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3:52 pm

Trovammo la stanza di Mark sul mio stesso piano, numero 469, ma non trovammo lui. Come facevamo a sapere che quella era proprio la sua stanza? Semplice. Sulla porta c'era scritto il suo nome a caratteri cubitali. Jackson non disse una parola da quando... Beh... È successo quel che è successo. E io anche. A volte ci scambiavamo occhiatine veloci, ma nulla di più.
Avevo una domanda che mi girava in testa, cercavo di formulare delle ipotesi, ma nessuna mi sembrava tanto credibile. Perché Mark non è tornato in camera mia? Perché non mi ha detto nulla? Insomma, avrebbe potuto avvisarmi, dirmi: "Hey Ashley, guarda che non torno più perché..." e magari anche dirmi la motivazione. Ma no, perché sprecare il tempo per delle sciocchezze? Perché non filarsela in silenzio? Non capivo proprio. Avevo fatto qualcosa di sbagliato? Oltre a lasciarmi baciare da Jackson pochi giorni dopo la festa, ovvero quando lui si era baciato Emily.
Entrai nella stanza di Mark, Jackson dietro di me, e guardai in giro. Vestiti puliti sulla sedia, fotografie e lettere sul comodino, giochi da tavolo sul pavimento.
-Ashley?- disse Jackson facendomi sussultare. -Guarda questo.
Indicò un foglio stropicciato, lasciato su un tavolino piccolo vicino al letto. Diceva: "...il paziente Mark Raynolds è stato rilasciato alle ore 14:00 del giorno di oggi..." e subito una domanda mi assalì. Ma scusa, se ne andava lasciando qui i vestiti e tutto il resto? E dopo un po' arrivò anche la risposta. È scappato. O almeno, se n'è andato.
Ma allora quel foglio chi l'ha firmato. Ricontrollai bene e vidi che la firma non c'era, aveva scritto quel foglio da solo. Era scappato davvero. Ma perché? Lo dissi a Jackson che, ritrovandosi nella mia ipotesi, annuì von la testa. Non mi guardava negli occhi, ma capivo che la pensava come me.
-Che facciamo, lo diciamo ai medici?- chiesi un po' preoccupata.
-No,- rispose ironico. -ce lo teniamo per noi e facciamo finta di nulla, proprio come ha fatto lui.- Non mi piaceva il suo modo di rispondere, da arrogante menefreghista, ma dovevo dire che aveva ragione. Ero un tantino arrabbiata con Mark, ma la preoccupazione sovrastava la rabbia.
-Okay beh... Hai il suo numero di telefono?- Jackson annuì, quando lo trovò schiacciò il tasto "chiama". Uno, due, tre, quattro, cinque, sei squilli. Nessuno rispondeva. Poi al settimo Mark ci disse: -Complimenti Ashley, sei proprio una grande amica.- e poi attaccò.
Io odio avere qualcuno contro di me, a meno che il sentimento non sia ricambiato, il che non è il caso di Mark. Io non lo odio. Lui forse però odia me. E non so il motivo. Volevo gridare, ma se avessi gridato avrei attirato l'attenzione, ma dovevo dire a qualcuno che il mio amico era scappato.
-Jackson cosa faccio?- avevo le lacrime agli occhi e lui se n'era accorto perché venne da me e me le asciugò con un dito.
-Innanzitutto non piangere,- sorrise. -poi proviamo a richiamarlo e vediamo che succede.
-Okay, però lui come sapeva che io ero con te quando l'abbiamo chiamato?
-Lo sapeva perché io non avrei mai schiacciato il tasto "chiama" per parlare con lui, dopo quello che è successo...- aspetta, cosa è successo? Volevo chiederlo ma non lo feci. Mi spiegò tutto da solo, senza che gli dissi nulla, probabilmente aveva visto la mia espressione confusa.
-Mark era il mio migliore amico, sapeva tutto di me. Andavamo in giro insieme tutti i giorni, facevamo i compiti insieme, giocavamo a bowling tutti i sabati sera. Eravamo molto legati. Un giorno la gente cominciò a credere che fossimo gay, il che non era vero. Io avevo la ragazza e lui anche, e quindi non eravamo affatto gay. Cominciavano a chiamarci con nomignoli tipo "frocetti", "finocchi"... e questo ci dava fastidio perché chiunque ha un migliore amico o una migliore amica. Però agli altri piaceva prenderci in giro, soprattutto alla mia compagnia, formata da pezzi di merda, infatti ora l'ho cambiata. Il punto è che Mark cominciò a dare di matto, mi prendeva a sberle dicendo che era tutta colpa mia, che i miei " amici" avevano fatto partire tutta quella storia perché io avevo detto loro di farlo. Ma non era vero, e lui non lo capiva, o forse lo capiva, anzi lui non voleva capirlo. Aveva bisogno di dare la colpa a qualcuno, tipo Hitler con gli ebrei. Quei poveretti non avevano fatto nulla di male, ma lui doveva incolpare qualcuno per le conseguenze della Prima Guerra Mondiale in Germania.
-Mark era l'Hitler della situazione. Mentre io cercavo di dirlo al preside o a qualche insegnante, lui pensava a darmi la colpa e a gridarmi addosso insulti. Un giorno mi sono stancato e ho iniziato a gridargli insulti anche io.
Non abbiamo risolto niente ovviamente, fino a che lui, per vendicarsi, se la prese con Sophia, mia sorella. La minacciava e cose del genere. Lì mi sono arrabbiato come non so cosa, mia sorella non doveva toccarla. Mi sono presentato a casa sua un giorno e ho iniziato a picchiarlo, non mi vergogno di dirlo, l'ho fatto per difendere la mia famiglia. Lui ha iniziato a sanguinare e io mi sono fermato, da quel giorno non ci siamo più parlati come prima, si lasciò con la sua ragazza per questo, lei era disgustata dal suo comportamento. La mia mi adorava per aver fatto un lavoro da bravo fratello, anche se avevo fatto del male a una persona che mi era stata cara...
Capisci adesso Ashley, perché alla festa mi sono arrabbiato con lui e ho iniziato a picchiarlo? Non volevo che facesse a te ciò che aveva fatto a Sophia. Ti stavo proteggendo, ma tu non lo sapevi.

THE WAY YOU LOVE ME - #Wattys2016Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora