Operazione suicida: montagne russe

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Aoko ebbe la prontezza di aprire gli occhi. Si era appena materializzata in un punto indeterminato di una via, precisamente a trenta metri dal suolo. Le poche persone che passavano da lì si limitarono a strabuzzare gli occhi, come se quella ragazza fosse solo un'allucinazione prodotta dal loro cervello. Purtroppo, però, quella giovane era reale e, se non avesse fatto qualcosa, sarebbe morta di certo.
'Aoko! Se non fai qualcosa ci schianteremo al suolo come delle uova in padella!' La ragazza, però, non stava prestando la minima attenzione alle parole della vocina. Stava pensando al massimo delle sue possibilità. Non sapeva cosa le stesse accadendo, né il perché. Sapeva solo che doveva pensare, e alla svelta. Non era forse conosciuta per la sua spiccata intelligenza e i suoi riflessi sempre pronti? Forse le lezioni di fisica riguardanti il moto uniformemente accelerato, le forze e la massa di qualche giorno fa servivano realmente a qualcosa. Ma chi, oltre lei, si sarebbe ritrovato ad una simile altezza, dopo essere stata catapultata in un'altra epoca? Santo cielo! Stava viaggiando a 5 m/s verso terra, non aveva più di cinque secondi per pensare! E quei cinque metri si sarebbero presto trasformati in sei. Si rese conto, dopo un paio di secondi, che era realmente impotente. Si sarebbe schiantata irrimediabilmente a terra, senza avere alcuna speranza di vita. Era a quindici metri dal suolo, quando si accorse che, proprio sotto di lei, si ergeva un enorme albero. Non era certamente uno dei migliori atterraggi, ma forse avrebbe potuto evitare la morte certa. Al massimo qualche osso rotto.
Mise più in fretta che poté la borsetta sotto la testa e la tenne pressata con una mano, come se fosse un cuscino. In realtà, voleva solo limitare i danni alla testa. Poi allungò l'altra, la destra, e con una forza e prontezza che non sapeva di avere neppure lei, afferrò uno dei rami più robusti della quercia. Sentì un dolore lancinante alla spalla. Probabilmente era uno stiramento, se non uno strappo, muscolare, dato che il braccio non era assolutamente abituato a sostenere un peso simile. Lasciò cadere la borsetta e protese anche l'altra mano verso il ramo che, proprio un secondo prima, le aveva salvato la vita. Nonostante il dolore opprimente al braccio e alla spalla destra, si issò con tutte le proprie forze sopra l'albero.
'Aoko! Ce l'hai fatta! Ci siamo salvate! Giuro che ti riterrò il mio Dio in eterno.' Anche se non poteva vederla, Aoko si immaginò la proprietaria di quella voce sul punto di scoppiare a piangere. E, naturalmente, la proprietaria non era lei: aveva detto chiaro e tondo 'Ci siamo salvate'. Anche se si sarebbe volentieri fatta un bel piagnisteo pure lei. Decise, però, che non era il momento. Era ovviamente sotto shock, ma non poteva rimanere là sopra per l'eternità, anche perché avrebbe dato nell'occhio. Un paio di passanti la guardarono sgranando gli occhi, ma chissà perché, stavolta non pensarono fosse un'allucinazione. Una donna, sulla sessantina, vestita con un lungo kimono di seta verde oliva con un motivo floreale, cominciò a strillare.
"Ma dove diamine sono finita?" mormorò Aoko. Le sembrava tutto assurdo. Cosa le stava succedendo? Si trovava su di un albero e provava un bruciore continuo alla spalla e al braccio. Invece, solo qualche minuto fa, era con Keiko, la sua migliore amica, più felice che mai.
'Tesoro, ora non c'è tempo di stare a pensare. Devi assolutamente scendere da quest'albero, non sai quando salterai indietro! Non penso che tu voglia fare un altro volo.' Il tono della vocina era carico di compassione e paura.
"Non mi muovo da qui se prima non mi spieghi tutto!" sbraitò Aoko. La donna, che prima strillava con occhi severamente chiusi, li sbarrò e guardò la ragazza interdetta.
"Scenda subito da lì, ragazza sconsiderata!" le urlò la donna, ma mantenendo sempre una postura eretta, come se avesse ingoiato un bastone.
'Mio malgrado, devo dare ragione alla nonnina.'
Aoko non capiva più nulla. Aveva un grande vuoto nella mente, ciononostante sembrava le volesse scoppiare.
'Aspetta...' disse la vocina, più rivolta a se stessa che alla ragazza. 'Io conosco quella donna!'
La giovane dovette fare appello a tutto il suo autocontrollo per non prorompere in una risata isterica. "Sì, certo!" sbottò con la voce carica di sarcasmo. "E la Terra è piatta. Non ho mai visto questa donna in vita mia."
"Non l'ho mai vista nemmeno io, ma di certo non conosce le buone maniere" osservò irritata l'altra. "La prego di portarmi un po' più di rispetto."
A differenza di Aoko, la vocina non si trattene e scoppiò in una fragorosa risata. 'Bambina mia, ho abitato altre sedici umane prima di te! E una di queste era sposata con il fratello di questa nonnina. Precisamente era la tua quintisava.'
"Quintiche?"
'Quintisava', ripeté, scandendo ogni silliba. 'La nonna della tua trisavola. Carino, no? Sei tornata indietro di centoventi anni, è molto...'
"Ma smettila!" la interruppe. "È impossibile che la cognata di questa nonnetta sia la mia quinti... quello." Infuriata, puntò l'indice contro la donna, che aveva ancora un'espressione a dir poco contrariata. "E non sono tornata indietro di centoventi anni! Dimmi un po' come sarebbe possibile."
'Questo lo spiegherà tuo padre' ribatté la voce. 'Ora scendi! È pericoloso.'
"Ora ricordo! Sei Aoko Nakamori, la mia quintisnipote, giusto?" Il tono della donna su addolcì un po', ma la smorfia di fastidio non abbandonò il suo viso. "Quarant'anni fa eri molto più educata. Però, effettivamente, mi avevi detto di aspettare la tua improvvisa caduta dal cielo. In ogni caso, posso chiamarti nipote? So che i titoli di parentela dovrebbero andar rispettati, ma capisci bene che non è pratico ripetere 'quintisnipote'."
Aoko la fissava attonita. Se prima non capiva nulla, ora voleva bucarsi la testa con un trapano.
'Visto?' la rimbeccò la vocina con tono soddisfatto. 'Ora non ammutolirti e, sarà la millesima volta che te lo dico, scendi da questo maledetto albero!'
Aoko, tuttavia, era quasi incapace di muoversi. Era davvero sotto shock. Si rese conto solo in quel momento di cosa, più o meno, le era accaduto. Si era smaterializzata ed era comparsa chissà dove, rischiando di spiaccicarsi al suolo. Aveva appena rischiato la vita. E non sapeva nemmeno il perché di tutto ciò. O come. Com'era possibile che, un secondo prima, ci si ritrovi seduti sulle montagne russe e, quello dopo, si precipiti da trenta metri? Era impossibile. O meglio, non possibile. Inoltre, tremava come una foglia, e non riusciva a muovere l'arto superiore destro. In realtà, non riusciva a muoversi del tutto, ma solo per lo shock subito. Aveva tantissime domande che le balenavano in mente: la prima in assoluto era "Che sta succedendo davvero?"
Qualcosa, però, la ridestò dalla trance. La donna, la quale diceva di essere la quintisava di Aoko, le picchiettava il parasole turchese contro il piede. Senza proferire parola e facendo attenzione a non sforzare il braccio dolorante, scese con cautela dall'albero. Per sua fortuna, era abituata a farlo. Quando era piccola - poco più di sei anni -, era solita giocare a guardia e ladri con Kaito, e lui adorava arrampicarsi sopra gli alberi di ciliegio e poi, quando lei era appena salita e stava riuscendo a prenderlo, scendere con un salto continuando a correre. Le prime volte, lei aveva avuto troppa paura di saltare a sua volta, quindi perdeva tempo per scendere nuovamente dal ciliegio. Un giorno, però, aveva preso coraggio e si era decisa a saltare, finendo con un ginocchio sbucciato e una mano scorticata. Kaito, per consolarla, faceva finta di curarla con 'trucchi di magia' - come li definiva lui -, e quella fu la prima volta in cui la piccola gli disse "Ti voglio bene". Teneva quel ricordo saldo nel suo cuore, come se fosse un gioiello da custodire. Ricordava benissimo come le guance del piccolo amico si colorarono di una leggera sfumatura di rosso, come sul suo viso comparì un sorriso un po' sdentato, come disse allegramente le parole "Anch'io". E ogni qualvolta lo ricordasse sorrideva.
Appena scese, prese la borsetta - sulla quale aveva prontamente ceduto la presa prima di aggrapparsi al ramo anche con l'altra mano - e la rimise a tracolla. Sinceramente, quell'oggetto era l'ultimo dei suoi pensieri, ma non sapeva né cosa dire né cosa fare. Voleva domandare tutto ciò che le passava per la testa, ma se ci avesse provato, sarebbe uscito un esilarante balbettio.
"Mi hai detto anche che abbiamo poco tempo" soggiunse l'antenata della ragazza. "E ne approfitto per dirti qualcosa di importante, ragazza mia: dovresti decisamente ingrassare." La squadrò dall'alto verso il basso e viceversa. "Agli uomini piacciono le donne in carne. Anche se penso che tu sia ancora troppo giovane per questo genere di cose."
Aoko aveva la fronte corrugata, come se si stesse impegnando a risolvere un problema più grande di lei. D'un tratto, però, il nodo in gola le si sciolse e fu nuovamente in grado di parlare.
"Mmmh... ci penserò. Ma dovremmo discutere di cose più importanti, Lady..."
"Kouno Meiko. Solitamente, però, mi chiamano per nome, come tutte le donne della famiglia. Se così non fosse, allora ci confonderemmo tutte." Rise piano. "Anche tua madre era una Kouno. Suppongo, però, che abbia perso il suo nome da nubile, non è così? Dal suo punto di vista, è da un po' che non viene a trovarmi..."
"La mamma è morta" la informò Aoko con tono gelido. Non sopportava si parlasse di sua madre: era morta prima ancora che lei potesse riconoscerla e le mancava troppo. Le si formava sempre un groppo in gola e lo stomaco le si contorceva per il dolore, quando si parlava di lei.
"Oh!" fece Lady Meiko. "Mi rincresce molto, piccola. Però non ti posso dare ragione sulla tua prima affermazione: finirai per diventare anoressica!"
"Non ti preoccupare, tutte le mie coetanee sono così. O almeno, quasi tutte" rassicurò la ragazza. "In ogni caso, per ora non me ne frega niente. Voglio sapere dove sono finita."
"Nipotina, sii educata!" la rimproverò l'anziana. "Certamente, non ti potranno mandare nel diciottesimo secolo se hai un modo di parlare così rozzo. Delle espressioni così non sono bene accette nemmeno nella mia epoca! E mi duole informarti che io non posso dirti nulla, almeno per ora. Dovrà essere tuo padre a spiegarti il tutto, dato che tua madre è venuta a mancare."
"Mio padre?" fece eco l'altra. "Cosa sa di questa storia mio padre?"
"Sicuramente più di quanto ne so io." La voce della donna assunse una nota seria. "Ascoltami, bambina. Probabilmente salterai indietro tra pochi minuti. E, molto probabilmente, sarà l'ultimo nostro incontro. È stato un evento davvero singolare incontrarti di nuovo, nipotina. Ti prego di stare sempre all'erta intorno a loro; non mi hanno mai convinta. Capirai più tardi a chi alludo." Fece qualche passo verso Aoko, fino ad essere davanti a lei. Adagiò le sue mani affusolate e raggrinzite sulle esili spalle della giovane. "Vieni, piccola mia, fatti dare un bacio." Era una situazione buffa, considerato che la ragazza superava di almeno dieci centimetri la sua antenata. Ciononostante, si abbassò senza proteste e la donna poggiò un leggero bacio sulla fronte della discendente.
'Ecco, di nuovo quella sensazione' pensò la ragazza, inquieta.
"Lady Meiko, solo un'altra cosa. Cosa preannuncia il senso di vertigine?"
"Stai per saltare. Addio, Nakamori Aoko."
"No!" protestò la giovane mentre lo stomaco faceva capriole come un campione di ginnastica artistica. "Farò in modo che questo 'addio' diventi un 'arrivederci', se è nel limite delle mie possibilità."
Aoko sentì solo un leggero risolino e le parole "tutto è nel limite delle tue possibilità, Aoko", prima di essere letteralmente assorbita dal tempo.
Appena tornò indietro, lanciò un urlo soffocato: era appena atterrata - se così si può dire - a pochi centimetri da qualcuno. Quel qualcuno - dovette ringraziare il cielo, la Terra e chiunque fosse a portata di mano - era la sua amica Keiko.
"Aoko! Ti ho cercata dappertutto" l'ammonì l'amica. "Dov'eri finita? Stavo per crepare dalla paura!" In effetti, la ragazza era pallida come un cadavere. Abbracciò Aoko di slancio, come se fosse appena tornata da una spedizione militare in Afghanistan.
La ragazza, però, era ancora paralizzata. "Keiko, io..."
L'amica sciolse l'abbraccio, per poi posizionare saldamente le sue mani sulle spalle dell'altra. "Non ti preoccupare. Ora ci prendiamo un bel gelato, ci sediamo e mi spieghi tutto."
"P-per quanto tempo sono s-stata via?" chiese Aoko, che ora tremava insanabilmente.
"Tesoro, ma stai tremando!" Le gettò nuovamente le braccia al collo. "Okay, forse è meglio non prendere alcun gelato. Comunque sei stata via per poco più di venti minuti."
"Non preoccuparti, sto bene." Stavolta, fu lei a porre fine all'abbraccio. "E il gelato mi va più che bene. Sono solo un po'... scossa."
"Lo vedo. Forza, andiamo!"
'Aoko, forse è meglio non dirle niente...'
'Invece le dirò proprio tutto' la interruppe Aoko. 'D'altronde, voi non fate che non rispondere alle mie domande. Perché, quindi, dovrei seguire i tuoi ordini?' Ne aveva davvero abbastanza. Quel giorno era un vero e proprio incubo. Non bastava la lite con Kaito, né la comparsa di quella strana ed irritante vocina - la quale, tra l'altro, sembrava sapere tutto -, assolutamente no; doveva rischiare anche la vita. E il braccio le faceva ancora un male cane. Aveva avuto solo una botta di fortuna: se quell'albero non fosse stato lì, probabilmente sarebbe stata ritrovata chissà dove e chissà quando, spiaccicata sull'asfalto. E, come se non bastasse, si sentiva infinitamente stanca.
'Aoko...' La voce dentro la sua testa aveva perso ogni nota di sarcasmo ed ironia. Viceversa, era piena di compassione e apprensione.
'Sta' un po' zitta, per piacere. Mi sta venendo il mal di testa.' Sebbene non stesse veramente parlando, il tono dei suoi pensieri era gelido e distaccato.
Arrivarono al bar del parco senza articolare sillaba. Ogni tanto, Aoko emetteva un gemito soffocato per improvvise fitte al braccio, ma Keiko si limitava a scoccarle degli sguardi preoccupati.
"Che gelato vuoi?" le domandò Keiko nel modo più allegro possibile.
"Penso che andrò sul tradizionale: un cono con vaniglia. Tu, invece?"
"Già lo sai" sogghignò. "Non posso separarmi dai miei amati cioccolato e nocciola." Detto ciò, presero i loro coni, pagarono e andarono a sedersi sulla panchina più vicina.
Pertanto, Aoko cominciò a riferire l'accaduto. Espose tutto, senza omettere nessun particolare, e Keiko non la interruppe nemmeno una volta. Sembrava quasi un fiume in piena e, quando arrivò all'ultima parte, esso traboccò: scoppiò a piangere. Keiko - che, dapprincipio, aveva sbarrato gli occhi e poi si era portata una mano alla fronte corrugata mentre mangiava lentamente il gelato - la accolse nelle sue braccia. Pianse per ciò che le sembrò un'eternità, mentre l'amica le carezzava dolcemente i capelli. Non osò pronunciarsi: odiava vedere la migliore amica in quel modo e non voleva peggiorare la situazione.
Dopo un tempo che sembrò ad entrambe infinito, Aoko parlò: "Ti voglio bene". Soltanto tre parole, anche all'ordine del giorno, ma che colpirono in pieno l'amica. Nonostante fosse il momento meno adatto, Keiko azzardò a curvare gli angoli della bocca in un piccolo sorriso.
"Anch'io te ne voglio" le assicurò. "Ora, però, dobbiamo andare, Oko. Non sappiamo quando... questa cosa avrà di nuovo modo di manifestarsi. Devi dirlo a tuo padre." Sospirò. "E dobbiamo vedere cosa ti sei fatta al braccio. Potrebbe essere una cosa seria!" Aoko si limitò ad annuire.
Si diressero a casa, ancora una volta, senza dire alcuna parola. Anziché aprire con le chiavi, la ragazza suonò il campanello. Era ovvio che le avesse, ma era talmente stanca che riusciva a malapena a reggersi in piedi. Quando l'ispettore aprì la porta, provò un tuffo al cuore: la figlia aveva gli occhi e le guance arrossate - segno inevitabile che avesse pianto - e sembrava decisamente provata.
"Aoko?" tentò l'uomo. Sperò con tutto il cuore che non si trattasse di quello, ma era ormai una certezza che non poteva essere rimediata.
"Ho bisogno di spiegazioni" rispose fredda lei. Dopo di ciò, le due ragazze si guardarono e, subito dopo, annuirono.
"Arrivederci, ispettore Nakamori" salutò educata Keiko. "A domani, Oko."
"Oko?" chiese Ginzo cercando - invano - di cambiare argomento. Se avesse parlato di tutto ciò che le aveva tenuto nascosto per anni, sarebbe scoppiato in lacrime.
"Un soprannome." Il tono di voce della ragazza si intenerì. "Papà, per favore. Ho già avuto modo di conoscere una cosa in particolare: tu sai tutto. Sai com'è; tua figlia ha appena rischiato di morire per il semplice motivo che non conosce alcune cose." Tuttavia, nell'ultima frase la sua voce si impregnò di veleno e lei digrignò i denti.
"Aoko... vieni. Ti devo spiegare un paio di... mmh... cosette." Il padre fece entrare la ragazza in casa e, insieme, si accomodarono sul modesto divano del salotto.
"Ma guarda, non l'avrei mai detto" osservò la giovane sarcastica, ma decisamente in ritardo. Il padre fece finta di non aver sentito.
"Aoko, siediti comoda e stammi a sentire, perché sarà un lungo discorso. Ecco... non so da dove cominciare."
"Comincia e basta" lo incalzò la figlia.
"Bene. Da generazioni - secoli e secoli -, la tua famiglia tramanda un potere. È il potere dei viaggi nel tempo." Aoko lo fissò interdetta, ma non parlò. "In realtà, solo la linea femminile lo possiede. Non si sa bene il perché, ma sappiamo che ci sono anche viaggiatori maschi. E l'ultimo è proprio un tuo coetaneo, penso che tra poco si trasferirà nella tua scuola. Comunque, proseguiamo. L'origine di questo potere non è stato ancora identificato, ma si pensa possa essere una gemma. Per la precisione, una gemma per ogni viaggiatore." L'ispettore sospirò, vedendo che la figlia aveva sgranato gli occhi e aveva cominciato a tastarsi il petto e l'addome. "Naturalmente, ciò non significa che abbiate delle gemme incastonate nel corpo. La gemma si manifesta sotto forma di energia. Tuttavia, l'energia nel vostro corpo è soltanto una parte della gemma. Ma di questo parleremo più tardi. Ora, ovviamente, non farai più salti incontrollati. Vi è un oggetto che serve proprio voi, i viaggiatori nel tempo. Si chiama meridian. Ho avuto modo di vederlo solo una volta e... diciamo che non avevo proprio il tempo di esaminarlo attentamente. È un cubo - oddio, non esattamente -; ha un lato più bombato, come la custodia di un violino - poco più grande di una mia mano. Funziona a sangue." Ginzo sospirò nuovamente, dato che la ragazza aveva assunto un'espressione contrariata e disgustata. "Sì, bambina mia, proprio sangue. Non guardarmi così! Non serve mica un serbatoio, al massimo qualche goccia. Va bene, continuiamo. Esso ti apre la possibilità di viaggiare quando vuoi, in che epoca preferisci e per il tempo che stabilisci. Questo oggetto si trova in mano a persone potentissime, appartenenti ad un'Organizzazione. La chiamano anche loggia, o setta, e le persone che lavorano in essa e per essa sono nominati con l'appellativo di Guardiani."
'Oh. Forse Lady Meiko accennava ai Guardiani, quando ha detto 'loro'.'
Un altro sospiro, stavolta più intenso e profondo dei precedenti, uscì dalle labbra del padre. "Anche tua madre era una viaggiatrice."
"La mamma?" chiese Aoko, sbigottita. "È così che è morta?"
"Ecco, in realtà..." Ginzo era irritato. Diciassette anni fa, non le aveva chiesto cosa avrebbe dovuto dire ad Aoko una volta maturata. Una lacrima bollente si fece largo nei suoi occhi. "Tua madre non è morta. Almeno spero. Questa è un'altra lunga storia, forse è meglio se..."
"Raccontamela" lo interruppe la ragazza, ormai con le lacrime agli occhi. Con tutto ciò che aveva pianto e che stava per piangere, avrebbe sicuramente svuotato il suo serbatoio personale di lacrime. E, di certo, avrebbe garantito l'irrigazione quotidiana di un campo africano per un mese.
"Io e tua madre ci nascondemmo in una vecchia casa di sua sorella a Kagoshima, nell'isola di Kyushu, al terzo mese della sua gravidanza. Esatto, portava in grembo te. Ma come, ti chiederai, dato che doveva saltare nel tempo? Ovviamente, non poteva permettersi di fare salti incontrollati. Quindi rubammo il meridian. O meglio, un meridian. Ce n'erano due, ma noi prendemmo quello con le gemme dei viaggiatori precedenti incastonate. Mi sembra scontato dire che non lo facemmo per ragioni economiche. Tua madre era fortemente convinta che il capo dell'Organizzazione - di cui, però, non si sa ancora il nome - avesse in mente qualcosa di malvagio da fare con quell'oggetto. Naturalmente, per i Guardiani erano solo fandonie dette da una traditrice. Il meridian nasconde, effetivamente, un segreto. Esso si svelerà quando le pietre di tutti i viaggiatori saranno presenti nell'oggetto. Ciononostante, non abbiamo mai saputo che segreto fosse, ma il cosiddetto 'capo' ha sempre fatto credere ai suoi seguaci che fosse una panacea per tutte le malattie e le ingiustizie. Tuttavia, tua madre venne in possesso di alcuni documenti che la portarono a formulare idee diverse. Mi spiace non potertele dire, ma non le conosco nemmeno io." Il suo tono di voce diveniva sempre più rotto e disperato a ogni parola. Lacrime silenziose rigavano il suo volto, così come quello della figlia. Lei, in tutto questo, voleva solo tapparsi le orecchie e ripetere fastidiosamente 'lalala'. Sapeva, però, che non era possibile. Doveva stare ad ascoltare, per quanto struggenti potessero essere le parole pronunciate dal padre. "Ha cercato di coinvolgermi il meno possibile, per far sì che i Guardiani non avessero nulla da trarre da me. Tornando a noi. Restammo per circa sei mesi in quella casa, sotto le cure di mia cognata. È stata un grande aiuto per noi: ha sparso false tracce per tutta l'Asia; ci ha aiutati, in veste di medico, con la gravidanza di tua madre. Però, dopo quei sei mesi estenuanti, i Guardiani ci trovarono: tua madre fu costretta a viaggiare permanentemente nel passato con il meridian. Fu una delle cose più difficili che abbia mai fatto, lasciarla, intendo. E lasciarci fu una delle cose più difficili che lei abbia fatto, credimi. Tua madre è una persona molto forte. L'ho vista piangere una sola volta, e fu quella. È ovvio che non potesse tornare indietro. Così, ti ho cresciuto io e, come tua madre mi aveva consigliato, ti ho tenuto all'oscuro di tutto. Ti prego di perdonarci."
Entrambi erano scoppiati in un pianto silenzioso, come se volessero speculare il loro dolore sordo. Per Aoko era troppo. Sarebbe scoppiata. Non sapeva cosa dire, né cosa pensare. L'unico pensiero che le viaggiava in testa in quel momento era 'Perché a me?' Dato che lei ne era momentaneamente incapace, il padre prese in mano la situazione: asciugò prima le lacrime della figlia e poi le sue.
"Aoko, non possiamo autocommiserarci, devo dirti ancora tante cose." La ragazza annuì lentamente, nonostante non fosse per niente sicura di voler ascoltare anche solo un'altra parola. Però doveva. "Bene" proseguì Ginzo, stavolta con voce più stabile e sicura. "Dove mi ero fermato? Oh, sì. Come ti ho appena detto, anche tua madre era una viaggiatrice. E la cosa risulta piuttosto strana: non tutte le tue antenate possedevano questo strano potere. Solitamente, passavano anni, se non secoli, prima che esso si manifestasse di nuovo. Mai era successo che una madre e una figlia possedessero entrambe l'energia. Tuttavia, quando tua madre ti prese in braccio per la prima volta, mi disse che percepì un forte potere. Non poteva sbagliarsi: era il dono - o la sfortuna, dipende da come lo si vede - dei viaggi nel tempo. Sostenne che fosse un potere addirittura superiore al suo."
'Aha. Ecco perché siamo saltate così indietro' osservò la vocina, la quale si era ammutolita per più di un'ora. Aoko non replicò.
"Ad ogni modo, ci sono diverse cose che dovresti fare adesso. Prima di tutto, dovrai rubare."
La giovane scattò in piedi, non sapendo lei stessa dove ne avesse trovato la forza. "RUBARE?" strillò. Si sedette nuovamente, ma la smorfia scontenta continuò ad abitare il suo viso. "Hai idea di cosa mi stai chiedendo, papà? Sei un ispettore di polizia!"
"Questo lo so" rassicurò con un tono che traboccava ironia. "Però non si parla di furti veri e propri." La sua voce abbandonò nuovamente la nota di sarcasmo che prima la presiedeva. "Dovrai solo constatare quale sia la tua gemma. O meglio, il pezzo mancante della tua gemma. Come ho detto prima, infatti, l'energia presente nel tuo corpo è solo una parte della gemma. La parte mancante è una pietra preziosa in forma solida, una di quelle sparse qui in Giappone. Mi sono sempre chiesto il motivo di quest'area ristretta, ma nessuno ha mai saputo darmi risposta. Ogni viaggiatore rappresenta ed è rappresentato da una gemma. Tu sei lo zaffiro, la dodicesima gemma, colei che chiude il cerchio. Sì, Aoko, sei l'ultima. Da come avrai ben capito, ci sono dodici viaggiatori: sei dalla linea maschile e sei dalla linea femminile. Tua madre era la decima, l'ametista. Come il colore dei suoi occhi..." L'ispettore scosse la testa, come se volesse dimenticare qualche brutto ricordo. Poi procedé: "È proprio per questo che dovrai diventare una ladra. La ladra Johanne. Esiste da parecchi secoli, ormai, e non è mai stata catturata. Tutto ciò lo farai per trovare il tuo zaffiro. Niente paura: ti accorgerai al primo tocco se quella che hai preso è la parte mancante. Tua madre non me lo ha spiegato bene, ma è come se... fossi completa. Nel vero senso della frase. Inoltre, aumenterà il tuo potere. Successivamente, però, dovrà essere posizionata nel meridian. Essa ti permetterà, dopo essere stata registrata dall'oggetto, di scegliere l'epoca in cui andare. Purtroppo, prima di aver trovato la tua pietra, non potrai stabilire né il secolo né l'anno del viaggio. Ma non ti preoccupare: non potrai saltare più indietro dell'anno di nascita della loggia. Sarai sempre al sicuro. Naturalmente, non si può sapere di che dimensioni e che particolarità avrà la gemma, quindi il legno verrà intagliato apposta per la tua. Se così non fosse, allora non vi sarebbe alcun bisogno di Johanne." Ancora uno dei suoi profondi sospiri. "Hai capito tutto, tesoro?"
"Più o meno" rispose Aoko con voce stanca e assonnata. "Che mi dici della vocina nella mia testa, invece?"
'Aspetta, Aoko...'
Ginzo inclinò la testa di lato in un'espressione interrogativa. "Quale vocina?"
'Non è come pensi...'
"Ma come "quale vocina"?" obiettò la ragazza, interdetta.
'Sei l'unica con...'
"Non so davvero di cosa tu stia parlando, Aoko", replicò il padre. In tutto ciò, quella povera voce era stata interrotta per ben tre volte. Si stava davvero esasperando! "Forse è questa 'vocina' - come la chiami tu - il potere di cui parlava tua madre" mormorò più a se stesso che altro.
"Ne dubito" borbottò incomprensibilmente la giovane.
'Grazie, eh! Ora, se permettete, mi presento. Sono Johanne.'
"Johanne?" sbottò Aoko ad alta voce.
"Johanne?" ripeté il padre.
"Questa vocina mi dice di essere Johanne. Ma Johanne non è solo uno pseudonimo da ladra?" Schioccò la lingua e sospirò, contrariata. Era solo una perdita di tempo! L'unica cosa che voleva fare in quel momento era posare la testa sul cuscino e abbandonarsi ad un sonno tranquillo - per quanto tranquillo potesse essere dopo gli ultimi eventi.
"Ma certo!" La faccia dell'ispettore s'illuminò all'improvviso, come se avesse appena fatto la scoperta del secolo. "C'è una cosa che non ti ho detto: quando si mettono in atto i furti, entra in gioco una specie di seconda personalità. Naturalmente si è sempre se stessi, ma si ricevono consigli da una vocina - l'aveva chiamato così anche tua madre! -, ma per te deve essere diverso! Il tuo potere è molto forte, quindi probabilmente anche la presenza di Johanne deve essere più intensa. È logico!"
'Oh, guarda un po': c'è arrivato anche il babbo' ridacchiò Johanne.
"Capisco." In realtà, capiva ben poco.
"Bene, tesoro. Sono già le otto, suppongo che tu sia stanca. Domani non andrai a scuola: dobbiamo recarci alla sede dei Guardiani. Ci vorrà un po' prima di convincerli che tu sei veramente lo zaffiro." Si grattò distrattamente la guancia. "Vuoi mangiare o... ?"
"No!" lo interruppe lei. "Voglio andare a dormire."
Il padre scrollò le spalle. "Come preferisci." Si alzò e le diede un bacio sulla fronte, proprio come aveva fatto qualche ora prima la sua ava. "Buonanotte, tesoro."
"Buonanotte, papà."
Salì le scale barcollando e, appena arrivata in camera, si svestì velocemente, per poi indossare il grazioso pigiama color celeste chiaro con un coniglietto rosa disegnato al centro del pezzo superiore. Si buttò sul letto come un sacco di patate e s'infilò sotto le coperte, coprendosi fino al mento e rannicchiandosi in posizione fetale.
'Buonanotte, Aoko.'
'Buonanotte, Johanne.'






E buonanotte anche a me! Ci sono stata un giorno intero a scrivere questo maledetto capitolo, ieri il cervello mi stava fondendo. Penso sia stata una delle cose più impegnative che abbia scritto in vita mia. Basti pensare che ho finito il monologo del babbo alle due di ieri notte (ho aspettato fino a stamattina per correggere i vari errori, ieri era tanto se riuscivo a distinguere la destra dalla sinistra). Ebbene, credo che stia scoppiando anche a voi la testa. Pensate che ci sono ancora tante cose da spiegare! Ad ogni modo, spargerò le altre informazioni via via che si va avanti con la trama. Ah, un'altra cosa: per chi se lo stesse chiedendo (anche se non ne vedo il motivo), 'meridian' si legge 'miridian'. Dovrebbe essere la traduzione italiana di meridiana -quella geografica-, perché quella che determina il tempo ha la traduzione troppo inglese (??) e non mi piaceva x'D
Allora, cosa ne pensate? Penso sia un po' noioso per il mega monologo, ma mi ero prefissata che alla fine del terzo capitolo, Aoko doveva essere al corrente di quasi tutto. Se vi fa piacere, lasciate un commento ;)
Alla prossima xD

Shizuha

The Pandora's TravelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora