II - Orecchie a punta

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Appena uscita dalle mura, mi resi conto che grazie a Dio era in corso il cambio di guardia: a Dalias il castello rimaneva senza protezione per circa cinque minuti, abbastanza da permettere alle vecchie guardie in carica di andare a casa mentre quelle nuove si dirigevano tranquillamente verso il loro posto di lavoro. Si svolgeva alle ore dei pasti principali, ovvero alle tredici e un quarto e alle venti in punto.

Su di giri dall'eccitazione e dalla fortuna, scesi le scale il più velocemente possibile, con il vento che giocava con le poche ciocche di capelli sfuggite al cappuccio del mantello.

Ma appena finii di scendere i gradini, la campana d'allarme del castello iniziò a suonare.

La mia uscita era stata vista, e a ragione, come una fuga di casa senza un possibile ritorno. Avevano intenzione di riacciuffarmi prima che potessi scappare via.

Corsi con il cuore in gola, i cui battiti diventavano sempre più veloci man mano che la velocità dei passi aumentava, mentre fissavo sconcertata il cancello del castello chiudersi sempre di più. Se avessi ritardato anche solo di un secondo non ce l'avrei fatta.

Il sacchetto pieno di monete nella mia mano tintinnava frenetico, seguito dal mantello abbastanza scuro da confondersi con la notte.

Avevo una decina di metri da percorrere nel bel mezzo di alberi alti tre volte la mia statura. Mi sarei sforzata e ce l'avrei fatta: una volta in piazza, mi sarei nascosta in qualche taverna con il cappuccio ben calato sul volto, tra le mani un immenso boccale di birra, sperando per la prima volta nella mia vita che mi scambiassero per un uomo.

Purtroppo le guardie del castello non volevano proprio lasciarmi andare, ed ero consapevole del fatto che mi avrebbero raggiunta in circa dieci secondi.

Era finita. Mi avrebbero presa e rinchiusa nella mia stanza finché non fosse giunto il giorno del matrimonio, dopodiché sarei stata libera di andare via. O almeno ci speravo.

Il limitare del bosco era sempre più vicino, eppure mi resi conto che non lo era abbastanza.

Mi girai verso li cancello che pian piano si apriva di nuovo, permettendo ai cavalli e ai loro padroni di correre verso di me. Forse era a causa del panico, ma mi sembrò di scorgere nei gesti in cui schioccavano le fruste verso i destrieri che, se mi avessero acciuffata, mi avrebbero uccisa. Conoscendo mia madre, non mi sarei sorpresa se l'avessero fatto.

Guardai di nuovo davanti a me, scorgendo per la prima volta i tetti delle case aldilà degli alberi. Dopotutto non ero tanto lontana, così come le guardie non lo erano da me.

All'improvviso mi sentii tirare il braccio sinistro con così tanta forza che venni trascinata di colpo in mezzo agli alberi, scomparendo dal sentiero e probabilmente alla vista dei miei inseguitori. Infatti, quelli apparvero subito dopo nello stesso punto in cui mi trovavo prima di essere catapultata fra i tronchi, senza accorgersi della mia scomparsa.

Ci misi un po' a rendermi conto di essere coricata a terra, la testa rivolta verso il sentiero, il cappuccio sulle spalle e i gomiti poggiati sull'erba. Questi iniziarono a bruciare appena il panico lasciò il posto alla confusione: il mantello, infatti, si era sollevato fino alle braccia.

Mi alzai con lentezza, cercando il mio possibile salvatore. Mi girai attorno più volte, finché non vidi una figura alta e snella scendere agilmente dai rami di un albero lì vicino.

"State bene?", mi chiese con voce stranamente suadente che non si addiceva alla sua stazza. Aveva dei lunghi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, zigomi alti e un paio di grandi e vivaci occhi nocciola accompagnati da un sorriso più divertito che preoccupato. I lunghi pantaloni marroni erano troppo grandi per la sua figura, così come la maglia dorata a maniche corte, ma ciò che mi colpì maggiormente furono le sue orecchie a punta.

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