Cos'è la normalità?

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Non sapeva perché, ma si ritrovavano insieme, di nuovo - e come sempre -, in quella strada. Nessuno dei due aveva fiatato, se non per un flebile "ciao" davanti alla porta di casa di lui. Lei aveva il capo chino a guardarsi i piedi, come fossero la cosa più interessante al mondo.
Egli, al contrario, teneva il mento alto, mentre con la mano destra - appoggiata alla spalla - sorreggeva la sua cartella. Tuttavia, il suo solito sorriso, che faceva sempre impazzire le ragazze, che le ammaliava, che le faceva cadere ai suoi piedi, era assente. I suoi occhi color mare, che tante persone avevano fatto annegare, naufragare in una piacevole isola di fascino, erano spenti, privati della loro luce.
Proprio come due giorni prima, il prestigiatore aveva bevuto tutto d'un sorso l'aspro, ma allo stesso tempo dolce, succo allo yuzu; i toast farciti con marmellata alle ciliegie e burro li aveva scaraventati nello zaino senza alcun ritegno. Ma, del resto, non aveva nemmeno fame.
Poi, gli venne in mente la domanda che si poneva imperterrito dal giorno prima; decise, quindi, di formularla e di darle voce.
"Aoko?" sussurrò quasi.
La sua testa saettò nella sua direzione, mentre deglutiva, nervosa. Fissò i suoi occhi in quelli del ragazzo a poco meno di un metro da lei, provocando al cuore del mago un balzo.
Lui riuscì, comunque, a mantenere il suo viso imperturbabile, protetto da un fittizio ghigno. "Posso sapere cosa volevi dire a Keiko?"
La viaggiatrice sbarrò gli occhi, colta in contropiede. Certo, doveva aspettarselo: non avrebbe mai creduto alla scusa della camicia. Ma suo padre le aveva raccomandato, mentre i Guardiani le avevano proprio ordinato, di non parlare con nessuno delle inopinabili e surreali vicende che le avevano riempito le due giornate precedenti. Ma ora cosa poteva dirgli? Se avesse inventato un'altra scusa, si sarebbe insospettito ancora di più: perché raccontare la storia della camicia, e, tra l'altro, assecondarla? No, non era certamente la via migliore.
"La camicia di mio padre, ricordi? Ieri ne parlavo al telefono insieme a lei, e mi pareva di capire che c'eri anche tu..." Optò per la strada più semplice: perseverare.
Kaito assottigliò lo sguardo, insicuro. Cercò di vagare in quei suoi occhi che, lo sapeva, non erano capaci di mentire: non vi scorse, tuttavia, nulla.
Esalò un sospiro, rassegnato. Alzò il capo vero il cielo, osservandolo: proprio come il giorno prima, era grigio, scevro del colore che solitamente lo contraddistingue. Sembrava quasi che - ironia della sorte - l'etere si stesse incupendo, speculare a quelle giornate che non ne volevano sapere di prendere il verso giusto.
Rivolse nuovamente gli occhi a lei, scorgendola nel momento in cui scrutava ancora il suo viso perfetto, mancante d'imperfezioni.
Il volto della giovane si sfumò di rosso, mentre, impacciata, distoglieva lo sguardo, virandolo a terra, trovando - ancora una volta - una certa attrattiva nei suoi piedi.
Lui le rivolse un sorriso sincero; non era uno di quei ghigni che gli increspavano le labbra, nelle vesti del suo alter ego, solo per stizzire e per affascinare; né, tantomeno, era uno dei risi falsi che creava per murare e nascondere le sue emozioni. Era il sorriso di Kaito: non sembrava felice, ma era sincero.
"E che mi dici di Faccia da schia... Katashi Hirawata?" Il suo sorriso, che era appena accennato, scomparve del tutto alla pronuncia di quel nome. Ancora non riusciva a digerire quella questione, ma, in particolar modo, non riusciva a sopportare lui.
La viaggiatrice rialzò il capo, guardandolo con aria interrogativa: chi poteva essere? Però, quel nome non le sembrava del tutto sconosciuto. "N-non lo so?"
Il giovane strabuzzò gli occhi, per poi assottigliarli: quel ragazzo, dunque, come poteva affermare di sapere il suo nome e di avere rapporti "fuori dalla norma"? No, lo doveva conoscere necessariamente. "È il nuovo studente. Ha detto di conoscerti."
Spalancò gli occhi, proprio come aveva fatto l'amico qualche secondo fa. "Ti giuro che non lo conosco" ribatté, veritiera, lei. Ma allora perché quel cognome le risultava così poco estraneo? Cercò di vagare nei meandri della sua memoria, auspicando che anche solo un insignificante avvenimento potesse correlarsi a quel nome, a quel ragazzo.
Nonostante stesse dicendo la pura verità, lui si stava esasperando. Alzò un sopracciglio, e un ghigno sarcastico si stese sul suo volto teso. "Ah, sì?" fece, sardonico. "Perché sa il tuo nome? Perché avete 'rapporti fuori dalla norma'?" lo scimmiottò, spazientendosi. Stava provando... gelosia? No, non era gelosia. Era fastidio. Ma, d'altronde, chi non s'irriterebbe sentendo che la propria migliore amica ha rapporti misteriosi con un tizio che lo chiama coso? Non tutti, magari, ma lui certamente sì.
Improvvisamente, il cervello di Aoko s'illuminò, accendendo una lampadina: aveva finalmente capito di chi si trattasse. Poi, però, contrasse le labbra in una smorfia stranita ed aggrottò la fronte: come poteva sapere il suo nome? Che gliel'avesse detto qualche suo compagno?
"Ah! Ora ricordo: è il figlio di un collega di mio padre" buttò lì; stava diventando piuttosto brava a mentire, anche se non sapeva se compiacersene o meno. "Forse avrà sentito il mio nome da qualche parte, chi lo sa?" Rise istericamente, ma fece di tutto per non darlo a vedere.
Intanto, stavano per raggiungere l'edificio del liceo Ekoda; mancavano solo pochi metri dal cancello, che si apriva su un gran cortile, già straripante di studenti.
"Io non li chiamerei fuori dalla norma, 'sti rapporti..." bofonchiò lui, indispettito. Non credeva ad una sola parola della sua amica d'infanzia. Ma, alla fine, non poteva replicare; sapeva che lei gli avrebbe chiesto la stessa sua domanda: "Cosa mi nascondi?"
La viaggiatrice reclinò nuovamente il capo, incapace di guardarlo negli occhi: non sarebbe riuscita a mentirgli, non più. Era una sua debolezza, sebbene potesse essere definita un pregio: non sapeva dire menzogne. Non era nel suo carattere, nel suo essere.
Avanzarono - ancora una volta - senza pronunciarsi. Il silenzio era assordante; non era capace di romperlo nemmeno il suono dei loro passi, né il brusio di voci -sempre più vicino e tonante - proveniente dalla corte della scuola.
Raggiunsero in poco meno di un minuto l'entrata: lì, la ragazza incontrò Keiko, separandosi dal ladro, che, subito dopo, si unì ad un gruppetto di studenti.
Quando Aoko riferì all'amica l'identità del loro nuovo compagno, lei boccheggiò, incredula.
"Scherzi?" sbraitò, attirando alcuni sguardi curiosi ed interdetti.
"Scherzerei mai su una cosa simile?"
La campanella suonò, interrompendo il chiacchierio delle due giovani, che, però, pettegolarono fino alla soglia di entrata della propria aula.
Là, uno sguardo profondo penetrò il fisico e l'anima della viaggiatrice: quello di Katashi.

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