pensai

Chiusi gli occhi e strinsi le braccia al petto, sperando che fosse solo frutto della mia immaginazione. Quando li riaprì, il sangue era sparito. Non ve n'era più traccia. Tuttavia davanti a me, trovai Abigail stesa per terra a pancia in giù. Lentamene si alzò, restando girata di spalle. Non ebbe il tempo di voltarsi che gambe, braccia e testa, si staccarono dal corpo una dopo l'altra tonfando sul pavimento. Fui d'un tratto investito da una cascata di sangue proveniente da sopra la mia testa. Una crepa sul soffitto si era allargata al punto di farlo cedere. Quel dannato sangue era congelato. Il mio corpo s'irrigidì per reagire al freddo. Chiusi gli occhi in preda al panico.

Quando li riaprì trovai davanti a me Fisher con un secchio d'acqua ormai vuoto. Ero fradicio dalla testa fino ai piedi.

- Svegliati bell'addormentato. - Disse con disprezzo.

- Ops scusa, credo che l'acqua fosse un po' fredda. Ah e, Browner? Se la camicia di forza dovesse essere troppo stretta nelle braccia, dimmelo che te la tolgo. - Iniziò a ridere a crepapelle prendendosi gioco di me.

"Allora la clinica non era un sogno" pensai ormai privo di speranza. La disperazione mi avvolse come una coperta durante una fredda notte. Il cuore, scaldato dalle dolci voci della mia famiglia, divenne gelido come il ghiaccio. Il dolore alla testa era nulla in confronto a quello interiore. Che sia davvero l'inferno questo posto? In grado di farti sognare per poi strapparti ogni briciolo di speranza come fosse un pezzo di carta? E se così fosse, che motivo avrei per continuare a lottare? Che motivo avrei per continuare a...

Vivere.

PsychologiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora