Il meridian

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Entrambi non stavano prestando la minima attenzione alla lezione d'informatica.
Lui, come suo solito, aveva il mento poggiato sulle braccia conserte sulla scrivania, e meditava, testardo. Ultimamente aveva trascurato il suo "lavoro". O meglio, lo faceva - e anche bene -, ma non era mai presente mentalmente. I suoi pensieri viaggiavano, ed erano lontani ed estranei dalla realtà. Si chiedeva, in primo luogo, che fine avessero fatto gli uomini dell'Organizzazione. Era ormai da un mese che non si facevano vivi, e, a meno che non fosse successo qualcosa che impedisse loro di andare avanti con i loro piani, il tutto risultava abbastanza strano. Perché impegnarsi tanto in uno scopo - quello di ostacolarlo nel trovare Pandora -, per poi lasciar stare? No, non era da loro. Ma, soprattutto, non da Snake, e tantomeno da Spider. Da una parte poteva essere sollevato, dato che poteva agire indisturbato - tralasciando la polizia, che, comunque, non era un grosso problema -; ma dall'altra? Certamente no. Doveva riuscire a sgominare quella banda di criminali, non poteva limitarsi a distruggere quella gemma che non faceva altro che provocare problemi.
E poi c'era lei, la sua migliore amica - se così si poteva ancora definire. Cosa diamine le stava succedendo? Se prima era lui a comportarsi freddamente, ora lei lo stava decisamente vincendo. Ma si domandava il perché. No, non era il suo carattere, quello: lei era vivace, irascibile, turbolenta, sempre presente per urlargli contro; perché, quindi, ora era pacata, quieta, e forse anche un po' distratta? Per un attimo, gli parve addirittura triste. Inoltre, gli nascondeva qualcosa; e lui aveva tutta l'intenzione di scoprirlo. Tuttavia, almeno in questo periodo, lui si voleva concentrare sull'Organizzazione.
Lei, dal canto suo, era altrettanto assorta. Da circa mezz'ora osservava le goccioline d'acqua infrangersi sul vetro della finestra accanto a lei, e sembrava udire solo quel rumore; quel rumore che le ricordava tantissimo il battito accelerato di un cuore. Proprio come il suo la sera prima. Non si era mai sentita in colpa come in quel momento. Se quella notte si stava divertendo come mai aveva fatto, il 23 settembre, a scuola, provava i più grandi sensi di colpa che avesse mai avuto. E, sebbene Johanne l'ammonisse per quelle speculazioni un po' stupide, era come se un macigno la opprimesse: lei, che tante volte aveva insultato il nome di Kid, non poteva che notare la stessa sfacciataggine che l'aveva sopraffatta negli avvenimenti di qualche ora prima. Si era presa gioco degli agenti, proprio come quel ladro dal manto bianco faceva con suo padre; non era forse la stessa cosa? No, la contraddiceva Johanne, perché loro non rubavano, e facevano tutto ciò per una buona causa. Ma come poteva essere una buona causa se nemmeno lei la conosceva? E, in ogni caso, nemmeno il grande mago rubava. Sotto quell'aspetto, si somigliavano; ed era proprio quello a suscitarle stizza.
Da ore, oramai, erano persi nelle loro elucubrazioni, talmente tanto che non sentirono neppure la campanella suonare: avevano la pausa pranzo.
Keiko si alzò, raggiungendo la sua amica, e le mise una mano sulla spalla, scrollandola un po'.
"Ehi, Aoko. Si può sapere che hai? È da quando sei entrata che fissi la finestra!" La sua voce era un misto tra fastidio e preoccupazione. Ma, del resto, come biasimarla?
Lei, che era stata appena destata dai suoi coinvolgenti pensieri, si dedicò ad un grande sbadiglio: nonostante le sette ore di sonno, la stanchezza del giorno prima persisteva nel suo corpo.
"Ma è ovvio che guardasse me!" Era Hirawata. La prima frase che le rivolgeva direttamente, senza che lei dovesse chiedergli di farlo. Tuttavia, non era cambiato il suo tono di quando rispondeva alle sue domande: sempre schernitore, puntualmente accompagnato da un ghigno beffardo.
La bionda lo fulminò, ringhiandogli. Lui, semplicemente, non le diede retta; anzi, prese il suo bentou, deciso ad andare in mensa. Le due ragazze lo seguirono con gli occhi che sputavano fiamme, ma lui, arrivato al banco di Aoko, si fermò, volgendo il corpo verso di loro.
"E ora che vuoi?" abbaiò l'occhialuta, tranciandolo con il solo sguardo.
Il suo sorrisetto si espanse, irritando ancor di più le compagne. "Non ti conviene usare questi toni con me: potrei dire a mio zio quando e come voglio che tu sei a conoscenza di tutto."
La mora trasalì, scambiando un'occhiata preoccupata con la sua migliore amica, per poi rivolgere nuovamente gli occhi a lui, riducendoli a due fessure. "E tu come lo sai?" sibilò. "E poi, Hiro sarebbe tuo zio?"
Lui sembrò sorpreso: il suo sorriso scomparve, lasciando posto ad un'espressione ebete di pura incredulità. "Volevo dire mio nonno." Riacquistò, così, il suo ordinario attegiamento.
Ciononostante, le due inarcarono un sopracciglio, scettiche. Keiko incrociò le braccia al petto, sorridendo con aria di sfida.
Lui non si lasciò, però, impressionare; quindi continuò: "Ripeto: potrei dire tutto a mio nonno, e per te sarebbero guai, Momoi."
"Tutto cosa?" sopraggiunse un'altra voce. Aoko la conosceva bene: era quella di Kaito.
Sobbalzò un'altra volta, girandosi - per quanto potesse, essendo seduta - verso il proprietario di quel timbro. Boccheggiò per qualche secondo, colta alla sprovvista.
'Ma che è? La giornata nazionale delle apparizioni a sorpresa?'
Un sorriso ironico non poté fare a meno di nascere sul suo viso, alle parole di Johanne.
Kaito, però, non sembrava in vena di scherzi; assottigliò lo sguardo, posandolo prima su Katashi e, successivamente, sulle due compagne. Perché quel verme sapeva, gli passò per la mente, e lui no? Ma, soprattutto, cosa sapeva?
"Allora? Avete intenzione di rispondermi?"
La viaggiatrice si sentì subito in colpa, come se stesse guardando un cucciolo bastonato: era l'unica persona a cui tenesse, in fondo, a non sapere niente di niente. Poi, però, s'impose autocontrollo: aveva già coinvolto la sua migliore amica, in quella faccenda, ed era fin troppo restia ad implicare anche lui. E, per di più, perché chiedeva cose del genere? Non era lei, forse, a dovergli fare le stesse domande?
"Oh, nulla" rispose, ferma, lei. Non riuscì, comunque, a sopprimere un debole riso, quasi volesse scusarsi per le sue bugie.
Hirawata scoppiò a ridere, ottenendo due occhiate ammonitrici e un'altra esortativa. "Ma come?" riuscì a dire tra una risata e l'altra, con una nota sarcastica. "Ancora non l'hai detto al tuo fidanzatino? E io che pensavo lo andassi a spifferare anche ai tuoi vicini!"
I due appellati non poterono che arrossire violentemente alla parola del biondo. Tuttavia, Aoko aveva un altro motivo per divenire paonazza: stava ribollendo di rabbia. Prima diceva che avrebbe riferito di Keiko a suo nonno, e poi si esponeva così tanto?
Si alzò dalla sedia, guardandolo con occhi - e non solo - infuocati, stringendo i pugni talmente forte da farli tremare.
Erano, ormai, rimasti solo loro quattro in classe, dato che gli altri studenti si erano dileguati in mensa, perciò non si preoccupò di dare spettacolo.
"Quando vuoi piantarla!?" urlò, facendo indietreggiare tutti di un passo.
Il moro sapeva quanto poteva essere violenta, se solo avesse estratto il suo straccio - sempre sguainato da un luogo completamente sconosciuto a lui.
Katashi, invece, aveva stampato in volto un'espressione lievemente frastornata, pensando che fosse totalmente folle.
La biondina, dal canto suo, aveva mosso un passo indietro solo per assistere meglio alla scena: si sarebbe divertita da morire, vedendo la sua amica dare una bella lezione a quell'"idiota".
"Prova solo a rivolgermi un'altra volta la parola, e giuro che il tuo adorato nonnino non potrà più vedere la tua schifosissima faccia!" proseguì, sputando veleno, e gli puntò l'indice contro, mentre sembrava che l'aria intorno a lei prendesse fuoco.
Il viaggiatore, ora seriamente spaventanto, indietreggiò nuovamente. Riuscì, però, a mantenere il suo viso imperterrito. "Tu sei pazza, Nakamori." Lo disse con voce tremante, che non convinse nemmeno lui. Per la prima volta in vita sua, Katashi Hirawata era stato umiliato.
Keiko non riuscì a trattenere le risate, portandosi una mano all'addome e piegandosi in due.
Kaito, al contrario, si era rifugiato dietro un banco, terrorizzato alla sola idea dello straccio. Perse tutta la sua spavalderia e l'intenzione di chiedere spiegazioni alla compagna, almeno per quel momento.
'Vai, tesoro, così si fa!' si complimentò la ladra, orgogliosa e compiaciuta della sua ospite.
Il biondo uscì dall'aula, fuggendo quasi.
Aoko riacquisì il suo solito comportamento, rivolgendo un radioso sorriso alla sua migliore amica. Prese il suo bentou dalla cartella, stringendolo tra le due esili e affusolate mani. "Vogliamo andare?"
Lei colse una piccola lacrima dalle palpebre socchiuse, continuando a sogghignare. "Oh, certo" ridacchiò.


The Pandora's TravelsDove le storie prendono vita. Scoprilo ora