cinque

853 211 92
                                        

σύρματα (fili)

Ho imposto a me stessa di non aggrapparmi e di non affezionarmi alle persone. La vita ce le da, ci fa conoscere la gioia, la felicità, ma poi ce le leva, ce le strappa, perché l'uomo deve anche conoscere la tristezza, l'amarezza, la disperazione.
Per questo è da ormai quasi un'ora, che sto imponendo a me stessa di allontanarmi dal mio angelo, prima che possa essere lui a farlo.
Sento che il mio corpo sta tessendo fili che inevitabilmente si stanno unendo al petto di Luke, sento che sta creando legami; per questo devo allontanarmi prima che i fili ci uniscano e devo farlo prima che sia lui a compiere il gesto, altrimenti strapperà ogni mio filo.
Ma non ce la faccio, come potrei scappare alla sensazione di conforto che mi danno le sue braccia, abbandonate su di me?
Lui ancora mi sta abbracciando e siamo scivolati, durante la notte, sul materasso, trascinati giù dal peso che grava sulle mie spalle.
Luke dorme profondamente, il suo respiro si infrange sul mio collo.
Poi tutto si spezza, fragile come un vetro, si riduce in pezzi. Percepisco Luke muoversi a contatto con la mia schiena e allontanarsi velocemente da me.
E li sento, i fili, lacerarsi.
Luke sbuffa e si accarezza i capelli.
«Sai, sembravi ancora più piccola tra le mie braccia.» mi dice e poi scuote la testa.
Sorrido leggermente e mi copro il viso con le mani, felice che lui non possa vedermi arrossire.
«Comunque ho dormito malissimo, mi sei stata appiccicata tutta la notte.»
«Eri tu che mi stavi abbracciando!» protesto.
«Certo.» mi schernisce, sbuffando.
Lo lascio perdere, perché è troppo tardi e io ho già perso la prima ora di lezione. Mi preparo velocemente ed esco dal bagno di fretta.
Mi concedo un po' di secondi, anche se il tempo non mi aspetta, per osservare il mio angelo.
Luke è disteso sul letto, abbandonato tra i cuscini bianchi come le sue ali, il gattino acciambellato sul suo ventre. Lo sta accarezzando, le sue dita lunghe percorrono il suo manto chiaro.
«Dovrei dargli un nome.» mormora, assorto nelle sue azioni.
«Dovresti?» ripeto.
«Mi piace Zeus, ha il pelo bianco come i suoi capelli.» ridacchia.
«Il gatto è mio.» sussurro.
«Zeus.» ripete «Mi piace.»
«Non pensi dovrei deciderlo io il nome?» gli chiedo.
Lui non si bada di me.
«Farlo insieme?» provo di nuovo.
«Fare cosa insieme, Di?» mi guarda, sogghignando.
«Allora mi senti quando parlo.»
«Solo se l'argomento mi interessa, allora cosa vuoi fare con me?»
«Scegliere il nome del gatto.»
«Non ti piace quello che gli ho dato?»
«Non mi importa, volevo deciderlo anch'io, Madeleine l'ha regalato a me.»
«Quanto sei infantile. Io ora vivo con te, puoi considerarmi il tuo coinquilino, quindi posso dare anch'io il nome al gatto.»
«Cosa significa e poi tu non vivi con me!»
«Sí, invece.» replica.
«Se ti da fastidio puoi pure andartene.»
Ma so che ne morirei, del suo abbandono. Cadrei dal precipizio, mi romperei.
«Lo farei all'istante, ma Dio mi ha affidato la tua custodia e sono obbligato a starti appiccicato. Oltretutto non posso farmi vedere dagli altri. Ma sappi che scapperei se potessi, non sopporto te e i tuoi pianti.»
E le senti le lacrime? Le percepisci lambire i tuoi occhi? Hai paura? E se cascano sulle tue gote, se le mostri? Se mostri la tua tristezza?
Non posso annegare nelle acque salate del mio pianto, non voglio lasciarmi trascinare a fondo.
Mi volto, mi mordo una mano così forte, che allora concentrandomi sul dolore non piangerò.
Luke non mi richiama, non si scusa, non mi cura e rimane lì, inerme.

Questa mattina non vedo Harry, lui è dovuto già entrare, probabilmente avrà inviato dei messaggi sul mio cellulare, ma io non l'ho ancora acceso. Dovrò entrare senza di lui. Ho imparato a fermare i miei pianti, più o meno.
Prendo dei respiri profondi, uno, due.
L'aria entra prepotente, brucia i polmoni e le lacrime si seccano, scappano. Entro in classe e dopo aver assicurato la professoressa di portare la giustifica per il ritardo, mi siedo, non bado ad Angélique Lefevre, non le porgo il mio sorriso triste.
Apoggio la testa sulle braccia incrociate e penso, penso così tanto che mi duole la testa.
Luke è arrabbiato con me? La nausea mi scuote le membra, al pensiero di lui che mi abbandona.
All'improvviso sento l'impellente necessità di vedere mio padre, di qualcuno che mi consoli, che per qualche secondo mi tenga al caldo.
E Luke questo non è capace a farlo.
Domando il permesso alla professoressa per uscire dalla classe e chiedo al preside Bertrand un permesso per un'uscita anticipata e sono certa non me ne concederà più molti.

Autophobia (Luke Hemmings)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora