La sincronizzazione

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"No, Keiko! Io non lo metto 'sto coso!" Prese la tuta in ecopelle con due dita, come se fosse la cosa più disgustosa del mondo. Il viso era paonazzo: era imbarazzata, ma allo stesso tempo infuriata.
La bionda rise ancora un po', divertita dal suo atteggiamento. "Allora cosa vuoi fare? Vuoi andare a rubare con jeans e maglietta?"
La viaggiatrice lanciò il costume sul suo letto, gesticolando, indemoniata. "Sarebbe decisamente meglio!" sbottò.
L'altra si tolse gli occhiali, asciugando le lacrime delle sue risa. "Dai!" la spronò. "Poi mando una foto a Kaito." Le fece l'occhiolino, continuando a ridere.
Se possibile, il volto di Aoko divenne ancora più vermiglio. "Keiko!" S'impose l'autocontrollo, inspirando ed espirando lentamente per qualche secondo: non poteva pensare continuamente a lui, avevano cose più importanti da fare. "Mmh... Ma che scarpe dovrei indossare?"
L'amica parve ponderare, ed alzando l'indice, si picchiettò il mento. "Ci starebbero bene dei bei tacchi a spillo, però..."
"Io non so neppure camminare sui tacchi, figurati andare a rubare!" la interruppe, lasciandosi cadere, esasperata, sul materasso.
"Eh, appunto..." Poi, sembrò illuminarsi, e con lei, anche i suoi occhi. "Ce li hai degli stivali alti?"
"Uhm..." Pensò per qualche attimo, guardando il soffitto e poggiando le mani ai lati dei suoi fianchi. "Dovrei avere degli stivali neri invernali."
"Perfetto!" esclamò, briosa, saltellando da una parte all'altra. Poi, si voltò a guardarla, con occhi supplichevoli. "Dimmi che sono comodi, ti prego."
La moretta annuì, mentre sul suo viso si faceva strada un sorriso compiaciuto. "Sì, almeno quelli sì" ridacchiò.
Lei la osservò, stranita, piegando la testa da un lato. "Mi stai dicendo che la tuta non è comoda?"
"No, no!" Alzò le mani, agitandole leggermente. "Anzi, sembra una seconda pelle. Ma è proprio questo il problema..." Abbassò lo sguardo, imbarazzata al solo pensiero di dover indossare quel vestito tanto succinto.
"Macché!" obiettò Keiko, sedendosi accanto a lei e cingendole le spalle con un braccio, scrollandole un po'. "Sarai una femme fatale perfetta!" Sogghignò, immaginando la sua migliore amica flirtare con gli agenti di polizia.
La viaggiatrice si scansò, alzandosi, contrariata. "Io non sarò proprio nulla!"
'Non posso che darle ragione, tesoro!' Certo, Johanne non poteva mancare.
L'espressione della biondina si fece d'un tratto più seria. "Comunque... hai già parlato con tuo padre per la strategia?"
Aoko si abbandonò nuovamente sul letto, sospirando. "Sì... più o meno."
"Come 'più o meno'!?" proruppe l'amica, afferrandole entrambe le spalle con le mani. "Mancano due ore al furto e tu mi dici 'più o meno'?"
La mora agitò una mano, quasi volesse scacciare un fastidioso insetto. "Non farmici pensare. Mio padre ha detto che funzionerà."
"Cosa dovrai fare?"
La sua migliore amica sospirò ancora una volta. "Sai che ho fatto pattinaggio per sette anni e ginnastica ritmica per tre, no?"
L'occhialuta annuì, sciogliendo la presa sulla schiena della compagna.
"Ecco, lui mi ha detto che potrebbero andare a mio favore... Cioè, potrei fare rovesciate, salti o cose così."
Gli occhi di Keiko brillarono, e lei riprese a saltellare nella stanza della sua amica. "Tuo padre è un genio!" affermò, ridendo. "Puoi scappare da tutti i poliziotti, i tuoi pivot e i tuoi ejambeé sono imbattibili!"
Il suo sorriso si allargò. "Sì, come no." Si alzò dal letto, cominciando a svestirsi. "Dai, mi devo preparare, ché è tardi."

Quella mattina, il suo adorato compagno - sia di scuola che, purtroppo, di avventure - non aveva fatto che lanciarle occhiate e sogghignare beffardo.
Kaito - con cui non aveva parlato per tutta la giornata -, che aveva ormai notato quelle occhiate fugaci, li osservava, insospettito, passando gli occhi da una figura all'altra.
Lei, invece, si era concentrata il più possibile sul suo test di lingua giapponese, cercando di trattenersi dal dare dei bei colpi di straccio in testa ad entrambi.
Il pomeriggio - come ogni giorno, ormai - era andata alla torre dell'orologio, ritrovandosi catapultata in chissà quale epoca, sullo stesso divano blu, a studiare per il suo imminente compito di educazione civica.
Appena ritornata dal suo viaggio di ben tre ore e mezza, era ritornata a casa con suo padre, ed un'aura di fuoco che la circondava: era venuta a conoscenza che "quel deficiente di Katashi" - come lo aveva nominato lei -, benché avesse già ottenuto la sua gemma e fosse già stata posizionata nel meridian, continuava a dilettarsi nei suoi finti furti. Non ne trovava il motivo, dato che la sua tormalina l'aveva già trovata cinque mesi prima, dopo un mese dal suo primo viaggio. Aveva dovuto fare appello a tutto il suo autocontrollo per non spegnergli quell'insopportabile ghigno con un pugno.
Che poi, si era chiesta, perché non si trovava in galera? Certo, non erano vere e proprie rapine, ma, se fosse stato per questo, nemmeno Kaito Kid rubava. Si divertiva a schernire la polizia, proprio come l'ultimo Mugen. Cos'avevano, quindi, di diverso?
Ah, certo, Kid. Avrebbe avuto anche lei un ispettore tutto per sé? Di sicuro non poteva andarne fiera. Però, considerando che la ladra 'immortale' Johanne non si faceva viva da più di venti anni, ne dubitava.
Solo ora, in macchina con suo padre, si rese conto che di paura ne aveva fin troppa. Il suo cuore palpitava più velocemente del solito, e per un attimo ebbe il timore che esso potesse uscire dal suo piccolo sterno. Certo, era anche eccitata, ma nelle sue vene circolava più ansia che sangue. E se non ce l'avesse fatta? Se non fosse riuscita a scappare? Stava cominciando a diffidare anche delle sue capacità di ginnasta agonista. Avrebbe dovuto lasciare la palestra: dove avrebbe trovato il tempo di allenarsi? Avrebbe dovuto lasciare una delle sue più grandi passioni. Sebbene non si allenasse da ormai giorni, aveva riscaldato i muscoli della schiena, delle gambe e delle spalle a casa, poco prima di uscire; aveva notato con soddisfazione che la scioltezza non l'aveva lasciata.
E ora si trovava lì, accanto ad una Keiko trepidante e fin troppo esaltata, con il cuore che le martellava nel petto, le gambe che le tremavano e le mani sudate, solo ad un'ora di distanza dal suo show. Il furto si sarebbe svolto alla Tokyo Tower, al terzo piano; da lì avrebbe potuto saltare senza problemi. Si era accorta solo dopo aver indossato la tuta che essa conteneva una cintura interna, da cui si potevano trarre una marea di vantaggi; ma ciò che le interessava maggiormente era il filo in fibra d'acciaio, avvolto in una piccola rotella al fianco destro, lungo ben 100 m. Inoltre - con grande stupore e meraviglia sua e di Keiko - era possibile far attivare un arpione, nel caso dovesse agganciarsi a qualche palazzo. Se doveva essere sincera, quella situazione le sapeva molto di Tarzan moderno. I dubbi la stavano divorando, e certe volte le veniva anche da chiedersi se sarebbe morta schiacciata contro la finestra di qualcuno. Era da un quarto d'ora che non faceva altro che porsi domande così - che, tra l'altro, persino lei considerava idiote. Puntualmente, però, sopraggiungeva la voce di Johanne, che le confermava, con voce dolce e comprensiva, che ci sarebbe stata lei. Ciononostante, Aoko si sentiva stanca e prostrata. Chissà, si diceva, se una volta entrata nella sua parte si sarebbe ridestata?
"Aoko? Dai, è da più di un minuto che stai lì dentro" le giunse la voce della sua migliore amica, leggermente preoccupata.
Lei alzò il capo - che prima teneva chino, con lo sguardo sulle sue gambe - di scatto, trascinata via da quel vortice di pensieri ed incertezze che l'intrappolava. Vide la sua migliore amica e il padre che la osservavano con aspettativa, con la testa lievemente curvata da un lato.
"Dai" ripeté il padre. "Tra un'ora devi andare." Le porse la mano, che lei prontamente prese, scendendo dall'automobile grigia. Poi proseguì: "Ti devi cambiare e devi riscaldarti meglio, se vuoi toccare il Blue Hope." Virò lo sguardo a sinistra, verso la torre, e la figlia poté scorgervi inquietudine.
Solo alle parole dell'ispettore, la moretta si ricordò che non era uscita col costume; almeno quello gliel'aveva concesso, dato che avrebbe destato troppi sospetti. Poi, seguì la traiettoria degli occhi del poliziotto, e per poco non le uscirono gli occhi dalle orbite: almeno una cinquantina di persone - da liceali a cinquantenni - erano raggruppate intorno alla Tokyo Tower, con cartelli e striscioni in cui una sola scritta prevaleva: JOHANNE. Urlavano e gridavano per l'imminente arrivo della ladra, emozionati ed agitati.
"S-sono... sono qui per... m-me?" Era decisamente incredula. Come potevano così tante persone supportare il suo nuovo alter ego, se non si faceva vivo da più di venti anni?
Il padre le sorrise debolmente, prendendo il borsone in cui avevano riposto il vestiario - se così poteva esser definito - di Aoko, chiudendo l'anta posteriore della macchina.
L'amica, invece, le poggiò un braccio sulle spalle, scuotendola un po'. "Certo che sono qui per te! Visto? Hai già un sacco di fan!"
"E non sono solo questi" aggiunse Ginzo, leggermente nervoso, incamminandosi verso l'entrata.
Le due ragazze lo seguirono, ma la viaggiatrice era ancora troppo ansiosa per camminare senza barcollamenti, quindi non si scansò dall'abbraccio della bionda.
"Che significa?" C'erano altre persone? No, sarebbe morta dall'imbarazzo.
'Non ti preoccupare, sono qui per me' soggiunse, fiera, la vera ladra. 'E, giuro che è l'ultima volta che te lo ripeto, ti aiuterò io. Fidati di me!'
"Facile dirlo" mugugnò ancora lei, attirando un'occhiata incuriosita di Keiko.
"Significa che nella sala ce ne saranno almeno un'altra cinquantina." E lo sapeva bene. Ricordava di tutte le rapine della moglie, in cui gli ammiratori erano almeno il triplo di questi.
Se avesse potuto, la mascella di Aoko si sarebbe ritrovata a terra.
Nel frattempo, avevano raggiunto l'ingresso della torre, entrando, mentre l'ispettore aveva già chiamato l'ascensore.
"Ma ti rendi conto? Sei già famosa!" La strattonò ancora un po' Keiko, ridendo.
"Mmmh, meraviglioso" commentò sarcastica l'altra, ma non riuscì a reprimere un radiante sorriso.
Sì, era ansiosa, ma la sua migliore amica sapeva sempre come stemperare la tensione, e anche in quel momento, ci stava riuscendo.
L'ascensore arrivò e, insieme ad una decina di persone, salirono.
Un uomo selezionò la fermata a tutti piani; tuttavia, soltanto le due compagne e il poliziotto uscirono dall'elevatore al terzo piano. Si resero conto appena entrati del perché: la sala era gremita di fan e agenti, così tanti che era difficile addirittura farsi strada.
Un uomo robusto e alto, con capelli rasati a zero, li fermò, sbarrando loro la via; si accorse solo un attimo dopo chi c'era in quel gruppetto.
"Salve, ispettore Nakamori" lo salutò, educato, seppure la sua voce era così baritonale da mettere quasi paura. Si scansò, rendendo loro libero il passaggio. "Potete passare."
Aoko ridacchiò un po', insieme alla sua amica. "Ecco la fortuna di avere un ispettore come padre."
Lui le lanciò uno sguardo divertito, mentre camminava, provando a non dare spintoni alle persone circostanti.
La mora si avvicinò a Ginzo, sussurandogli: "C'è un ispettore anche per Johanne?"
"Ai tempi di tua madre sì, ora non so se sia ancora in servizio" rispose, pensieroso.
"Certo che sono ancora in servizio."
La viaggiatrice andò a sbattere contro un uomo piuttosto basso e grasso, con piccoli occhi azzurri e i capelli - quei pochi che ancora aveva - neri. Sembrava sulla cinquantina, e aveva entrambe le mani posate sui larghi fianchi. Aveva un grande sorriso soddisfatto che gli accentuava le rughe, ma ad Aoko fece tenerezza.
"M-mi scusi..." provò lei, ma l'uomo non sembrava prestarle la minima attenzione.
"Ciao, Ginzo! Da quanto tempo, eh?" Dovette urlare per farsi sentire dal collega, a cui strinse la mano e diede una forte pacca sulla spalla.
La ragazza non s'interessò più di tanto alla scena, poiché cominciò a guardarsi attorno, in cerca di qualcosa che le sarebbe potuto essere utile: oltre a tutti quegli ammiratori, la ragazza notò che - fortunatamente - le pareti consistevano in pannelli di vetro, che potevano lasciar vedere tutto il paesaggio sottostante; gli uomini dell'ispettore - il quale nome, Koichiro Gamano, le era giunto alle orecchie di sfuggita - erano posti davanti ai divisori, ed altri intorno alla teca al centro della stanza; l'unica luce che subentrava era quella dell'illuminazione della torre, e così risultava fioca e soffusa.
"Questa è mia figlia, Aoko Nakamori, mentre lei è una sua amica, Keiko Momoi" le presentò il poliziotto, indicando rispettivamente la figlia e l'amica.
"Piacere" dissero all'unisono, benché la mora avesse altre cose da fare, anziché salutare colui che le avrebbe dato la caccia per mesi, se non per anni.
Decise di inventare una scusa banale per fuggire da quel posto. "Papà, io sto andando in bagno." Fece l'occhiolino al suddetto e alla bionda, attenta a non farsi scorgere dal suo nuovo rivale.
Keiko le sorrise incoraggiante, stringendo un pugno ed alzando il pollice. L'altra le sorrise a sua volta, mentre captava il labiale del padre: "Stai attenta".


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