Svegliatosi, sgranò gli occhi, mettendosi immediatamente a sedere. Doveva chiamare Aoko! Per quante ore era rimasto addormentato? E perché sentiva dei rumori provenienti dal piano di sotto?
Gettò le coperte al lato del letto, balzando in piedi. Solo dopo che una fitta di dolore lancinante gli attraversò l'intera gamba destra, facendolo ricadere sul materasso, ricordò di non poter camminare. Ecco, quella ne era una prova: non sarebbe mai stato in grado di rimanere fermo, a letto, per almeno un paio di giorni.
Fece cadere gli occhi sull'orologio a muro, proprio come aveva fatto prima di lasciarsi abbracciare da Morfeo: le lancette segnavano le 13:53. Ma che diamine gli avevano dato? Narcotici?
Si passò una mano tra i capelli corvini e ribelli, sospirando e chiudendo gli occhi; qualunque cosa gli avessero somministrato, aveva fatto diminuire drasticamente il malessere alla coscia, sebbene avesse acuito quello alla testa. Tra l'altro, la pausa pranzo, a scuola, doveva già essere finita, quindi avrebbe potuto chiamare la ragazza tra più di un'ora.
Riprovò, comunque, ad alzarsi, ma più lentamente: fece forza sulla porzione del corpo sinistra, appoggiandosi al capezzale per sorreggersi meglio. Saltellò due passi, evitando di posare la parte dolente, sporgendo il busto e gravando sulla sedia davanti alla scrivania di legno. Mosse un altro salto, e, raddrizzatosi, sbuffò: ma in che stato si era ridotto? A zoppicare per un insignificante taglietto? Volse lo sguardo alla frazione strappata dei suoi pantaloni da ladro, trovando della spessa garza lievemente macchiata di un rosso rugginoso. Sì, era solo un taglietto, nulla di più. Jii, infatti, prima che lui prendesse sonno, gli aveva portato un bicchiere d'acqua - dove, molto probabilmente, il medico aveva fatto sciogliere un sonnifero -, dicendogli che il proiettile non l'aveva nemmeno perforato, solo tagliato; in ogni caso, per via della continua e repentina rotazione di esso, la pelle e la carne dell'esterno della coscia destra si era erano letteralmente dilaniati, aprendo una lacerazione spaventosa.
Una scarica d'audacia e sfacciataggine lo colpì, creando un ghigno spavaldo sul suo viso. Lui era un mago, era Kaito Kid: non poteva lasciarsi intimidire da un dolore fisico. Era stato capace di superare anche il male che la morte di suo padre gli aveva procurato, per altro quando era decisamente più piccolo, perché non poteva esserlo di sormontare un qualcosa ben più futile?
Provò a deporre il piede ancora lievemente scostato dal pavimento a terra. Niente sofferenze, almeno finora. Insisté gradualmente, mentre il malessere esordiva a ripresentarsi, sempre più intenso.
Il brunetto contrasse i lineamenti in una stramba smorfia, senza, tuttavia, desistere: non importava il dolore, solo venire a conoscenza di qualcosa che gli era stato estraneo, benché lui fosse piuttosto implicato in quell'opprimente faccenda.
Andò avanti così, non omettendo qualche imprecazione, fino alla soglia della scalinata. Ecco, là si mostrava il vero problema. Come avrebbe fatto a scendere e salire? E soprattutto, come avrebbe sorbito tutti gli ammonimenti di Konosuke, arrivato al livello sottostante? Sempre se era lui a fare quei fastidiosi rumori metallici, ovviamente: poteva benissimo essere a lavoro, nel suo piccolo pub.
Proprio in quel momento, Kaito si accorse che aveva perso la cognizione del tempo: che giorno era? Era davvero un giorno feriale, come aveva pensato quella mattina, o era domenica?
Aveva troppe domande e troppe poche risposte, pertanto si decise a fare il primo passo, deglutendo ed osservando quei gradini come fossero i mostri che credeva si nascondessero nel suo armadio, quando viveva ancora la sua prima infanzia. Si resse anche con una mano, che faceva scivolare adagio sul corrimano in legno.
Arrivò finalmente al piano terra, sentendo sempre più prossimi i cigolii, probabilmente provenienti dalla cucina. Si diresse, dunque, all'angolo cottura - sempre inutilizzato, dal momento che consumava spesso i suoi pasti a casa Nakamori -, non evitando, purtroppo, le stilettate che dall'orribile vicenda della sera precedente lo angustiavano, concentrandosi sulla sua gamba sofferente.
Si appoggiò allo stipite della porta aperta, quasi ansante. Scorse, come presagito, la figura di Jii, che si dilettava ai fornelli. Aveva pensato proprio a tutto: naturalmente, non poteva presentarsi a casa della sua amica con una coscia fasciata in quel modo, claudicante, né tantomeno poteva permettersi di uscire e andare a mangiare fuori.
Nonostante la sua età, alle orecchie dell'anziano sfuggiva davvero poco: udì qualche respiro soffocato originarsi alle sue spalle, e si girò di scatto. Sgranò gli occhi nel vedere la sagoma instabile del suo giovane amico, mentre il senso di colpa si faceva strada nel suo essere. Prima che il suo primo insegnante, Toichi Kuroba, morisse, gli aveva fatto promettere che, appena il figlio avrebbe scoperto la sua vera identità e avrebbe preso il posto - perché, lo sapeva, lo avrebbe fatto -, lo avrebbe protetto, tenendolo lontano da posizioni e azioni troppo pericolose. E lui non vi era riuscito, aveva fallito; sì, non era stato in fin di vita, ma se quel proiettile fosse andato un po' più verso l'interno? Avrebbe colpito l'arteria femorale, e probabilmente, prima che lui e il signor Tamada fossero riusciti a ritrovarlo, sarebbe... No, non ci voleva nemmeno pensare. Tremava al solo pensiero.
Si apprestò a raggiungerlo. "Signorino!" Lo prese sottobraccio, e Kaito sorrise genuinamente a tutte le attenzioni che gli stava curando. "Ma che fa? Le avevamo detto di stare a letto!" lo rimproverò, con voce colma di preoccupazione, mentre si dirigevano nuovamente verso le scale, l'anziano che lo sosteneva e il giovane che camminava stentatamente. "Ha per caso poggiato la gamba?" Scosse la testa e schioccò la lingua, contrariato.
Il brunetto ridacchiò leggermente, quasi divertito da quell'appunto.
Giunsero alla scala, e, seppur con fatica, cominciarono a salire i gradi.
"Non ti preoccupare, Jii-chan. L'hai detto anche tu: è solo un taglio."
Quasi strano a dirsi, ma il suo tono era allegro come sempre, anche in quello stato. Tuttavia, ciò che provava dentro non poteva essere espresso a voce. Si sentiva quasi tradito, e non gli importava se le aveva mentito anche lui; aveva sempre cercato di tenerla al sicuro, di non coinvolgerla. E chissà se lei sapeva del suo alter ego? Si convinse che l'avrebbe scoperto tra non molto, perché lui aveva il dovere di sapere.
Konosuke gli scoccò un'occhiata di rimprovero che, però, non lo smosse; anzi, lo esortò a continuare.
"E poi, sentivo strani rumori provenire dalla cucina" rivelò, mentre s'inerpicava per l'ultimo scalino. "Poteva essere chiunque!"
L'anziano lo fulminò, guardandolo con sguardo truce, come a dire: "Ma se tu stesso sei un ladro!"
Il ragazzo sogghignò ancora, ma decise di non replicare.
Raggiunsero l'apice della scalinata, ed entrambi rilasciarono un profondo sospiro.
"Signorino, ce la fa a raggiungere la camera?"
Lui annuì semplicemente, ringraziandolo con gli occhi.
"Bene." Sfilò il braccio dalla schiena di Kaito, e l'altro dalle spalle del suo assistente. Abbozzò un sorriso, mentre si girava nuovamente verso le scale. "Tra un po' il pranzo sarà pronto, glielo porterò direttamente a letto" garantì, cominciando a scendere al piano di sotto.
"Grazie, Jii-chan." Sorrise anche lui, raggiungendo la propria stanza con passi sofferti.
Aprì la porta, chiudendola poi alle proprie spalle. Si diresse verso il suo letto a due piazze, lasciando cadere la maschera che era solito portare in pubblico. Si abbandonò sul materasso, mettendosi a sedere, e fece una smorfia nel constatare che il dolore alla gamba si stava ripresentando, forse per lo sforzo compiuto, forse per lo scemare dell'efficacia dell'antidolorifico.
Si distese, poi, poggiando la testa sul cuscino federato di bianco, e la volse dalla parte del suo comodino. Fissò intensamente il suo cellulare che giaceva su di esso, quasi solo con la forza del pensiero potesse comunicare con lei.
Sospirò, voltando il capo per guardare il soffitto algido. Era combattuto: sapeva per certo che non era il momento né il modo migliore per riferirle la sua autentica identità, ma voleva almeno estorcerle la verità.
Inspirò pesantemente e allungò la mano per afferrare l'aggeggio che era sicuro sarebbe stato l'intermediario di una nuova lite, di nuove bugie, non distogliendo lo sguardo dal tetto. Lo prese e lo portò davanti al suo viso. Con titubanza, accese il display, notando che più persone gli avevano scritto dei messaggi; non se ne curò. Immise la password - 1412, proprio come il nome originale del suo alter ego -, e si precipitò sul suo contatto.
Se prima era riluttante, ora tergiversava ancora di più. Doveva chiamare o no? Una voce nella sua testa gli imponeva di farlo, sia per la propria sicurezza che per quella di Aoko. Un'altra frazione del suo cervello, però, non ne era assolutamente sicura. E se fosse stato un equivoco? E se Snake gli avesse detto quelle parole solo per innervosirlo e intimidirlo?
Be', l'avrebbe scoperto tra poco. Pigiò il fantomatico tasto con l'indice destro, ed ecco che il solito suono di attesa comparve. Mise subito il vivavoce, posizionando il telefono sul suo petto che, per via del suo cuore che sembrava aver preso la rincorsa, si abbassava e alzava più rapidamente del consueto.
Udì quel fastidioso e apparentemente interminabile rumore cessare. Chiuse gli occhi di scatto, mentre prendeva un profondo respiro.
"Pronto, Kaito?"
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The Pandora's Travels
FanfictionAoko Nakamori, la prescelta. La ragazza, ormai diciassettenne, aspettava, seppure inconsciamente, l'arrivo di qualcosa. Qualcosa che le avrebbe cambiato la vita. Ginzo Nakamori, il padre della giovane, sapeva tutto. Tuttavia, finché il potere in lei...