Un nuovo arrivato

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Girò l'angolo. Stava camminando in una viuzza sporca e certamente mal vista, ma, in ogni caso, era mattina presto: nessuno si azzarderebbe a fare qualcosa ad un ragazzo alle 7:50 del mattino. Mangiava il suo ultimo toast con la Nutella, lo sguardo rivolto a terra e la mente affollata da mille pensieri. Aoko non stava male da almeno un anno. Certo, l'aveva vista anche lui, ieri sera, con quell'espressione poco serena. L'aveva sentita brontolare qualcosa di incomprensibile, mentre una strana smorfia si creava sul suo viso. Era confuso. Non sembrava stesse male fisicamente, piuttosto pensava che avesse qualche problema a livello emotivo. Ma più ragionava, più il caos nella sua testa aumentava. Gli aveva sempre detto tutto, ma non riusciva a capire cosa la prostrasse in quel modo. Era già preoccupato per l'avvenuto del giorno prima, quando lei gli aveva detto che non stava tanto bene e che stava per andare a casa. Quel giorno sì, stava male. Glielo si leggeva sul volto. Invece, quando la sera prima l'aveva osservata mentre dormiva, sembrava che qualcosa la turbasse. Era stato lì, a dedicarle quelle carezze tanto dolci quanto piene di dolore.
'Quando vorrai dirmi qualcosa al riguardo, sai sempre dove trovarmi.'
Si fidava di lui. E lui, come ringraziamento, non aveva fatto altro che mentirle e starle lontano. Aveva provato un dolore incomparabile al suono di quelle parole. Sapeva cosa voleva dire realmente: "Finché non mi dirai nulla, stai lontano da me". Ma lui ne aveva abbastanza. Ci aveva già provato, e aveva fallito miseramente. Non sarebbe riuscito a starle lontano. Non di nuovo. Avevano già sofferto - lo sapeva, anche Aoko non era felice di quel suo comportamento - per troppi mesi. Voleva dirle tutto, voleva liberarsi, almeno con lei. Quel suo muro che aveva innalzato per nascondere a tutti i suoi sentimenti, le sue emozioni, si apriva solo a lei. Solo con lei poteva togliere la sua Poker Face. Ma tutto ciò succedeva prima che lui prendesse le sembianze di Kaito Kid, il famoso ladro dalle ali d'argento. Non sapeva nemmeno lui come si sentiva circa il suo alter ego. Era euforico, in estasi, ogni qualvolta avesse un furto; adorava provare l'ebrezza di qualcosa di proibito, sentire l'adrenalina scorrergli nelle vene. Inoltre, doveva farlo per lui. Per suo padre. Per l'intera umanità. Doveva trovare Pandora e distruggerla, a qualsiasi costo. Non poteva lasciare che quell'Organizzazione criminale potesse ancora girovagare libera, lasciando che i suoi uomini meschini e spietati pullulassero per le strade come normali civili.
Allo stesso tempo, odiava quella doppia personalità che lo costringeva alle menzogne. Soprattutto, non riusciva a sopportare di mentire a lei. Colei che gli aveva sempre confidato tutto, che lo aveva consolato per la morte del padre - stando ore e ore accanto a lui, senza proferir parola. Avevano solo nove anni, ma quei suoi gesti rasentavano la maturità di un adulto. Stava insieme a lui, accovacciata a terra con le piccole ginocchia raccolte al petto, accanto al migliore amico quasi inerme. E lo faceva per giorni interi, fin quando lui decise che non poteva obbligare quella bambina tanto dolce a restare con lui per il resto dei suoi giorni per il solo motivo che non poteva far altro che piangersi addosso. Era stato forte. Sapeva che suo padre sarebbe stato fiero di lui. Ma senza di lei non ce l'avrebbe fatta. Non lasciava avvicinare nemmeno sua madre: non voleva sentire alcuna parola, e Chikage provava sempre a confortarlo con esse. Invece, lei lo aveva capito: non avrebbe detto nulla, nemmeno un semplice saluto, finché lui non avesse deciso di farlo per primo.
Sorrise a quel ricordo, e si rese conto che era appena arrivato davanti la propria scuola. Guardò l'orologio del cellulare: 7:55. Tempismo perfetto. Il loro preside era talmente pignolo da aver stabilito l'inizio delle lezioni cinque minuti prima della norma, cosicché - a dir suo - potessero cominciare effettivamente alle 8:00 in punto. Kaito pensava fosse solo un'idiozia: il professore perdeva ugualmente tempo, e tra i ritardi, l'appello e le giustificazioni, la lezione non cominciava prima delle 8:15. Insomma, erano cinque minuti sprecati in tempo inutile, che invece lui avrebbe preferito investire in sonno o più tempo nella doccia, considerando la sensazione dello scorrere dell'acqua bollente sulla sua pelle idilliaca.
La campanella suonò in quell'istante, e Kaito non poté far altro che dirigersi nella struttura, ma non prima di aver esalato un sospiro: considerava la scuola pressoché inutile. Certo, aveva imparato molte cose, imprigionato in quelle mura, ma la maggior parte del tempo in quell'Inferno interminabile lo passava a scherzare e a dormire. Dunque, non poteva essere considerato uno studente modello. Tuttavia, aveva sempre ricevuto dei risultati più che buoni dai suoi test e interrogazioni. Forse, era anche questo il motivo per cui tutte le ragazze del suo anno e di quelli precedenti gli sbavavano letteralmente dietro. A lui non importava granché. O meglio, ne approfittava: spiava lo spogliatoio femminile senza particolari conseguenze - al massimo un urletto da parte di qualche ragazza con un po' di pudore -; si divertiva ad alzare la gonna a tutte le sue compagne di classe, beffeggiandone una in particolare; adorava più di tutto tutti quei dolcetti deliziosi che guadagnava a San Valentino. Ma, nel complesso, il tutto non andava oltre alla goduria personale e a qualche scherzetto. Gli interessava solo una persona, la quale mai gli aveva dato la soddisfazione di guardare sotto la gonna dell'uniforme scolastica senza un colpo di straccio in testa. E lui ne era felice; era felice di sapere che fosse diversa. Sì, magari aveva una cotta anche lei per un qualche ragazzo - e che ragazzo fortunato doveva essere, pensava sempre lui -, ma certamente rimaneva sempre composta e discreta. Be', almeno fin quando Kaito non la scherniva con i suoi soliti giochetti. Era molto irascibile, e lui ne aveva preso atto, approfittandone. Gli piaceva vedere quelle guance tanto morbide di un colore più roseo del solito, quella smorfia d'irritazione e imbarazzo sul suo volto.
Si stava dirigendo in classe, camminando per i lunghi corridoi affollati della scuola, quando un ragazzo lo chiamò da circa cinque metri di distanza. Si bloccò, volgendo la parte superiore del corpo. Vide un suo compagno, Masashi Kawaguchi, raggiungerlo a grandi falcate. Appena gli si accostò, riprese ad avviarsi verso la propria aula.
"Ehi, Kuroba! Come ti va la vita?" domandò quasi urlando, dandogli più volte qualche pacca sulla spalla.
"Bene" bofonchiò l'altro - sebbene sapesse fosse un'enorme bugia -, con il capo chino verso terra. Ma, alla fine, cosa avrebbe dovuto dire? "Uno schifo"?
"Ohi, Kuroba! Dov'è finito il tuo sorriso?"
Non rispose, si limitò a scoccargli un'occhiata torva.
"Oh, ho capito" continuò, con un ghigno beffardo che si faceva strada sul suo viso. "Ieri qualche pollastrella ti ha mollato? Dai, non tutte poss..."
"Ma quale pollastrella!" sbottò Kaito. Si ricompose all'istante, dopo essersi accorto di ciò che aveva detto. "Ieri non ho fatto proprio nulla. Vedrò se oggi posso rifarmi." Gli rivolse un sorriso sghembo e un occhiolino, per poi aumentare il ritmo dei passi. Voleva limitare al minimo le conversazioni, quella giornata. Non era dell'umore adatto per quegli argomenti da ragazzini in preda agli ormoni.
Varcò la soglia della porta, passando dalla cattedra della professoressa che stava già sistemando le proprie cose sulla superficie.
"Oggi Nakamori Aoko non c'è: sta male" annunciò lui. Keiko, la sua migliore amica, aggrottò la fronte e gli rivolse un'occhiata di sottecchi.
'E lui come lo sa?'
Decise di dar voce ai propri pensieri non appena il ragazzo si andò a sedere al proprio posto - dietro la sedia vuota dell'amica -: "E tu come lo sai?"
"Me l'ha detto suo padre stamattina." Non le rivolse nemmeno uno sguardo, e questo la irritò ancor di più.
La professoressa si intromise. "Peccato, si perderà la presentazione di un nuovo compagno." Si strinse nelle spalle. "In ogni caso, è giustificata."
Tutti gli alunni presenti nell'aula aguzzarono la vista e le orecchie: dovevano assolutamente vedere come fosse quel nuovo compagno. Solo quel ragazzo tanto enigmatico quanto bello restò con la testa poggiata sulle braccia incrociate sul banco, gli occhi serrati e le labbra leggermente schiuse. Gliene importava davvero poco.
Una presenza sconosciuta per tutti gli studenti di quella classe entrò. Era un ragazzo alto, con un fisico asciutto e di una bellezza mozzafiato. Capelli castano chiaro, corti e sbarazzini gli decoravano il volto illuminato da un sorriso a trentadue denti che, con ogni probabilità, stava facendo sciogliere ogni ragazza. Occhi color nocciola brillavano vivaci, osservando tutti quei ragazzi tanto stupefatti nel vedere un essere così bello entrare nella propria aula. Si avvicinò alla professoressa, che gli sorrise a sua volta.
"Eccolo qui. Lui è Katashi Hirawata" lo presentò, con un raggiante sorriso dipinto in faccia. Poi si rivolse a lui: "Puoi andare a sederti lì, alla sinistra della sedia vuota di Nakamori".
Tutte le ragazze lo seguirono con lo sguardo, alcune con la bocca completamente aperta, altre con gli occhi divaricati, altre ancora con entrambi.
Keiko, invece, si divertiva a vedere tutte le sue compagne ammaliate da quel ragazzo. Si sporse verso Il migliore amico di Aoko, sussurandogli: "Sembra che tu abbia un rivale". Ridacchiò.
"Non me ne frega nulla" mugugnò lui, e le parole uscirono ovattate dalla sua posizione. Girò la testa dall'altro lato.
Il nuovo alunno, nel frattempo, aveva raggiunto il posto stabilito e si stava sedendo. Poi si voltò, esaminando la nuca di Kaito. Si sedette, con il busto ancora volto verso il ragazzo che, nel frattempo, non sembrava avere il benché minimo interesse in Takashi.
"Ehi, coso," lo chiamò "sai dov'è questa Aoko Nakamori?"
Aveva decisamente attirato l'attenzione del giovane. Alzò il capo di scatto, guardandolo con aria truce. Come faceva a sapere il nome di Aoko? Ricordava perfettamente che l'insegnante aveva accennato solo al cognome. Inoltre, chi era quel tizio per rivolgersi a lui in quel modo?
"Come fai a sapere il suo nome?" ribatté, scontroso.
Il sorriso del nuovo studente si trasformò in un ghigno sprezzante. "Sai, io e lei abbiamo qualche rapporto... fuori dalla norma." Il suo tono era pungente e derisorio, come se avesse captato il fastidio che aleggiava intorno all'altro ragazzo. Detto ciò, si volse, ascoltando apparentemente la lezione che la professoressa di fisica aveva cominciato a spiegare, non smettendo di ghignare.
'Fuori dalla norma?' si chiese, quasi preoccupato. Cosa voleva dire? Pensò, cercò di ricordare, ma la sua memoria non custodiva nessun avvenimento che potesse ricollegarsi a quel misterioso ragazzo. Non capiva. Tutto ciò non faceva che irritarlo ancora di più. Sbuffò lievemente, ricollocando il mento sopra le braccia conserte.
La migliore amica della ragazza si sporse ancora una volta verso il ladro, facendo attenzione a non farsi scoprire dalla professoressa, lanciandole sguardi di sottecchi.
"Ehi, Kuroba" bisbigliò, curiosa. "Cosa intendeva quello?" Scoccò una fugace occhiata al nuovo arrivato, facendo capire al moro a chi alludesse.
"Non lo so." Sbuffò un'altra volta. "Se lei ti fa sapere qualcosa, dimmela."
La ragazza lo guardò con aria torva. "E perché dovrei?" chiese, mentre sul suo volto appariva un sorrisetto maligno.
Lui sollevò il capo, reggendo la mascella con il palmo della mano. Chiuse lentamente gli occhi e sospirò, come se volesse reprimere un'improvvisa ira. "Keiko, per favore."
La ragazza sgranò gli occhi e spalancò leggermente le labbra: non la chiamava mai per nome, e tantomeno pronunciava espressioni come "per favore". Il ghigno quasi derisorio che aveva abbandonato il suo viso pochi secondi prima ritornò, ancora più deciso. "Devi essere proprio disperato!" Ridacchiò piano, mentre il diretto interessato la fulminava con gli occhi color mare. Nessuna ragazza avrebbe resistito davanti a quella visione celestiale; certo, nessuna, tranne Keiko. Era immune al fascino del moretto - almeno nella sua versione da normale studente. Non sapeva nemmeno lei perché; forse dipendeva dal fatto che, avendo notato sin da subito l'interesse dell'amica nei suoi confronti, si era semplicemente fatta da parte e non aveva fatto altro che aiutarli. Già, cinque anni di aiuto, vani. Ma quando si parlava di amore, quei due bruciavano istantaneamente i loro neuroni, riducendo il loro brillante cervello alle dimensioni di una nocciolina. E, purtroppo, lei non poteva farci nulla.
"Kuroba!" All'improvviso richiamo, l'appellato sobbalzò, assumendo una posizione eretta. "Sarai anche intelligente, ma questo non significa che puoi distrarre i tuoi compagni!" ringhiò la professoressa, infuriata. Ah, si doveva aggiungere anche la loro insegnante di fisica alla lista "Chi resiste a Kaito". Poi proseguì con la sua ramanzina: "E tu, Momoi! Non farti sedurre dal suo finto fascino, intese?"
La ragazza sommise a stento una risatina: lei? "Sedurre dal suo finto fascino"? Piuttosto usciva con un criceto! "Certo, professoressa." Le sorrise bonariamente, lanciando occhiate furtive al soggetto di quel rambuffo: il povero ragazzo stava imprecando sottovoce.
"Ma è possibile che danno sempre a me la colpa?" borbottò in modo indecifrabile. La professoressa, tuttavia, sembrò aver sentito, e gli scoccò uno sguardo minaccioso, provocando un brivido lungo la schiena del ragazzo. Poi si girò, continuando ad esporre la lezione. Kaito, invece, ritornò ad oziare nella sua solita posizione, non riuscendò, però, ad addormentarsi sul serio: era troppo impegnato a cercare di interpretare quelle strane parole dette qualche minuto prima da Katashi Hirawata.

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