CAPITOLO 22- Stay away

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Non appena mi svegliai, mi accorsi dell'orario troppo anticipato rispetto al solito e cercai di riaddormentarmi senza successo.
Stavo troppo in ansia, che voleva chiarire Lorenzo?

Decisi di prendere il libro di matematica per ripassare alcune regole prima della verifica e il tempo passò troppo veloce per i miei gusti.
Alla fermata dell'autobus, non spiccai parola con i ragazzi e loro sembravano averlo notato, ma non mi chiesero nulla.

Appena scesi dall'autobus mi venne subito incontro senza dire una parola.

«Beh, cosa volevi chiarire?» chiesi tenendo un tono abbastanza tranquillo
«C'è troppa gente qua» rispose prendendomi il braccio e trascinandomi con molta "grazia" verso l'angolino dove stavamo sempre io ed Anne.
Avevo una voglia matta di parlare con lei...

«Non so cosa dire. Nel senso...lasciamo stare, ok? Vivi e lascia vivere, cazzo. Mi vedi star male se fumo? No! E cosa te ne deve fregare a te!? Dici così perché non vuoi che io stia male, perché se sto male sei da sola e non puoi più fare bella figura come fai sempre con me!»
«Ma cosa stai-»
«E io STO BENE quando fumo, sai!? Una ogni tanto non fa male, anzi, mi aiuta. Ma non vuoi capirlo! Lasciami stare, chiaro!? O devo ripeterti cento volte le cose perché sei scema!?»

Un gruppetto di prima superiore ci guardò perplesso e qualcuno che era passato era filato via di corsa.
Non dissi nulla, rimasi a fissarlo negli occhi trattenendo qualche parola di troppo.
Se ne andò senza aggiungere altro e io mi sedetti nel muretto fissando la sua figura allontanarsi.

«COSA PORCODI* VOLETE!?» sbraitai contro al gruppetto che mi fissava.
Si allontanarono spaventati mentre io cercavo di riflettere, ma i pensieri vagavano troppo veloci, troppo confusi.

Era arrabbiato perché tenevo a lui? Perché faceva così? Era da mesi che non lo vedevo cosí...

In classe rimasi zitta a fare il compito senza dargli suggerimenti come facevo di solito.
Non ci guardammo fino al suono della campanella dell'intervallo.

Mentre tutti scendevano le scale, decisi di fermarlo, almeno qualche secondo.

«Ehi...» dissi toccandogli la spalla.
Lui si voltò e con uno sguardo mi trapassò gli occhi.
Rimasi a bocca aperta senza dir nulla e quindi lui proseguì per la sua strada.
Non riuscivo a parlargli...perché!?

Le cose andarono avanti per un'altra settimana: ci parlavamo poco e litigavamo sempre di più, non ne capivo la causa.
Le mie gambe erano ormai rovinate, ogni mattina se ne stava tranquillo a fumare prima di entrare a scuola in compagnia di ragazzi che conoscevo a malapena e che non sembravano raccomandabili.
Inoltre parlava spesso con una ragazza che a parer mio gli stava troppo appiccicata, non ne potevo più.

Quella mattina, mi avvicinai a lui sconfiggendo l'ansia che avevo addosso.

«Lorenzo» dissi non appena fui davanti a lui
«Dimmi»
«Vorrei parlarti»
«Certo!»
«Ehm...in privato» dissi mentre i suoi "amici" mi squadravano.
«Perchè non me lo dici qui?» disse sfidandomi e sorridendo malizioso.
«Ti prego...» dissi abbassando la voce.
«Ooh la piccolina piange» disse uno dei tizi accanto a lui. Non stavo piangendo...
«È normale da parte sua» rise Lorenzo. Oh...pure le prese in giro.
«Ok» dissi voltandomi e andando verso il gruppetto delle ragazze della mia classe. Non eravamo grandi amiche, ma con la maggior parte andavo d'accordo, forse perché eravamo davvero in poche.
«Dove stai andando?» chiese Lorenzo con tono di scherno «Boh, quella lì è cogliona» disse piano. Non voleva che lo sentissi. Ma invece avevo udito eccome.

In realtà andai oltre al gruppo, andai verso l'entrata della scuola cercando il più possibile di non piangere. Volevo mostrargli di essere forte.
Ma come si fa ad essere forti quando l'unica persona che ami davvero ti allontana, ti insulta, ride di te?
Che avevo fatto di tanto male?

Le lezioni passarono velocemente e io non me ne accorsi. Avevo passato tutto il tempo a pensare a cosa dirgli. Non mi importava dove o come, prima di tornare a casa, volevo chiarirmi, ma non tutto andò secondo i piani.

Il pullman doveva ancora arrivare.
Molti ragazzi lo aspettavano, ma io vedevo solo me e lui.
Il sole acciecava, ma era freddo. Bellissimo ma freddo, come lui.

Passo deciso, occhi puntati sui suoi. Bastava fissarlo e subito avevi perso, ma non questa volta.

«Cosa vuoi adesso?» chiese scazzato
«Io ti...ti amo...»
«Fai bene ad amarmi, ma guarda che grande il cazzo che me me frega» disse puntando le strade davanti a noi
«Perchè?»
«Scherzo madò... Faccio come fai tu, no?»
«Ma tu non sei me!»
«Finiamola qui ok, per sempre. Mi hai stufati» disse allontanandosi.

Cosa...no...perché queste parole?

Accadde tutto in fretta, mi tolsi lo zaino e glielo scagliai contro un paio di volte per poi farlo cadere involontariamente con mezzi libri fuori. Attacchi di rabbia tornati dopo tanto tempo.

«Ma sei scema!?» disse non appena gli saltai addosso.
Mi bloccò i polsi per evitare che gli spaccassi qualcosa.
«Cosa ho fatto di male!? Perché mi odi!? Ma va bene, fai come hai sempre fatto! Rimorchia, scopa e lascia, come gli stronzi! Ma sai che c'è? Hai ragione! Fuma fino a crepare, bastardo»

Non capivo se le mie erano lacrime di tristezza, liberazione o rabbia. Avevo i capelli negli occhi, di conseguenza non vidi lo schiaffo che mi arrivò nella guancia sinistra.

«Inutile troia...non farti più vedere» mi disse all'orecchio prima di andarsene.

Tutti si erano voltati guardarci e non appena me ne accorsi tornarono indifferenti.

«Ale! Ale perché piangi?» chiese Salvatore non appena arrivò dal cancello della scuola assieme a Stefano.

Non riuscivo a spiegarmi, troppi singhiozzi.
Orribile quando vuoi parlare ma il pianto te lo impedisce...

«Lorenzo?» chiese Stefano mentre Salvatore mi metteva un braccio attorno alla spalla.
Annuii e lui disse "Ok, aspetta".
Che voleva fare?
Lo vidi andare verso Lorenzo che stava camminando lontano. Lontano da me.

«No Ste!» urlai asciugandomi le lacrime, non doveva farsi male per colpa mia.

Troppo tardi. Stavano già alzando la voce e dovetti trascinare via Stefano con la forza.

«Ale quello lì lo devi evitare! Non mi è mai piaciuto e guarda un po' adesso...» disse mentre raccoglievo lo zaino.
«Dai Ste, non ora» lo rimproverò Salvatore incitandoci a salire nel pullman.
Durante il tragitto, i due ragazzi cercarono di tirarmi un po' su il morale. Feci finta di apprezzare, ma in realtà non ero per niente di buon umore. Il pensiero contava.

Arrivata a casa, salutai distrattamente mio fratello e Sofia e salii in camera. I miei erano via per lavoro, ciò significava che potevo accendere la musica ad alto volume.

Misi nello stereo il cd "CryBaby" e alzai il volume chiudendo porte e finestre.
Sotto alle canzoni non si sentiva il pianto soffocato nel cuscino, ciò mi faceva piacere.

Mi aveva distrutta semplicemente parlando, dicendo frasi che non mi sarei mai aspettata. Cos'era successo?
Lorenzo non era in sé. Beh, troppo tardi, poteva evitare.
Piansi per ore, senza un motivo chiaro. Ero delusa da lui, perché mi aveva insultata cosí?
Dovevo forse scoprire qualcosa di sconosciuto a me?

Che katteevo Lorenzo. Ma poi si capirà perché eheehheh. Se avete intuizioni (?) scrivetele pure, magari se sono giuste vi cito tra qualche capitolo.
Lascia la stellina e il commentoh, kiaoo

Dipendent- Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora