XVI - Marito e moglie

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"Catherine", sussurrai sconvolta, senza smettere di guardarla a bocca aperta.

Quella si inchinò insieme a Mark. Poi alzò lo sguardo, confusa, e disse: "Vostra Altezza, mi dispiace contraddirvi, ma il mio nome è Esmeralda".

Avrei dovuto immaginarlo. Quando era stata rapita, di certo non le avevano attaccato ai vestiti un foglietto con su scritto il suo nome. E, chiunque l'avesse trovata, aveva deciso di chiamarla Esmeralda, simile alla pietra a cui somigliava il verde dei nostri occhi.

Mi alzai e la strinsi d'istinto in un abbraccio.

Mi scostai per guardarla di nuovo e mormorai: "Raccontami la tua storia".

Esmeralda guardò Mark come a chiedere una conferma, poi si rigirò verso di me. "Sono cresciuta insieme ad altri quattro fratelli, ma non conosco il luogo della mia nascita. Mio padre mi ha raccontato di avermi portata con sé dopo avermi vista vicino ad una chiesa, abbandonata; solo un paio di anni fa ne sono venuta a conoscenza, però la verità non mi ha turbata più di tanto. Mio padre ha un negozio di fiori: se non mi sbaglio, è stato incaricato di creare il vostro bouquet. Mia madre si occupa dei miei fratelli più piccoli, mentre quello maggiore si è sposato qualche mese fa per poi trasferirsi altrove insieme a sua moglie".

"Che fortuna", sospirò Thaddeus. Dal suo tono capii si stesse riferendo a me.

Sorrisi. "Sei stata abbandonata sui gradini di una chiesa quando avevi appena un giorno".

Lei aggrottò le sopracciglia, lo sguardo ancora più confuso. "Come fate a saperlo?".

"Sei mia sorella", risposi semplicemente.

Esmeralda rimase immobile per tre secondi, poi sussurrò: "Scusatemi?".

"Hai capito bene. Sei la secondogenita dei Wilson, ovvero mia sorella", le spiegai, paziente.

Lei si girò verso Mark, in attesa di spiegazioni.

"Ti avevo portata qui proprio per dirti la verità", disse lui, scrollando le spalle. "La principessa non sta mentendo. Sei stata rapita da due signori della mia razza".

"Razza?", ripeté Esmeralda. Riuscivo a leggerle negli occhi quanto fosse confusa.

Alle spalle di Mark apparvero le stesse ali nere di Lynwood e iniziò a raccontare.

Esmeralda si portò una mano alla bocca quando scoprì la natura di Mark, ma per il resto della storia non batté ciglio. Era sorpresa, meravigliata, sconvolta: aveva trascorso tutta la sua vita pensando di essere chi in realtà non era, a badare ai fratellini e ad invidiare la felicità di quello maggiore. Un paio di settimane prima – precisamente al mercato – aveva incontrato Mark: lui non l'aveva ancora riconosciuta, ma tra loro era subito nato un legame di profonda amicizia. Con il passare del tempo aveva deciso di svelarle la verità e di parlarle di quel suo unico giorno di vita che le aveva cambiato per sempre la sua esistenza.

Dopo le confessioni, la accompagnai insieme a tutti gli altri al castello. La servitù rimase sconvolta conoscendo la vera principessa di Dalias, ringraziando il cielo che Catherine fosse soltanto un'estranea. A quelle parole mi sentii costretta a non urlare in sua difesa, soprattutto per non costringere mia sorella a paragonarmi ad una pazza.

Per il matrimonio non avrebbe indossato l'abito di Catherine, ma la convinsi ad accettare l'aiuto proposto dalla stessa sarta che mi aveva cucito il vestito da sposa: avrebbe finito tutto in sei giorni, dedicandosi solo a quel progetto per non avere altre distrazioni.

Dopo cena andammo a casa dei suoi genitori, i quali ci accolsero come se ci conoscessero da una vita. Mi scusai con suo padre riguardo la faccenda del bouquet, per poi chiedergli di crearne un altro un paio di giorni prima del matrimonio; quello accettò volentieri, ringraziandomi calorosamente per la fiducia.

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