I - L'assassinio del re

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La luna sorgeva impaziente nel cielo, illuminando con la sua particolarità tutto ciò che incontrava sul suo cammino. Il silenzio innaturale della notte si spandeva fin dalle montagne che porgevano il loro riparo ai cittadini indifesi e ignari del pericolo incombente e sempre più vicino, mentre la chiesa del paese si ergeva in tutta la sua altezza, gettando ombre sulla stradina anteriore e con la croce d'argento in bella mostra.

Il mantello del re svolazzava al ritmo inusuale del vento, sempre più violento, colmando la mente del signore con i più oscuri pensieri e timori e giocando con i petali di rose raccolte in un grande mazzo stretto da un regale nastro bianco.

Sapeva di essere in pericolo, ma nonostante tutto voleva continuare a camminare verso l'imponente portone dell'edificio i cui contorni risaltavano alla debole luce della luna. I suoi passi sui gradini risuonarono nella notte dando a quell'uomo importante un aspetto debole e tristemente indifeso.

Bastava una semplice distrazione perché il giovane spadaccino potesse uccidere il re, ponendo fine ai lunghi anni d'attesa che lo avevano accompagnato fino a quel momento.

Abbassò il cappuccio sulla testa affinché gli coprisse gran parte del volto, impugnò la spada con la mano destra e si fece strada tra gli alberi del bosco antistante la chiesa. Fece attenzione ad ogni singolo passo, deciso a non causare alcun rumore che potesse rivelare alla vittima la sua presenza.

Quando questi varcò la soglia dell'enorme portone spalancato solo per lui, si diresse a passo svelto e silenzioso verso la chiesa, salendo a due a due i gradini consumati.

Il re procedeva nel suo intento, camminando velocemente verso l'altare ricolmo di fiori apparentemente fragili e foglie verdi nonostante il clima autunnale.

Lo spadaccino si muoveva sfruttando tutta l'agilità e la delicatezza di cui era capace.

Il mantello del signore continuava a svolazzare a causa dei rivoli di gelo provenienti dall'esterno, convincendolo ad alzare il passo e a raggiungere l'altare il prima possibile. Sorpassò le panche senza nemmeno vederle, lo sguardo fisso verso gli occhi delle statue poste una accanto all'altra solo per quel determinato giorno: da quarant'anni si piangeva la scomparsa dei vecchi padroni di Dalias, antichi signori del popolo degni di grande stima da parte di ogni singolo abitante per le loro imprese da eroi.

Il re si inginocchiò di fronte alla statua di sua madre, chinando la testa in segno di rispetto, per quel che poteva significare. Pochi minuti più tardi si rialzò, le rose ancora in mano e gli occhi addolorati che esaminavano con cura l'immagine della regina come se quella fosse l'ultima volta in cui l'avrebbe vista.

Assorto nei suoi pensieri, non si accorse di un'altra folata di vento, abbastanza forte da mascherare i passi sul pavimento del suo giovane e futuro assassino. Si esibì in un inchino formale rivolto alla statua, mentre lo spadaccino affondava la lama della sua arma nella schiena del re e le rose cadevano inerti sul pavimento, confondendosi con l'immensa pozza di sangue.

***

Le lacrime di mia madre sembravano non avere fine, riversandosi sulla spalla del povero malcapitato che aveva avuto la brutta idea di consolarla per scopi indubbiamente nobili. Questi si ritrovava con le braccia della regina avvinghiate al collo, l'espressione imbarazzata e impotente di fronte alla disperazione della sua padrona. Ormai tutti a Dalias sapevano che non aveva ancora superato il lutto.

Erano passati cinque mesi dalla morte di mio padre, gettando gli abitanti del popolo nella più disperata tristezza di cui il palazzo reale era mai venuto a conoscenza; tralasciando, ovviamente, la terribile scomparsa di entrambi i genitori del re.

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